La cosa più apprezzabile in Landini e negli altri promotori dei referendum per il lavoro e la cittadinanza è la battaglia all’astensionismo. D’accordo, astenersi è pur esso un modo di (non) esprimersi – sulla base di quanto sancito dall’articolo 75 della Costituzione – nel partecipare alla vita democratica della nazione, per quanto il meno nobile o coraggioso in riferimento alle proprie opinioni e scelte politiche. Ma vengo ad esplicitare un differente paradigma, degno di adeguato approfondimento ed auspicabile condivisione.
Va ricordata la rilevanza storica, giuridica e morale dello strumento referendario, quale manifestazione di “democrazia diretta” (l’altro è previsto per la petizione popolare di un progetto di legge): quella per eccellenza é simboleggiata dalla consultazione del 1946 che chiamò il popolo italiano a scegliere tra la monarchia e la repubblica e sappiamo bene come andò (nonostante le non poche polemiche sollevate, all’epoca, dai cittadini di fede monarchica). E questa considerazione basterebbe già a giustificare la necessità di recarsi a votare i prossimi 8 e 9 giugno.
Vieppiù, dovremmo ricondurre alla nostra memoria quanti esiti referendari hanno cambiato, nel bene o nel male nel corso degli anni ’70 – ’80, la nostra storia, sociale e personale per effetto di decisioni popolari in ordine alle abrogazioni legislative o in sede consultiva riguardo , soprattutto al divorzio e all’aborto.
Pur astenendomi dallo scendere in polemica sui singoli quesiti, oggetto frequentemente di prese di posizione aprioristiche ed apodittiche – in particolare la dichiarazione raccapricciante resa da chi rappresenta la II° carica dello Stato circa il “diritto di astenersi” – non posso esimermi da un giudizio negativo, in quanto troppo conservatrici dello status quo e perciò antistoriche, opera di una classe politica che, così facendo, rinnega la stessa propria origine che è quella di appartenere ad uno Stato democratico – parlamentare (dotato di enormi privilegi e prerogative) che nacque, quasi 80 anni or sono, proprio grazie al referendum costituzionale di cui s’è detto.
Persino il mondo dell’informazione, specialmente la RAI che è spesso serva del potere politico, non fa esattamente il proprio dovere, essenziale in un sistema democratico complesso, di rendere edotti gli ascoltatori con professionalità, trasparenza ed obiettività, contribuendo così al senso di appartenenza e spiegando l’importanza dei vari quesiti referendari, tra cui emerge nettamente quello della sicurezza sul lavoro in tema di appalti e subappalti. In pratica questo ha in sé la ragione necessaria e sufficiente a contestare l’invito all’astensione o alla contrarietà in quanto tocca un fenomeno drammatico come le vittime sul lavoro che ci colloca tra i Paesi meno civili, nel settore, superando la cifra impressionante di mille morti all’anno (ultimo episodio, fatale, quello che ha visto protagonista la diciassettenne veneziana al primo giorno in prova).
Quindi, votare per confermare la propria adesione al sistema democratico e l’umana sensibilità ad aspetti e problematiche che toccano, inevitabilmente, la coscienza di ciascuno di noi.
Michele Marino