Checché ne dicano i cinici scafati, anche l’espressione delle “buone intenzioni”, con i vaporosi zeffiri che vi si levano, è utile nei rapporti internazionali.

L’incontro – almeno la parte pubblica trasmessa in mondo visione tra Donald Trump e Giorgia Meloni alla Casa Bianca – è servito per l’immagine più che per la sostanza. Nessun essere raziocinante, in termini politici, poteva attenersi risultati concreti e risolutorei.

Del resto, i dazi li tratta Bruxelles e Trump stesso ha riconosciuto l’Europa come “blocco unico”. Il Presidente Usa lo ha dovuto, alla fine, capire ed accettare rimandando a fasi più contorte, e sotterranee, l’idea di dividere l’Unione almeno nel corso della guerra dei dazi.

La diretta tv dalla Casa Bianca è stata comunque utile per farci ascoltare un Trump convinto che, alla fine, si troverà un accordo commerciale con “l’Europa ed altri”. E, a questo riguardo, la visita della nostra Presidente del consiglio sembra sia, almeno, servita a prevedere un possibile incontro proprio a Roma tra Trump e, possibilmente con i vertici europei. Cosa che Trump ha promesso di considerare. Ma è certo che il passo più rilevante per tutti sarebbe una effettiva ricerca del dialogo con la Cina.

La possibile visita a Roma di Trump sembra essere l’unico punto rimarchevole del bilaterale. Poco, molto? Dipende dai punti di vista e commisurandolo con le attese di qualcuno.

Può essere cosa buona, ammesso che il Presidente americano continui a mostrare il buon umore sfoggiato con una Meloni che, evidentemente, egli tiene in tanta considerazione. Anche se non sono sfuggiti i ripetuti attacchi al predecessore Biden fatti in sua presenza. A ricordo della reciproca e ostentata simpatia intercorsa tra Giorgia Meloni e Joe Biden? Ma per la nostra Presidente del consiglio, e per l’Italia, Biden è oramai un amore passato.

E gli strali trumpiani, tra i più duri dell’incontro, sono stati diretti anche contro il Presidente della Banca centrale Usa, la Fed, Jerome Powell, che non si piega alle pressanti richieste di abbassare i tassi d’interesse adducendo il timore di una più forte inflazione a causa della guerra scatenata dai dazi imposti da Trump. Uno scontro non di poco conto tra i due che smentisce l’ottimismo di Trump sulle prospettive economiche degli States.

Giorgia Meloni, un po’ stretta anche dai mutamenti di linea di Trump nell’ultima settimana, ha fatto la sua parte restando sostanzialmente al proprio posto, non affrontando affatto la questione della guerra doganale scatenata nonostante i danni che arrecano all’economia italiana. Ed evitando di presentarsi come rappresentante impropria dell’Europa. Così come ha tenuto il punto sull’Ucraina ricordando chi è stato a scatenare il conflitto.

Giorgia Meloni non ha mancato di venir meno ad uno dei suoi guizzi pomposi quando ha definito quello con Trump  un incontro utile per “far tornare grande l’Occidente”. Senza, però, precisare di quale Occidente si parli. E, comunque, ha mostrato un grande coraggio facendolo di fronte a colui che all’Occidente ha menato violenti fendenti provando a condurlo lungo sentieri illiberali.

Ma tutto questo è servito solamente ad alimentare il “circuito” della comunicazione e solo il prossimo a venire ci dirà cosa si siano detti a quattr’occhi i due che, in pubblico, c’hanno fatto vedere com’è forte la loro  alleanza politica.

Oggi a Roma il secondo round con il vice di Trump, J. D. Vance, ieri presente nello Studio Ovale. Un incontro fortemente ridimensionato di valenza dopo il volo di Giorgia Meloni a Washington. Ma che, questo punto, a Vance interessa sopratutto per riuscire a farsi vedere seduto accanto a Papà Francesco come maliziosamente scrive stamattina la BBC.

Giancarlo Infante

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