Che le novità, e con esse le emozioni, siano mancate nelle prime quattro settimane della nuova Presidenza Trump non può evidentemente esser detto. E se è innegabile alcune di esse – come quella relativa al futuro della martoriata Striscia di Gaza – hanno suscitato scandalo e preoccupazione sulla scena internazionale, altre hanno invece sollevato grandi speranze. Soprattutto la lunga telefonata a Putin, primo segno del tentativo di mantenere la promessa più strombazzata dal candidato repubblicano, quella di porre termine alla fratricida guerra d’Ucraina.

Non tutte le emozioni del mese sono però venute da Donald Trump, né dalle dichiarazioni – di cui avremo certamente occasione di parlare nei prossimi giorni – del suo, intellettualmente assai meno originale, Vice-presidente, il cui ruolo costituzionale consiste nell’essere destinato a succedergli nel caso il prossimo attentato andasse a segno. Al commento di quanto detto dall’accoppiate Trump-Vance, ci sono in verità aggiungere le novità geopolitiche o/e tecniche venute dall’Asia, in particolare dall’India e dalla Cina.

Narendra Modi, il Primo Ministro indiano si trova infatti in questi giorni a Washington, e non certo per un incontro tecnico-promozionale come il Summit – peraltro rivelatosi assai interessante –  sull’Intelligenza Artificiale tenutosi a Parigi il 10-11 febbraio. Il suo incontro con il Presidente Donald Trump ha infatti – cosi è stato esplicitamente detto da un collaboratore della Casa Bianca – “il potenziale per rimodellare la geopolitica globale”. Perché “questo è un momento storico per garantire all’India il suo legittimo posto come potenza globale. Per decenni l’India ha aspirato ad una maggiore leadership negli affari mondiali. Quel momento è adesso.

La visita, auspicata da Trump, trova il terreno ben preparato. Appena poche ore dopo aver prestato giuramento, il suo Segretario di Stato, Rubio aveva infatti convocato a Washington una riunione del Quadrilateral Security Dialogue – l’alleanza tra Stati Uniti, India, Giappone e Australia meglio conosciuta come Quad. A questo blocco militare, formato nel 2004 per contrastare l’influenza della Cina, è stata attribuita dai media un’importanza assai crescente. Molto potenziata anche militarmente durante il primo mandato di Trump come “gruppo di democrazie che si opponevano alla Cina autocratica”. L’alleanza politica, è stata poi elevata di livello da Joe Biden nel 2021.

Un colpo ai BRICS

Oggi, chiaramente, Trump vuole dare all’India un’importanza senza precedenti tanto nella politica estera quanto in quello della cooperazione e in molti campi: da quello della difesa, alla cosiddetta “intelligence”, cioè dello spionaggio, dall’esplorazione spaziale sino a quello dell’intelligenza artificiale. C’é quindi da aspettarsi, forse anche già i prossimi giorni, la novità di una crisi – più o meno occultata – dei BRICS, la tanto favoleggiata coalizione alternativa all’egemonia mondiale dell’America.  Cui peraltro Trump, appena assunto il bastone del comando, non ha mancato di indirizzare un minaccioso avvertimento: che la smettano di coltivare “perniciose illusioni” sulla possibilità di ridimensionare il ruolo mondiale del dollaro. E l’India non sembra essere stata insensibile all’ammonizione: una sconfitta secca per la teoria del “Sud Globale” e per Russia e Cina.

Quanto a quest’ultima, il suo contributo al clamore suscitato dal passaggio da Trump a Biden è più che noto: l’imprevista irruzione di DeepSeek sulla scena mondiale. A prima vista uno dei tanti chatbot degli ultimi due anni, l’ultima novità venuta dalla Cina potrebbe invece avere conseguenze politiche che i magnati del Big Tech farebbero bene a prendere in attenta considerazione. E che il nuovo Capo dello Stato americano ha giustamente definito un “wakeup call”.

Trump ha con queste parole toccato il punto centrale della questione ed ha provocato una risonanza così ampia e unanime da assumere essa stessa valore politico. Perché bisogna avere ben chiaro – e tenerne conto – che molte delle altre iniziative politiche emerse a partire dall’ultima decade di Gennaio – l’ethnic cleansing degli abitanti di Gaza, l’uso della forza tra paesi entrambi membri della Nato, l’annessione del Canada agli USA, una feroce guerra di dazi, ecc –  sono apparse solo ipotetiche, rinegoziabili, o ritrattabili. Mentre il fatto messo in luce dalla performance del chatbot DeepSeek-R1 – cioè l’insospettato livello di sofisticazione ormai raggiunto dai cinesi in questo campo – difficilmente potrà più essere messo in discussione. E le relazioni politiche degli altri paesi con il gigante asiatico ne saranno indubbiamente influenzate.

Per analizzare questa novità – che si è imposta all’attenzione non solo degli ambienti che si occupano per ragioni professionali dell’Intelligenza Artificiale, bensì a tutta l’opinione pubblica americana, e forse ancora di più quella internazionale –  bisogna partire dai giorni immediatamente precedenti il momento in cui DeepSeek-R1 è stato clamorosamente notato dal grande pubblico. Tenendo tuttavia conto di una serie di altri fattori generali – politici e congiunturali – piuttosto particolari.

Una coincidenza maliziosa?

La fase più negativa della vicenda è stata la seconda settimana dopo l’ascesa di Trump alla Casa Bianca. Una fase tanto più drammatica in quanto si trattava di un Presidente che aveva promesso grandi trasformazioni, tra cui nientemeno che l’immediato inizio, per l’America, di una nuova “età dell’oro”.

Ma al cui avvento ha invece fatto seguito un terribile collasso borsistico, a causa della coincidenza – probabilmente maliziosa – tra la disponibilità in rete di DeepSeek – anche se in una versione leggermente differente da quella R1– e il giorno dell’incoronazione. Solo che, nell’eccitazione del passaggio ad una nuova presidenza, le aziende e tutti (o quasi tutti) gli esperti americani del settore erano stati, “may be a little distracted and a little bit too complacent” (un poco distratti e troppo compiacenti, ndr) – come dirà più tardi a Fox News David Sacks, appena nominato “Zar” dell’AI e delle Cripto-valute – per prestare attenzione a quella che sembrava l’ennesimo chatbot-imitazione lanciato sul mercato dopo lo straripante successo commerciale di ChatGPT.

La prima settimana del suo mandato, Trump la ha vissuta in questo clima, che probabilmente ha voluto cercare di non guastare rimandando al week end successivo l’annuncio dei dazi, e cercando di sfruttare a fini demagogici e di propaganda le colpe dei presunti responsabili dell’incidente aereo avvenuto sul fiume Potomac, e la cacciata degli immigrati irregolari, di cui oggi non si sente più neanche parlare.

Sarà infatti solo verso la fine della prima settimana della Presidenza Trump che gli ambienti interessati alla AI prenderanno la misura esatta delle capacità effettive di DeepSeek-R1, in confronto con quelle dei prodotti più avanzati di OpenAI. La più importante delle quali é – a parità di efficacia operativa – la sua efficienza in materia di semplificazione del training e di consumi energetici. E ciò benché la società di Hangzou – a causa dell’embargo all’esportazione verso la Cina dei chips più sofisticati, soprattutto quelli prodotti da Nvidia – avesse avuto a sua disposizione solo un numero relativamente piccolo dei chips più moderni e potenti. Ed avesse supplito con prodotti meno sofisticati, le cui tecniche di utilizzazione erano state però razionalizzate con “a lot of clean, elegant engineering”(tanta ingegneria pulita ed elegante, ndr).

E di questo – si noti – l’utilizzatore di DeepSeek-R1 può avere le prove, data la natura open source del prodotto. Perché delle prove del fatto che i Cinesi abbiano creato molte strutture innovative, e sfruttato non poche delle nuove scoperte é possibile trovare traccia nella grande quantità of materiale di ricerca reso disponibile. Incluso il cosiddetto M.O.E. – un acrostico che sta “mixture of expert structure(miscela di struttura esperta, ndr). Il che significa che per ogni LLM (large language model)  essi avevano fatto uso di un gran numero di diversi “sistemi esperti”.

Gli orizzonti della Cina

Il successo di DeepSeek è stato poi rafforzato dalla pubblicazione, proprio in quei giorni, da parte del Financial Times, di una notizia correlata. Notizia credibile, non solo per l’attendibilità del quotidiano londinese, ma anche perché la storia raccontava che la comunità scientifica cinese aveva, già nel 2017, preso con Xi Jinping un impegno per raggiungere una serie di obiettivi fissati entro scadenze prestabilite. Per quanto riguarda il campo dell’intelligenza artificiale – compresi i progressi nella ricerca, nello sviluppo e nell’applicazione dell’intelligenza artificiale in vari settori come sanità, istruzione e sistemi autonomi – questa lista sottolineava l’importanza che la Cina diventasse un leader globale entro il 2030, con un traguardo intermedio, quello della AI generativa, fissato per il 2025. Traguardo che, come si poteva vedere, era stato puntualmente rispettato.

Nel corso del successivo weekend è così diventato quasi un luogo comune, ripetuto da tutti a Washington non meno che a Silicon Valley, quasi un elemento di “saggezza consolidata” che il Language Model messo a punto dalla piccola società cinese fondata solo nel 2023 funzionasse meglio o almeno alla pari con la versione più recente del chatbot di OpenAI. Cosicché, lunedì 27 gennaio si è verificato a Wall Street un fuggi fuggi da tutti i titoli che avessero qualcosa a che fare con i potenziali concorrenti di DeepSeek, e dei loro principali fornitori.

L’ammirazione e – al tempo stesso –  l’irritazione che ormai circondava questa nuova meraviglia venuta dall’Oriente ha infatti portato molti non solo a temere che nel prossimo futuro non ci sarà grande domanda per i più sofisticati chips prodotti da NVIDIA (o da altre marche che potrebbero prenderne il posto), come invece si pensava sino a ieri. Ma anche a chiedersi se i miliardi già spesi negli ultimi anni per i data centers fossero stati davvero necessari, e in che misura da quegli investimenti sarebbe stato possibile rientrare.

Pertanto, il valore di mercato di Nvidia è crollato di circa 590 miliardi di dollari lunedì 27 gennaio, per poi riprendersi di circa 260 miliardi di dollari il martedì successivo, ma è sceso nuovamente di 130 miliardi di dollari il mercoledì. E a una fase di ribasso generalizzato che ha fatto perdere all’indice l’S&P 500 circa l’1,5 in una sola giornata.  Queste reazioni della borsa mostrano come il mercato concordi con gli esperti del settore dell’AI sul fatto che l’ottimizzazione di DeepSeek può davvero ridurre massicciamente i costi computazionali e aprire la porta ad architetture più efficienti.

Insomma, anche se è ancora troppo presto per esserne certi, sembra lecito affermare che DeepSeek abbia sconvolto le prospettive tecnologiche del settore, imponendo alle aziende nuovi metodi di ricerca e sviluppo. E molti, incluso qualche Premio Nobel, si sono dichiarati convinti che si sia giunti, nella contesa cino-americana per la supremazia nella AI, al momento in cui è necessario un cambiamento nelle strategie americane.

La “legge di scala”

Le resistenze ad accettare questa nuova situazione non sono ovviamente mancate. Da più parti è stato infatti affermato che l’esperienza DeepSeek, sebbene di successo, non smentisce totalmente la cosiddetta “legge di scala” (ovvero, che modelli più grandi forniscono risultati migliori); che essa non smentisce del tutto lo “established wisdom” finora prevalente, secondo cui i sistemi di intelligenza artificiale più potenti non potrebbero ancora fare a meno di infrastrutture molto costose. E che questo costringerebbe le due principali dramatis personae, l’America e la Cina a investire ingenti risorse finanziarie nella partita, se non vogliono mettere a rischio anche la posizione sinora conquistata.

A partire dal primo week end di febbraio è così cominciata una campagna per insinuare che DeepSeek-R1 fosse copiato da ChatGPT. E contemporaneamente si è cominciato a mettere sul mercato nuove versioni dei chatbot esistenti per cercare di entrare in concorrenza e, se possibile, di sorpassarlo.

Del resto, lo stesso Trump si era mosso su questa linea pochi giorni prima del tracollo del 27 gennaio. E – forse senza rendersi conto della scelta che stava facendo – aveva accettato di sponsorizzare personalmente il gigantesco Progetto Stargate: un progetto che prevede di investire nientemeno che 500 miliardi di dollari in quattro anni per infrastrutture che dovrebbero garantire la leadership americana nella AI. E ovviamente garantire all’America la supremazia militare.

I primi azionisti di Stargate sono SoftBank (una nota istituzione giapponese), MGX (in pratica il Fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti), più OpenAI e Oracle, con OpenAI che avrà la responsabilità operativa, e SoftBank – il cui patron Masayoshi Son sarà il presidente – che avrà la responsabilità finanziaria. I principali partner tecnologici iniziali saranno Nvidia, Microsoft e Arm, un’azienda britannica, la cui proprietà è la stessa di Softbank, ma che – nel quadro della rapidissima evoluzione dell’intero comparto della AI – è sul punto di un salto di qualità verso prodotti più complessi, che potrebbe portarla a occupare parte del terreno oggi dominato da Nvidia. E che fornisce un inquietante esempio di apertura della nuova Amministrazione americana verso il Regno Unito, in forte dissonanza con i rapporti con una EU che sembra addirittura incapace di capire cosa stia accadendo.

Solo che sposando l’idea grossolana – e tipicamente americana – che tutti i problemi si risolvano sempre e soltanto “throwing money at them” (lanciandolgi i soldi,ndr), Trump ha si è trovato smentito tre giorni dopo dall’esplosione dell’entusiasmo universale per DeepSeek . Un entusiasmo che appare però un po’ eccessivo al sottoscritto, personalmente convinto che non basterà “a lot of clean, elegant engineering” (un sacco di ingegneria pulita ed elegante, ndr) a garantire i futuri progressi della AI, soprattutto nel passo che è sul punto di compiere dalla capacità “generativa” verso il cosiddetto “reasoning”.

Vale la pena di notare che Trump non si è trovato solo. Dopo qualche giorno di sconcerto, tutti i colossi della BigTech hanno a reagito più o meno nella stessa maniera, confermando l’impegno a massicci investimenti in un prossimo futuro. Non foss’altro che per mostrare i loro muscoli. In altre parole, come è stato detto da qualche osservatore, “la risposta alla nuova domanda posta dal fenomeno DeepSeek sembra essere stata: avanti a tutta forza!.”

In realtà, questa reazione era inevitabile. Non è possibile che strutture consolidate e pesanti come quelle delle sette magnifiche sorelle del big tech cambino rapidamente modo di comportarsi – o se lo fanno, ammettano di farlo –  solo perché si sono venute a trovare di fronte a un successo, anche molto clamoroso, che consigli un approccio diverso. Ed é già stato un molto positivo segno di realismo e di reattività che Wall Street sia stata per alcuni giorni sulle spine, chiedendosi come Silicon Valley avrebbe risposto all’approccio tecnologico di DeepSeek.

Qualcosa è cambiato

Ai primi di febbraio, la questione della AI è poi andata un po’ nell’ombra. Trump, infatti avendo – forse proprio per distrarre il pubblico dall’immagine che aveva finito per darsi appoggiando così ostentatamente il faraonico progetto di Altman –  è passato a fare delle proposte sulla Palestina che hanno suscitato un putiferio mondiale, e poi all’annuncio, mercoledì 12 febbraio, di aver avuto una lunga ed “eccellente” conversazione con Putin.

Il tentativo massiccio di mantenere il punto della tradizione americana, contro l’innovazione proveniente dalla Cina, non poteva però evitare di suscitare ulteriori conseguenze politiche. Ed infatti, non molti giorni dopo il clamoroso annuncio di Trump, il 7 febbraio, quando a Mosca erano le 5 del pomeriggio, l’agenzia Reuters dava l’annuncio – ripreso immediatamente, e con comprensibile allarme, dal quotidiano giapponese Asahi Shimbun – di un’iniziativa della più grande banca pubblica russa, Sberbank, per collaborare con i ricercatori cinesi su progetti comuni nel campo della IA.

Questa ex cassa di risparmio di proprietà pubblica appesantita da un personale eccessivo è stata infatti affidata nel 2007, allo scadere della seconda Presidenza di Putin, cui la Costituzione impediva un terzo mandato consecutivo, ad un suo stretto collaboratore ed ex ministro: Herman Gref, un tedesco del Volga. E da questi trasformata non solo in un istituto bancario di stile occidentale, ma in uno dei principali centri che in Russia si sono sinora occupati dell’Intelligenza Artificiale. Dal 2023, sull’esempio di ChatGPT, offre anche un proprio chatbot, GigaChat MAX, e dispone di personale specializzato soprattutto al settore finanziario, ma di buon livello. Putin sembra esserne consapevole, e da Herman Gref si aspetta un progress report entro la fine di aprile.

Anche la proposta russa di collaborare con la Cina è, con tutta evidenza, una conseguenza politica del “wakeup call” e delle onde d’urto nei giorni scorsi generate dal caso DeepSeek nei mercati globali. Mosca, infatti, aveva sinora trascurato la AI al punto di collocarsi oggi al 31° posto nella classifica dei paesi impegnati nell’implementazione e nell’innovazione dell’IA. Ma che sembra improvvisamente cercare un punto di contatto con DeepSeek. O qualche centro di ricerca, o startup del genere, in Cina. Cioè nell’unico paese la cui politica scientifica sembra poter sfidare dato la supremazia americana in tutti i campi.

La proposta russa ha avuto in Cina un’accoglienza molto favorevole, che gli osservatori occidentali non si sarebbero aspettati, e la cui attuazione compenserebbe largamente qualsiasi indebolimento geopolitico dovuto a un insuccesso dei BRICS. E infatti, Liu Wei, direttore del Laboratorio di interazione uomo-macchina e ingegneria cognitiva dell’Università di Pechino, ha definito, su un quotidiano di Shanghai, “immenso” il potenziale di cooperazione tra Cina e Russia nel campo dell’Intelligenza artificiale. Ed ha sottolineato la complementarità non solo tecnico-economica, ma in una certa misura anche “culturale” tra i due popoli,

Liu ha poi aggiunto qualcosa che conferma le mie personali convinzioni sui limiti del possibile contributo di DeepSeek al futuro della AI : “le capacità applicative, le risorse di dati e le basi tecnologiche della Cina possono fornire scenari applicativi pratici per la ricerca teorica russa, mentre i vantaggi della Russia negli algoritmi di intelligenza artificiale e nelle teorie fondamentali possono aiutare la Cina a ottenere progressi più profondi nella ricerca sulla intelligenza artificiale. La cooperazione tra i due paesi nell’utilizzo dei dati, nell’ottimizzazione degli algoritmi e nell’innovazione delle applicazioni ha un grande potenziale”.

L’offerta di Mosca a collaborare intensamente con Pechino nel campo dell’Intelligenza Artificiale potrebbe dunque essere la principale conseguenza politica del fenomeno DeepSeek, probabilmente l’evento più significativo – e il solo veramente irreversibile – del primo mese di Donald Trump alla Casa Bianca.

GiuseppeSacco

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