Nell’ottobre 2020, Franco Corleone, ex Commissario unico per il superamento definitivo degli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari), affermava, nell’ambito della salute mentale, che” l’Italia può insegnare molto in Europa e nel Mondo poiché è il primo Paese ad aver chiuso i manicomi civili con la L.180/1978(c.d. Legge Basaglia), approcciandosi al modello di “community based” che dà priorità al rispetto della vita e dei diritti umani”.
Corleone, affiancandosi all’ideologia basagliana per cui “la libertà è sempre terapeutica, ritiene che la responsabilità delle Istituzioni coinvolte è terapeutica e l’esperienza triestina nell’affrontare le patologie mentali è riconosciuta dall’OMS (Organizzazione mondiali della Sanità) come una delle più avanzate al Mondo”.
Ed è proprio da questo nuovo concetto di “malattia mentale” introdottro con la L.81/2014 che venne prevista la chiusura definitiva degli OPG, con la loro lunghis sima storia di violenze,soprusi e costrizioni sostituendoli con l’apertura delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).
Questo passaggio eocale venne definito come una sorta di rivoluzione gentile che, tuttavia, presenta ancora notevoli difficoltà,in particolare siaa sul numero dei possibili pazienti da ospitare,sull’importante aumento della durata media del ricovero in REMS e sulle difficoltà burocratico-amministrative onnipresenti.
Per l’ex commissario,le REMS hanno delineato un vero patrimonio culturale in quanto “strutture ad alta integrazione socio-sanitaria”nelle quali si suddividono i Dipartimenti di Salute Mentale.
A tutt’oggi e, nonostante il passato glorioso del nostro Stato in ambito della salute mentale,sembra che non si è ancora riusciti nell’intento di predisporre un’adeguata sua valutazione ed una vigilanza forzata nelle nostre carceri,così co me poco si è ancora fatto nelle REMS ed in particolare nella predisposizione di un numero adeguato su tutto il territorio (!!).
Basti pensare che a gennaio 2024 se ne contavano 31 per una popolazione carceraria che soffre di disturbi mentali pari al 32,8% (dato al 15.11.2024 www.serenis.it/articoli/salute-mentale-carcere/).
Sono dati che dovrebbero destare un forte allarme in ambito istituzionale ed avviare un cambiamento della attuale situazione che finisce con l’incidere anche sulla situazione del Sistema Carcerario, afflitto da tanti problemi trai quali spicca la detenzione di malati mentali conclamati sui quali si continua a tacere..
Sull’importante problema è intervenuta, di recente,anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 99/2019 che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta,il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condan nato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter“, (www.anaao.it).
Tale atto conferma l’equiparazione dell’infermità mentale del detenuto a quella fisica,così da poter godere delle misure alternative al carcere ed accedere alle cure più appropriate.
Nel costituisce un caso di specie quello di un ragazzo sassarese di 28 anni, Simone Niort, resosi responsabile di gravi reati e condannato a 10 anni e 20 gg per tentato omicidio della fidanzata incinta (che perse il bambino),molestie, resistenza a P.U. sebbene affetto da un grave disagio psichiatrico e incarcerato dal 2016,nonostante durante la detenzione abbia tentato numerose volte di suicidarsi, in base alla c.d. sindrome reattiva al carcere (La Nuova Sardegna, 28.3.2025) confermata da tentativi di violenza su sé stesso e tentativi di suicidio, fino al 2022,per ben 45 volte.
Il giovane é stato perseguito anche per ulteriori reati ed in parte assolto proprio per la riconosciuta minorazione della capacità di intendere e volere al momento del reato, così come nella previsione codicistica penale dell’art. 85 e civile in diversi articoli. Tuttavia altri procedimenti a suo carico non sono ancora conclusi.
Il Niort,incarcerato la prima volta nel giugno 2016 e,successivamente,in deten zione domiciliare oltre a subire trasferimenti in diversi istituti penitenziari,è stato sottoposto a perizie diverse che hanno confermato tutte l’esistenzadi un disturbo importante di persona borderline,antisociale,associato ad un disturbo bipolare, ad un deficit di attenzione e tossicodipendenza.
Un rapporto psichiatrico del 2019 indicava, inoltre, che “sebbene la detenzione non possa causare di per sé una patologia psichiatrica, può rivelare o aggravare fragilità o disturbi preesistenti. Confermava anche che il detenuto era un soggetto socialmente pericoloso per l’assenza di consapevolezza della sua malattia e il rifiuto di seguire la terapia”.
Per tutto quanto sopra, nel Marzo 2020, lo stesso detenuto presentava al Magistrato di sorveglianza di Sassari, una richiesta di assegnazione ad una residenza più idonea a causa dei rischi di diffusione del COVID-19,richiesta puntualmente rifiutata perché, si riteneva che il Niort fosse regolarmente seguito dai medici ed educatori del Carcere e non sussistevano incompatibilità tra pandemia e carcerazione !!!!!
Successivamente, l’Ufficio di Sorveglianza, nel novembre 2022,ordinava al DAP di identificare una struttura di reclusione più idonea alla stato di salute del detenuto ma, probabilmente per errore dell’Ufficio stesso che avrebbe dovuto inviare la richie sta all’autorità amministrativa sanitaria e non al DAP, la risposta fu negativa e il detenuto rimase in carcere ed in isolamento senza usufruire di alcuna attività rieducativa (Unione Sarda 28.3.2025).
A seguito della rifiuto,il detenuto presentava opposizione allo stesso Tribunale, ma il responsabile sanitario del Carcere riferiva che il detenuto soffriva solo di un disturbo bipolare che lo psichiatra del carcere cercava di gestire.
In un secondo rapporto, di poco successivo,veniva invece proposto un program ma terapeutico che tenesse conto dei comportamenti antisociali del Niort, legati alla sua patologia che rendeva complessa.e a tratti incompatibile,la permanenza in carcere ed in base a tale rapporto emergeva il timore del Niort di essere sottoposto a cure mediche obbligatorie.
Nel settembre 2020,il Tribunale di Sassari, seguendo il parere del primo responso sanitario che riteneva la detenzione in carcere del Niort compatibile con il suo stato di salute, suggeriva un periodo di osservazione psichiatrica ex art. 112 DPR 200/2000 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) allo scopo di accertarne le infermità psichiche.
A tal fine veniva trasferito temporaneamente a Cagliari che ospita una struttura che permetteva un monitoraggio quotidiano da parte di uno psichiatra, fino alla stesura di un ulteriore rapporto finale. Nel frattempo il detenuto presentava due ricorsi al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari per ottenere l’assegnazione in prova ai servizi sociali, ricorsi puntualmente respinti. A novembre 2022, dopo l’ennesimo tentativo di suicidarsi, la Polizia Penitenziaria evidenziava la difficoltà di gestire il detenuto anche per il suo continuo rifiuto delle terapie, come del resto era già evidenziato in un rapporto del 2019.
Tra le tante contraddizioni istituzionali e sanitarie, lo stesso Tribunale di Cagliari riteneva, successivamente, che la patologia mentale del soggetto “”fosse assoluta mente incompatibile con la carcerazione e fosse quindi indispensabile individuare urgentemente un altro istituto penitenziario che potesse erogare le cure più opportune del caso. Purtroppo, il Tribunale di Sassari negando l’incompatibilità, non considerava alcuna eventuale diversa soluzione, quale, ad es. il ricovero in una struttura psichiatrica, mentre il detenuto continuava ad essere ristretto in carcere. In conseguenza, nel maggio 2023, il suo difensore presentava ricorso in Cassazione che, tuttavia, rigettava l’atto per difetto di autonomia (autosufficienza) della motivazione.
Nel contempo veniva presentato dal detenuto un reclamo ex art.35bis della Legge 354/1975 per “inadeguato trattamento medico che veniva, anche questa volta rigettato non essendo il detenuto oggetto di un regolare monitoraggio, poteva essere curato adeguatamente anche in carcere”…
A gennaio 2023, il difensore informava il Magistrato di Sorveglianza di Cagliari di aver individuato una struttura che, dopo un periodo di prova, avrebbe accolto il Niort ma anche questa richiesta veniva disattesa con la motivazione che, in questo caso, il detenuto avrebbe dovuto usufruire di un permesso premio di uscita che invece non poteva essergli concesso data la sua inaffidabilità e violenza.
A questo punto, esperiti tutti i ricorsi interni al nostro Ordinamento e dati gli esiti negativi, l’avvocato di parte presentava, a gennaio 2023, domanda alla Corte di Strasburgo ex art. 39 relativo alle misure provvisorie, che la Corte può disporre a salvaguardia dei diritti recriminati in un ricorso, con l’invito al Governo italiano a predisporre il trasferimento del reo in una struttura adeguata alla patologia riscontrata ed accertata.
In risposta, il Governo Italiano, sulla base di due certificati del responsabile del S.S. di Cagliari del 2022 e 2023 (…il detenuto stava attraversando un periodo di compensazione farmacologica relativa …) confermava la piena compatibilità del ristretto con il Sistema Carcerario.
Dai rapporti emergeva quasi che i sanitari addossassero la colpa dell’autole sionismo ed i tentativi suicidari allo stesso Niort, affermando che “il suo scopo finale era di manipolare il personale per ottenere benefici (in particolare il suo trasferimento a Sassari per riavvicinarsi alla famiglia)senza alcuna reale intenzione suicida”.
Di fronte all’ennesimo rifiuto, il detenuto si cospargeva di carta e si dava fuoco, con la conseguenza di venire “punito” e trasferito a Torino, dove continuava ad autolesionarsi e veniva ristretto in una cella liscia o zero (completamente vuota, senza brande, finestre, maniglie e sanitari) che costituisce ancora oggi una punizione disumana, fatta anche di violenza e soprusi. Per contro nella nostra Costituzione all’art. 27, 3c.si afferma che la pena ha uno “scopo rieducativo e di risocializzazione”.
Pertanto non si spiega il trattamento disumano in questo caso che non risulta isolato ma è preceduto da casi analoghi (ad es.Caso A.Z. c.Italia- ricorso n. 29926/20 pronuncia del 4 luglio 2024,relativo al mantenimento in carcere di persona con disturbi psichici e tentativi di suicidio).
Il 27 marzo 2025 la CEDU ha, quindi, depositato la sentenza (4217/23) con cui condanna l’Italia, per il caso Niort, rilevando l’inosservanza della convenzione CEDU che stabilisce nell’art. 3 che (nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti),ed art. 6 par.1 che (Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole …).(v. sentenza allegata)
Emerge dalla decisone, in particolare, che, sotto il profilo civile l’amministrazione penitenziaria non aveva identificato una struttura più idonea rispetto al carcere, nonostante il Tribunale di Cagliari avesse riconosciuto l’inconciliabilità delle patologie del detenuto con il carcere, ed, in base all’art.38 della CEDU(esame in contradditorio della causa),ha condannato il Governo Italiano per non aver dato un’appropriata assistenza medica al detenuto siccome affetto da gravi meno menomazioni psichiatriche.
La Corte ha ribadito nella decisione che “è compito del Governo fornire elementi credibili e convincenti e dimostrare di aver fornito cure mediche complete ed appropriate in detenzione, poiché non è competenza della corte dare giudizi medici; può però chiedere, in casi particolarmente gravi, l’adozione di misure umanitarie da parte della giustizia penale” (richiamando la sentenza emessa nel caso Bamouhammad v/Belgique n.47687/13 del 17.11.2015).
La CEDU riafferma che, quando i Governi decidono di mantenere in detenzione persone con gravi e conclamate patologie, dovrebbero tenere in particolare considerazione i loro bisogni specifici, le conseguenze della carcerazione anche avvalendosi di una perizia ulteriore.
In sintesi, la CEDU ha sottolineato, in generale, la necessità, per i detenuti particolarmente vulnerabili, di una “vigilanza rafforzata” delle Autorità e di una analisi puntuale, precisa e frequente della compatibilità di questi soggetti con la privazione della libertà. A tale scopo, ha anche sollecitato il nostro Governo a provvedere con interventi normativi e organizzativi urgenti affinché vengano rispettati i Diritti dellUomo, principio cardine della CEDU.
Infine, alla luce di un esame approfondito del caso in questione, la Corte ha condannato il Governo italiano a risarcire il Niort per un importo di € 9.000, a titolo di danno morale e € 8.000,per le spese difensive del ricorrente.
Va, tuttavia, sottolineato che anche in Sardegna, Regione di appartenenza del Niort, è presente la REMS di Capoterra (CA) con una capienza di 16 posti. Dal sito (www.polisociale.it) si legge che è gestita dalla cooperativa sociale POLIS che dà la possibilità agli ospiti di percorsi terapeutici-riabilitativi-abilitativi con l’intento di sviluppare e migliorare le capacità relazionali dei detenuti.
Se le REMS sono sorte per superare e dimenticare le costrizioni, le violenze e la brutalità degli OPG,se le stesse non sono dei luoghi propriamente penitenziari perché gestite nel loro interno da personale sanitario, se il loro fine è la cura e riabilitazione della malattia mentale,allora occorre chiedersi perché Simone Niort è ancora in carcere(!!).
Partendo dall’assioma dell’equiparazione della malattia mentale a quella fisica e ricordando che l’Italia può insegnare molto all’Europa in questo ambito, non si comprendere perché non si provveda in maniera adeguata a modificare la normativa vigente e a ampliare la presenza di REMS sul Territorio nazionale..
Vale la pena, comunque, di ricordare quanto sosteneva, con un’affermazione sempre attuale F. Basaglia “abbiamo fatto molto, molto resta da fare: coraggio!”.
Claudia Trani