Giorgia Meloni a furia di traccheggiare nello slalom fra Trump e l’Europa, ha inforcato il paletto di una porta e si è fatta male. Ma, soprattutto, ha fatto male a “questa nazione”, come le piace dire spesso. E’ riuscita, infatti, nella formidabile impresa di mandare in panchina l’Italia, nel momento in cui sembra che le squadre stiano entrando in campo per dare, finalmente, il calcio d’ inizio alla partita della diplomazia. In altri termini, non è la politica estera di Palazzo Chigi a tenere alto il ruolo internazionale dell’Italia. Al contrario, è il prestigio dell’ Italia, paese fondatore dell’Europa e dal quale, dunque, non si può prescindere, a sostenere l’immagine di Giorgia Meloni.

Si ritiene, da più parti, che peserebbe il condizionamento di Salvini e soprattutto un orientamento dell’opinione pubblica che, in Italia, sarebbe in larga parte contraria ed insofferente del sostegno a Kiev. Senonché, un leader, che sia effettivamente tale, governa secondo una visione che risponde all’interesse primario del Paese, anche quando si deve navigare controcorrente. Non secondo i sondaggi. Non semplicemente lisciando l’opinione pubblica per il verso del pelo secondo l’ orientamento che, al momento, sembra prevalere.

In quanto al rapporto con Salvini, è curioso come Giorgia Meloni vanti la durata temporale del suo governo – la cui stabilità, per il vero, è il frutto obbligato della polarizzazione radicale del nostro sistema politico – e non affronti, invece, un franco chiarimento interno alla sua coalizione, che consenta all’Italia di non doversi ritrarre dal concerto internazionale ed europeo, pur di non creare tensioni, alla lunga ingovernabili, nella maggioranza in Parlamento.

In realtà, il punto dirimente che dà conto della posizione di Giorgia Meloni, così come si è rivelata, con esemplare chiarezza, in questi giorni, è un altro. Le va riconosciuto di essere coerente con sé stessa e di avere l’onestà intellettuale di non nasconderlo, al di là di qualche formale omaggio che il ruolo le impone nei confronti di un “europeismo” che non sta nelle sue corde. La sua cultura, la sua formazione, la sua stessa militanza politica la collocano inesorabilmente nel campo nazional-sovranista che trova in Donald Trump un coagulo ed un riferimento che lo rafforza e gli consente di coalizzarsi progressivamente in un fronte internazionale, anziché lasciare che ciascun sovranista avanzi per conto suo e confligga immediatamente con i suoi consimili, in maniera disordinata e confusa.
Opzione culturale, politica e strategica, questa di Giorgia Meloni, ovviamente del tutto legittima. Basta saperlo e regolarsi di conseguenza.

Giorgia Meloni, in altri termini, è nazionalista “ideologicamente”, non per caso. E’, cioè, convinta che la categoria di “nazione” debba essere la chiave interpretativa della storia ed il canovaccio attorno a cui costruire pure il nostro domani. E’ esattamente qui che casca l’asino e si comprende quanto sia culturalmente povera ed inadeguata al governo di un grande Paese, una tale visione. Valorizzare, diciamo pure, la “nazione”, cioè, il portato storico di un popolo, tutto ciò che di originale e creativo ha saputo produrre nel decorrere dei secoli ed ha permesso di costituirne una visibile unità, oggi, vuol dire cogliere ogni opportunità perché tale patrimonio sia condiviso con altri popoli ed altre culture, attraverso un lavoro sistematico di reciproca fecondazione.

Tradotto dal piano culturale e sociale, a livello politico ed istituzionale, vuol dire che è necessario concorrere alla formazione di “sovranità”, via via territorialmente più vaste ed integrate che consentano di “governare”
processi che trascendono sistematicamente i confini come li osserviamo oggi tra un Paese e l’altro. Del resto, solo in tal modo è possibile salvaguardare, di tale sovranità, la dimensione democratica e popolare, a fronte dell’invadenza di poteri “altri” che, anche nella misura in cui prescindono da ogni confine nazionale, minacciano e tendono ad emarginare il primato della politica, a favore di una sorta di “privatizzazione” del ruolo di comando nelle vicende del mondo.

Domenico Galbiati

About Author