Stiamo arrivando al dunque con l’Europa. Andrà presa una decisione sul da farsi perché tutto fa sembrare che ci saranno pochi sconti.

Politica Insieme non ha mai condiviso l’idea di chi vuole arrivare allo scontro o, addirittura, con chi vagheggia l’idea di una rottura che, come dimostra la vicenda Brexit, potrebbe aggravare la situazione. 

E’ chiaro  che si potrebbe essere chiamati all’assunzione di misure straordinarie. Ne parliamo con l’economista Nino Galloni

D ) Recentemente sia tu (con un articolo su La Verità), sia Alberto Bagnai, sul suo blog, avete sostenuto che il primo freno alla crescita per l’Italia è stabilito da un approccio macroeconomico – noto anche come prodotto lordo potenziale – che è alla base delle valutazioni della Commissione. Allora, senza entrare troppo in dettagli teorici, ci puoi spiegare meglio di che si tratta?

Galloni: Il raggiungimento del prodotto lordo potenziale segnerebbe il limite oltre il quale gli investimenti (soprattutto pubblici) invece di determinare ulteriore crescita dell’economia reale, produrrebbero solo inflazione. Negli anni ’60 esso segnava tale limite, ma si partiva dal lato opposto, ovvero: ci sono tot disoccupati, allora investimenti pubblici o anche sussidi, possono colmare il divario tra domanda effettiva e domanda potenziale; con la crisi della scuola keynesiana e il rigurgito del liberismo, si lavorò per definire la disoccupazione “strutturale”; concetto alternativo alla piena occupazione, ma, al contempo che trasferiva su di essa il livello insuperabile di sviluppo. Negli Usa, ad esempio, si stabilì che essa doveva essere il 4%: così, il governo non poteva e non doveva effettuare spese in disavanzo per scendere al di sotto di tale livello. Si trattò di un compromesso empirico, perché la disoccupazione dei bianchi era all’1% e quella dei neri oltre il 10%. Il problema è che il tasso di disoccupazione strutturale (quello sotto il quale non si può scendere) viene stabilito con delle medie storiche. Quindi, se prendiamo un ventennio di continua crisi e la disoccupazione è alta, secondo l’approccio che critichiamo non si potrà mai scendere sotto di essa; ovvero, raggiunta la media storica (nel caso italiano è molto alta, quindi inverosimile), non si devono più effettuare spese in disavanzo. Ricapitolando. All’origine, in un mondo ancora keynesiano, si voleva calcolare di quanto la spesa pubblica potesse e dovesse crescere in disavanzo (con immissione di mezzi monetari aggiuntivi); poi, tutto il contrario: niente disavanzo se la piena occupazione effettiva (cosiddetta strutturale perché ricavata dalle serie storiche) era stata già raggiunta. Conclusione: secondo il modello macroeconomico della Commissione, abbiamo un’elevata disoccupazione strutturale (a nostro avviso grazie proprio alle continue politiche recessive volute dalla Commissione stessa) e, quindi, non dobbiamo crescere.

Ma un debito pubblico che cresce per gli interessi più del Pil non è la causa dei freni che ci vengono posti?

Galloni: In un’Europa diversa, combattere tassi di disoccupazione così alti, soprattutto nel Mezzogiorno, dovrebbe essere una priorità; con l’aiuto dell’Europa, lo spread non crescerebbe, le banche comprerebbero titoli a tassi bassi, un certo disavanzo e un momentaneo aumento del Debito, avrebbero avuto le caratteristiche della non strutturalità, ovvero del tempo necessario a riassorbire la disoccupazione. Invece, nell’attuale disunione europea, quando ci dicono “in Italia avete una disoccupazione troppo alta (e un’occupazione troppo bassa)”, vogliono solo significare che ciò rappresenta un limite alla nostra crescita, non una situazione da contrastare!

Dunque per la Ue, noi abbiamo la piena occupazione, cioè  un livello tale da essere definito “strutturale”…

Galloni: L’assurdità sta in tre fattori: 1) è vero che la disoccupazione di cinquant’anni fa era più facile da riassorbire con investimenti (ad esempio opere pubbliche) mentre oggi la domanda di lavoro è molto diversificata e, a volte, le imprese non trovano le figure professionali cercate (anche perché la Governance del Lavoro non si è data abbastanza da fare in tal senso), ma, oggi, il prodotto per addetto ha un valore molto più alto; 2) esiste pure la disoccupazione della tecnologia perché non introduciamo innovazione avanzata in quanto la domanda è depressa e la Commissione ragiona così “siccome la domanda è depressa, non si possono fare investimenti tecnologici oltre un certo livello”; 3) l’equazione del reddito potenziale, allora, andrebbe rivisitata così (recuperando i valori ed i significati di un tempo): immettere mezzi monetari aggiuntivi fino ad un limite determinato dalla moltiplicazione dei redditi (mancati) dei disoccupati effettivi moltiplicato il loro reddito potenziale e aggiungendo l’effetto delle tecnologie disponibili ma non ancora introdotte. Si tratterebbe di oltre 350 miliardi di euro pari a un reddito di cittadinanza per tutti ben sopra i 500 euro al mese.

Come si coordina tutto ciò con la risposta della Commissione al Governo sulla situazione dei conti pubblici?

Galloni: Come molti temevano ed avevano previsto, la posizione di Bruxelles è stata durissima. In altri termini non c’è spazio per vivacchiare e tirare avanti. Lo sbloccacantieri potrebbe essere decisivo perché parliamo di parecchie decine di miliardi, ma la procedura di infrazione dovrebbe partire già il 9 luglio; i minibot per saldare immediatamente debiti della pubblica amministrazione (già contabilizzati, ma per i quali c’è carenza di liquidità), parimenti utilissimi; il taglio delle tasse (se fatto costituzionalmente, vale a dire rispettando la progressività delle imposte) richiede di rivedere tutto il sistema delle detrazioni e delle deduzioni, ma, allora, non darà effetti se non nel tempo (a differenza di un immediato taglio delle aliquote che, però avrebbe effetti da valutare sull’economia e neutri sui conti se accompagnato da spending review ovvero la via maestra di un peggioramento per la classe media che dovrà sborsare più soldi a causa della privatizzazione di servizi). Per contro,il paventato aumento dell’IVA e la stessa procedura di riduzione forzata del debito pubblico, forse circa 60 miliardi già il primo anno, sarebbero disastrosi per la nostra economia.

Insomma, la Commissione ci costringe a misure straordinarie e in netto conflitto con quanto la Commissione stessa ed i Paesi più ligi vogliono (purtroppo non possiamo contare su cambi di indirizzo a fine anno da parte della nuova Commissione). Il Governo, per tagliare le tasse senza ridurre la spesa, dovrebbe dichiarare guerra all’Unione Europea. Quindi è più probabile che il Governo – a prescindere dai toni – debba abbassare le ambizioni…oppure osare molto di più contando sulla mobilitazione di Italiane e Italiani ” di terra e di mare”. Insomma, sono proprio le posizioni moderate e di mediazione a sembrare senza possibilità di riuscita. La Commissione ci ha detto “se vi chinate, vi verremo incontro, ma se ci chiedete di riconsiderare la vostra posizione, vi mazzoleremo senza se e senza ma”. Quindi: o si alza il tiro, e di molto, o si molla…questa è la scelta adesso.

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