Quanto sta avvenendo nei rapporti tra le forze politiche, nonostante la pausa di riflessione consentita dal governo Draghi dovrebbe indurre ad altro, lascia già intendere che i rapporti cambieranno poco rispetto ai due schieramenti che si contendono la vocazione maggioritaria.

Da una parte il PD di Letta e i Cinque Stelle che diventa partito; dall’altra la tradizionale coalizione di centro destra.

Anche se all’apparenza bisognerà vedere se il PD supererà le baruffe interne che hanno portato alle dimissioni di Zingaretti e soprattutto quanto terrà il nuovo partito di Conte che venendo pur sempre da un movimento dell’antipolitica,  pare si stia sgretolando. E così pure, sul fronte opposto, bisognerà vedere quanti consensi perderà la Lega che sembrava destinata a restare il partito di maggioranza relativa e quanti ne acquisirà in più Fratelli d’Italia.

Incerta resterà la sorte dei partiti, gruppi o movimenti minori che non fanno parte dei due schieramenti, alcuni dei quali vengono dagli sconquassi parlamentari degli ultimi anni.

In un paese normale, che fa parte dello schieramento delle democrazie occidentali, dovrebbe essere salva in ogni caso una alternanza nel quadro delle istituzioni democratiche e di fedeltà all’unione europea, se non fosse che in entrambe le coalizioni elettoralmente egemoni non siano estranee tentazioni incerte. Nel PD di Letta non sono certo scomparse posizioni divergenti su come affrontare le disuguaglianze sociali, sulla misura dell’intervento dello Stato in economia e sul funzionamento della giustizia. Per non parlare delle posizioni nel centrodestra: in quelle espresse dall’insopprimibile agitazione di Salvini c’è sempre attenzione verso le esperienze ungheresi e polacche; quanto alla Meloni il collocamento all’opposizione non costa nulla e  l’unica attività che si vede è la ricerca del consenso subito, anche a rischio di facili contestazioni sul terreno incerto dei provvedimenti anti Covid.

Eppure c’è uno spazio per proposte politiche nuove purché si esca dall’ottica degli schieramenti per spostarsi su quello dei contenuti e delle proposte politiche. Sarebbe sufficiente affrontare la crisi imposta dalla pandemia, e i profondi cambiamenti che ne conseguiranno, per non limitarsi ad osservare la contesa tra i due schieramenti egemoni, attenti magari a chi vincerà le elezioni, ma piuttosto per  proporre nuovi orizzonti di iniziativa della politica.

Il confronto per il potere infatti non è tutta la politica e non contiene tutte le regole: la  società viene prima dello Stato, come ci ha insegnato Aldo Moro, e solo l’attenzione verso  ciò che in essa cresce, si muove e si manifesta può consentire che si torni a una concezione dello Stato non solo come luogo di esercizio del potere ma in primo luogo come massima regola della società democratica.

Chi scrive ha avuto la fortuna di vivere una stagione della politica che era, oltre che ragione, anche passione e sentimento e lì come tanti ha lasciato le speranze, oltre a qualche inevitabile indignazione. Quello che abbiamo visto negli ultimi vent’anni di speranze ne ha lasciate poche e di indignazione troppa. Ecco perché la pausa di riflessione imposta dalla strepitosa intuizione di Mattarella oggi offre lo spazio per tornare alla politica.

Si pensi solo al “welfare” che è in crisi in tutta Europa, dove è nato; all’ utilizzo del debito pubblico imposto dalla crisi sanitaria che non consentirà a lungo di fare affidamento su interventi facili; alle limitazioni pesanti degli stessi strumenti tradizionali come gli ammortizzatori sociali. Sono tutti appuntamenti inevitabili e ad alto rischio. Perchè non immaginare spazi di presenza, che ci sono e si muovono già, dagli enti locali virtuosi alle iniziative dei mondi vitali del terzo settore, agli stessi progetti di inclusione sociale previsti dai fondi europei. Rileggere le intuizioni del compianto professor Ardigò per avere una idea di che cosa si può fare.

Si pensi alla scuola e alla formazione del capitale umano del  Paese, che ha subito una lacerante ferita dalla crisi sanitaria e che a breve dovrà essere all’altezza  delle nuove esigenze imposte dalla economia della conoscenza. Perché, nel cercare di recuperare quanto si è perduto, non cogliere l’occasione per pretendere dalla scuola oltre alla istruzione anche la formazione delle nuove generazioni, che è dare il senso di appartenenza al paese; il significato della cultura del lavoro; la misura dei doveri, la capacità di criticare ma anche di decidere.

Ecco due spazi dove è possibile costruire proposte politiche che dicano qualche cosa in più rispetto ai soliti interventi. E ciò, proprio dalle forze vecchie e nuove c che sembrerebbero escluse in partenza dal confronto tra le due coalizioni tradizionali. Il resto, prima o poi, lo faranno gli elettori.

Guido Puccio

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