Succede talvolta che alcune immagini simboleggino, con il loro valore evocativo, l’irriducibile antinomia che connota le fasi di cambiamento delle vicende storiche. Oggi mi pare che ne abbiamo davanti due. Quella di Papa Francesco che da quasi un mese lotta tra la vita e la morte in un letto di ospedale e quella della premiata coppia Trump-Putin. La coppia vincente.
La prima immagine rende drammaticamente bene – oltre che quello del Papa – lo stato di salute di quel “nuovo umanesimo” che egli ha evocato come trama per superare il disordine mondiale e le sue pericolose derive.
La seconda – col suo corollario di cortigiani monopolisti, autocrati e proni estimatori, anche nostrani – rende bene l’idea della direzione che ha invece preso il Mondo impazzito.
Tre opzioni noi europei possiamo immaginare: accettare il cinico bullismo elevato a sistema oggi vincente e provare, come i cagnolini sotto la mensa dei potenti, a guadagnare qualche osso da rosicchiare; sperare che il Mondo si fermi perché così “possiamo scendere”; provare a resistere appellandoci ai valori fondamentali della nostra cultura democratica, alle nostre radici anche cristiane ed agli insegnamenti della nostra stessa storia.
La prima opzione è disonorevole oltre che suicida; la seconda è ovviamente irrealizzabile (“Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà” disse Aldo Moro il 28 febbraio del 1978); la terza è l’unica via possibile, benché difficile, tutta in salita da ogni punto di vista e condizionata pesantemente dai colpevoli ritardi provocati dalle pulsioni nazionalistiche e dall’ignavia degli ultimi decenni.
I segnali di ciò che covava nel brodo di coltura della nuova geopolitica e nei nuovi assetti del potere mondiale erano evidenti da lungo tempo. Le classi dirigenti nazionali ed europee – mediamente – non li hanno voluti vedere. Ora siamo di fronte ad uno stato di necessità che comporta scelte drammatiche ed accelerazioni che possono apparire perfino azzardate. Come quella proposta dalla Presidente della Commissione Von der Leyen in tema di difesa o – con una espressione indubbiamente inquietante – di “riarmo”.
Questa proposta si può certamente criticare e migliorare per le modalità tecniche che ipotizza, ma non liquidare come una prospettiva solamente e volgarmente “militarista”. E neppure si può chiedere che sia subordinata, qui ed ora, alla nascita di un vero e proprio “Esercito Europeo”, perché sappiamo bene che esso richiede un assetto politico ed istituzionale dell’Unione che oggi non c’è. Dunque, vanno trovate le soluzioni intermedie possibili, urgenti e necessarie, nella prospettiva di questo obiettivo che Alcide Degasperi ha perseguito invano fin dai primi anni cinquanta.
Se siamo a questo punto è anche perché l’Europa non è stata fin qui all’altezza del suo compito e della sua vocazione. Dunque dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e dobbiamo farlo in fretta. Non si può purtroppo pretendere di avere oggi leader come Winston Churchill o Alcide Degasperi. Ma neppure possiamo accettare che a guidarci sia gente che – come Matteo Salvini o Giuseppe Conte – contesta la proposta di Von der Leyen perché così si toglierebbero risorse pubbliche per “ridurre il costo delle bollette” alla gente. Come se le condizioni di vita del popolo italiano fossero una variabile indipendente rispetto alla tenuta del quadro di libertà e di sicurezza – a trecentosessanta gradi – dell’Europa, difronte all’imperialismo aggressivo russo e alla nuova politica americana.
Speriamo che tra i grandi statisti europei del passato e questi modesti “amici del giaguaro” si consolidi almeno la via intermedia di quella “leadership possibile” che si è intravista da ultimo nel pur ancora incerto dibattito in sede di Consiglio Europeo. E speriamo che regga, su questa strada, l’asse portante tra i cristiano-democratici e i socialisti europei. Non sarà facile, ma non abbiamo alternative.
Lorenzo Dellai