Negli anni del Secondo dopoguerra, caratterizzati dal confronto-scontro fra Stati Uniti e Unione Sovietica, nei Paesi occidentali, per definire lo schieramento di appartenenza, si utilizzava frequentemente la dizione “Mondo libero” in contrapposizione al mondo asservito al comunismo. Dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica, e la fine della minaccia comunista, l’uso del termine Occidente (inteso politicamente e privo di ogni riferimento geografico) si è imposto su “Mondo libero” per connotare l’insieme dei Paesi sotto la guida di un’America impegnata ad estendere al mondo intero il modello liberaldemocratico.

Dietro a questo progetto, certamente c’è la Realpolitik, ovvero la volontà degli Stati Uniti di continuare ad essere il Numero Uno, e anzi di potenziare ed estendere la propria leadership. Ma a suo sostegno c’è anche una visione di ordine più generale, o meglio un approccio ideologico.

Infatti, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si è cominciato a parlare di “fine della storia” a seguito di un saggio di Francis Fukuyama così intitolato. Che cosa significa? Con fine della storia, si allude al fatto che erano falliti, nel corso del Novecento, tutti i tentativi di edificare progetti politico-sociali alternativi al liberalismo, facendo intravedere che non poteva più esserci alcuna ipotesi di percorsi differenti da quello che, da oltre un secolo, era stato iniziato da Gran Bretagna e America. Nella sostanza, l’universalizzazione della democrazia liberale.

Tuttavia, la strada è subito apparsa difficile: il mondo islamico, dopo il fallimento dei movimenti nazionalisti laici combattuti dalle potenze occidentali, è insorto sotto le bandiere del fondamentalismo religioso più estremo; la Cina (ritornata confuciana), approfittando delle globalizzazione promossa dal neoliberismo, si è affermata come grande potenza economica; la Russia, dopo il disastroso esperimento “liberale” di Eltsin che aveva svenduto il Paese e ridotto in un’estrema miseria i ceti popolari, si è andata orientando verso una sua autonoma visione di società profondamente radicata nella cultura ortodossa, in conformità a un pensiero che va da Dostoevskij a Solzenicyn, due uomini che pur avevano sofferto deportazione e duro carcere.

Tuttavia, malgrado ciò, il progetto contrassegnato da “la fine della storia” viene oggi riproposto (è ancora Fukuyama a scriverlo) dall’amministrazione democratica americana in un’ottica unipolare, e ritenuto l’unico fattibile da un nutrito numero di intellettuali neoliberali.

Si ritiene, da parte di costoro, che la forza del modello occidentale finirà comunque per imporsi. La Russia, indebolita a causa della guerra in Ucraina, finirà per sbarazzarsi di Putin e ritornerà a quel percorso “liberale” già avviato da Eltsin (sia pure emendato degli aspetti più impopolari). La Cina, quando ha deciso di scegliere il “gatto che meglio acchiappa i topi”, ha di fatto già introdotto nel Paese elementi capitalistici che la trasformeranno col tempo in senso occidentale. Quanto all’Islam, la modernizzazione dei Paesi musulmani (a partire da quelli ricchi per disponibilità di risorse) avrà quell’effetto di secolarizzazione della società che ha già visto il mondo cristiano.

Nessuno conosce il futuro, e quindi questa resta una ipotesi sostenibile. Mi permetto tuttavia di ritenerla improbabile perché non tiene conto di fatti e fenomeni evidenti.
Da tempo, la democrazia, come concepita dal neoliberalismo imperante, manifesta segni di crisi.

I cittadini dei Paesi occidentali, interessati prevalentemente alla dimensione privata della loro esistenza, delegano quanto concerne l’ambito politico a professionisti con il compito di tutelare in tale sfera i loro interessi e far valere le loro idee, ma si riconoscono sempre meno nelle azioni dei loro rappresentanti e nei risultati da essi ottenuti. Così la distanza tra la classe politica e i cittadini aumenta sempre di più. Ne consegue la forte crescita dell’assenteismo elettorale. La disaffezione dei cittadini nasce dalla presa di coscienza che, con il voto, non riescono più ad aver voce nelle scelte che condizionano le loro esistenze, essendo la politica stata messa in un angolo.

La sovranità degli Stati è fondamento di ogni possibile iniziativa politica ma, essendo considerata un impedimento al pieno dispiegarsi delle logiche di un mercato totalizzante, viene accantonata a favore di altri soggetti fra i quali gli organismi istituiti sulla base di trattati internazionali e i vari fori (G7, G20 ecc.). Tuttavia, nel mondo globalizzato, a dettar legge sono la grande finanza e le multinazionali in grado di agire superando ogni frontiera e ogni controllo da parte degli Stati.

Sul terreno economico-sociale, sono in crescita le diseguaglianze con la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi (amministratori e dirigenti ai vertici di banche, grandi imprese industriali e commerciali, ecc.), un insieme di soggetti che costituisce una oligarchia, il vero nucleo di potere del sistema nato con la globalizzazione. Di qui il diffuso malessere della popolazione: impoverimento di numerose fasce sociali, indebolimento della classe media, arresto dell’ascensore sociale, insicurezza e mancanza di stabili riferimenti valoriali.

Aggiungo che ad essere minacciato è anche l’autentico concetto di libertà da quando si fa sempre più strada in tutta la società occidentale l’ideologia del “politicamente corretto”, con le sue appendici della teoria gender e della cancel culture, espressioni di un pensiero di natura totalitaria che sta rendendo irriconoscibile il mondo culturale cancellando, insieme alla libertà di pensiero, l’umanesimo stesso. Da tempo, infatti, avvertiamo un clima in cui ogni addetto all’informazione sa cosa può dire o non dire, scrivere o non scrivere, se ci tiene alla carriera e ad essere parte dell’attuale mondo mediatico.

Al di là di tutto ciò, a costituire, da anni, un colossale veicolo dell’ideologia neoliberale, è soprattutto una dilagante pubblicità (che coinvolge perfino l’infanzia) con la continua promozione delle merci (dove ogni cosa è diventata merce, compresi i sogni e le emozioni). Con tali strumenti, come ha scritto Luciano Gallino, “è il ceto oligarchico neoliberale ad imporre i propri valori e la propria ideologia alle classi popolari, svuotando di significato le istituzioni rappresentative democratiche, non più in grado di recepire e rappresentare le esigenze dei ceti subalterni”.

C’è, inoltre, una seconda, a mio parere, più importante questione che gioca a sfavore del successo del modello dominante: le drammatiche criticità che ci attendono (riscaldamento climatico, crisi ambientale, nuove pandemie, esaurimento delle risorse, ecc.), tutte in larga misura riconducibili a quella crescita illimitata, fine a se stessa, promossa dalle dinamiche insite nell’incontrollato sviluppo capitalistico esaltato dall’ideologia neoliberale.

Chi, come l’attuale élite, non comprende, o non vuol comprendere, che proprio il suo modello di società è alla base degli incombenti pericoli, dei quali già oggi abbiamo un assaggio, è meno che mai in grado di affrontarli e di mettere in campo misure adatte allo scopo.

In proposito, devo, per l’ennesima volta, riproporre quanto scritto già alcuni anni fa da Barbara Spinelli: “La questione delle modificazioni climatiche è diventata il riferimento prioritario di ogni politica responsabile. Affrontare questo problema comporta la necessità di cambiare la nostra maniera di vivere e di pensare; ci impone di ripensare i saperi, compreso quello economico e di mutare i modi della politica. Bisogna essere consapevoli che per condurre la battaglia in difesa dell’ambiente, perirà una parte essenziale dell’esperienza liberale: quella parte che, a cominciare dalla rivoluzione industriale, ci ha abituati a credere nel progresso illimitato, nel cittadino-consumatore libero di fare quello che gli piace, nell’aspirazione a una felicità individuale indipendente dall’effetto che essa ha sulla Terra e sull’umanità”.

In che direzione potrà andare il mondo se il disegno neoliberale dovesse essere accantonato? Nessuno può dirlo, ma si possono fare delle ipotesi.

Da parte mia, ritengo difficile che, in un mondo alla cui ribalta si affacciano Paesi che hanno superato il miliardo di abitanti (Cina e India) o i cento e più milioni (Brasile, Giappone, Pakistan, Indonesia, Bangladesh, Messico, Filippine, Viet Nam, per non parlare dell’Africa) sia sempre il solito Occidente ad imporre il suo pensiero pretendendo di misurare tutte le culture secondo il proprio metro di giudizio poiché ritiene universale ciò che è solo la sua visione della realtà.

Pertanto, mi auguro che si vada verso un mondo diversificato, costituito da macro-aggregati di Paesi geograficamente prossimi, connotati da comuni o compatibili radici culturali, ciascuno capace di elaborare risposte adeguate alle proprie necessità. In contemporanea, inevitabilmente si dovranno trovare i modi per costruire organismi multilaterali, o potenziare quelli esistenti, per affrontare i problemi comuni. Siamo tutti passeggeri della barca-mondo e dobbiamo fare tutto quanto necessario perché non affondi.

Giuseppe Ladetto

 

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)

 

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