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L’Unione europea al bivio tra disunione e solidarietà rafforzata – di Maurizio Cotta

Le gravi crisi internazionali sono sempre un test impegnativo per i sistemi politici.

Certezze acquisite sono messe in dubbio, risposte nuove sono richieste, le classi politiche di governo ma anche di opposizione possono risultare inadeguate. Pur con tutte le difficoltà e tensioni che ne nascono negli stati nazionali consolidati la prospettiva di una divisione interna su base territoriale o della secessione di una parte importante del paese è da considerarsi abbastanza rara e non è in genere al centro della discussione politica. Questo perché gli stati nazionali hanno sviluppato un forte centro politico capace di gestire con le sue ampie risorse le diversità interne e di affermare la prevalenza degli interessi comuni rispetto a quelli territorialmente particolaristici. Le conseguenze
di una grave crisi esterna saranno per lo più dei cambiamenti a livello di governo, o di politiche economiche e sociali, o magari di qualche assetto istituzionale.

Ben diversa è la situazione di una entità come l’Unione Europea: al peso tuttora molto rilevante degli stati membri sia quanto a identità che quanto a risorse corrisponde un centro molto più debole sotto entrambi questi aspetti. L’identità dell’Unione non si è sostituita (volutamente) a quella degli stati membri ma si è per così dire aggiunta a complemento. E per quel che riguarda le risorse ricordiamo sempre che il bilancio della UE supera di poco l’1% del PIL complessivo di tutta l’Unione (a fronte del 40/50% di gran parte degli stati membri) e che anche la così spesso criticata burocrazia di Bruxelles è fatta solo di poche decine di migliaia di unità (rispetto per esempio ai circa tre milioni della burocrazia statale italiana). É quindi abbastanza probabile che in occasione di gravi choc esterni gli interessi spesso discordanti dei singoli stati si facciano sentire con particolare forza e siano difficili da ricondurre ad una visione di interesse comune. Le forze centrifughe sono dunque molto rilevanti e i rischi che questo comporta per la capacità di azione della Unione, ma anche per la sua credibilità e unità di fronte alle sfide esterne, sono molto accentuati.

Lo abbiamo visto in modo particolarmente chiaro con la crisi finanziaria del 2008. La divaricazione tra le situazioni nazionali emerse in quella occasione fece seriamente temere per l’unità della costruzione europea. Di fronte a questo rischio esistenziale (si pensi alla prospettiva che sembrò allora realistica di una uscita della Grecia, ma anche ai grandi timori che emersero per il destino dell’Italia) venne poi trovata, seppur dopo un faticoso dibattito, la strada della solidarietà europea grazie alle capacità di alcuni leader (tra i quali in prima linea l’italiano Draghi). Una strada che si è in concreto realizzata attraverso innovazioni istituzionali (come i fondi finanziari EFSF e ESM a sostegno dei paesi indebitati) e nuovi strumenti di azione (come quelli messi in campo dalla Banca centrale europea, tra i quali il massiccio Quantitative Easing).

Di fonte ai rischi di forti spinte centrifughe anche nella successiva crisi del COVID si è presto capito che dovevano essere messi in campo nuovi e potenti strumenti di solidarietà: il grande fondo del Next Generation EU che ha alimentato i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza ne è stato l’esempio più importante.

La crisi internazionale attuale che vede l’Europa tagliata fuori dalle pattuizioni tra le due potenze imperiali di Russia e Stati Uniti, guidate da leader con forti pulsioni predatorie, ripropone a un livello ancora più acuto la problematica già vista: prevarranno le spinte centrifughe o invece la solidarietà europea farà un nuovo passo avanti? Le spinte centrifughe sono evidenti: il pericolo di una minaccia militare alle proprie frontiere è fortemente percepita dai paesi dell’est e del nord dell’Unione, assai meno dai paesi mediterranei; rafforzare significativamente le spese per la difesa appare quindi ad alcuni paesi una necessità impellente, per altri appare un costo non facilmente proponibile alla
propria opinione pubblica. Anche di fronte alle nuove politiche dei dazi di Trump ad alcuni leader nazionali sembra si possa rispondere con accordi particolari su base nazionale mentre ad altri appare necessaria una risposta ferma e collettiva.

Il prevalere di risposte nazionali in questo inedito contesto comporterebbe però un pericoloso indebolimento dell’Unione e in definitiva lascerebbe esposti i singoli stati membri ai ricatti militari ed economici delle due grandi potenze. Il riconoscimento della indivisibilità delle esigenze di sicurezza militare dell’Unione, che oggi riguardano il fronte orientale ma domani potranno riguardare quello mediterraneo, così come della indivisibilità dello spazio economico europeo richiedono che la solidarietà interna debba essere in questo momento la priorità assoluta. Questa
solidarietà deve poi tradursi in scelte concrete.

Nel campo della sicurezza è quindi necessario che pur senza rinunciare, cosa che sarebbe oggi utopistico, alle forze militari nazionali si sviluppino progressivamente strumenti istituzionali europei di coordinamento e comando di quelle forze e si mettano in campo, a sostegno di questo impegno comune, risorse finanziarie comunitarie oltre a
quelle nazionali.

L’importanza di queste scelte non può essere sottovalutata. Il carattere precipuo della UE, come unione autodeterminata sulla base della libera e democratica scelta di (oggi) 27 stati, può sopravvivere solo se protetto dalle interferenze aggressive di entità politiche esterne. La sicurezza comune non è oggi una opzione eludibile.

Maurizio Cotta

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