Ci avviciniamo alla nostra Assemblea Costitutiva dei prossimi 3/4 ottobre e forse, perché la politica non si stemperi nel limbo dell’astrattezza, è bene guardare anche al soggetto che la interpreta, al “politico”. Non necessariamente inteso come “professionista” della politica, ma almeno come militante attivo. Considerare, cioè, il costume e l’attitudine, l’abito mentale con cui osserva, giudica, concorre alle vicende della propria comunità di riferimento.
Mi sembra torni utile, a tale proposito, proporre questo lungo brano, tratto dal bel libro che Antonio Casu dedica a Tommaso Moro nel pensiero di Francesco Cossiga. Fa parte della lezione magistrale che Cossiga, nel 1991, tenne in occasione del conferimento di una laurea “honoris causa” in Liechtenstein. Casu ci ricorda “…un’altra magistrale lezione di Tommaso Moro, l’unico santo che ci abbia lasciato una preghiera per il buonumore, nella quale si prendono le distanze da quella cosa troppo invadente che si chiama “io” e riprende l’affermazione di Cossiga secondo cui: “….il politico deve possedere il dono della pazienza, dell’ironia e soprattutto dell’autoironia”.
Afferma, infatti, il Presidente Cossiga: “Anche se non bisogna sottovalutare la funzione educativa della legge, non bisogna neppure dimenticare che il legislatore deve forse stare un passo, ma solo un piccolo passo, davanti alla collettività se davvero vuole governarla. Se si limita a stare in mezzo alla collettività e a registrare la coscienza che essa già ha, allora non governa, ma piuttosto è governato.
Se sta due passi davanti alla collettività invece di uno, e cerca di forzarla e camminare a un ritmo che la gente comune non comprende e non accetta, egualmente non governa, perché la gente non è in grado di seguire.
Il politico, dunque, media tra l’ideale e le condizioni concrete della vita del suo popolo. Per fare questo, non è superfluo dirlo, deve amare il suo popolo; deve sentire la grandezza della dignità e della vocazione umana di ciascuno dei suoi membri, nonostante i limiti e i difetti che deve conoscere, e riconoscere, anzitutto in sé e poi, con realismo, ma senza presunzione, nei suoi concittadini.
Il più piccolo frammento di valore incarnato nella vita di uomini reali vale assai più della più bella delle utopie contenute solo nei libri. In secondo luogo, il politico deve possedere il dono della pazienza, dell’ironia e soprattutto dell’ autoironia. Pazienza, perché una vita basta appena – e solo se si ha fortuna – ad accompagnare il proprio popolo per un passo del cammino verso il bene; ironia, per vedere con chiarezza e compatire le umane debolezze, soprattutto misurando le proprie, e misurare serenamente e senza scoraggiarsi la distanza tra l’ideale e la realtà; autoironia per non sopravvalutare né le proprie intenzioni ( anche i politici, anzi i politici più che ogni altro, sono esposti a tutte le umane tentazioni, anzi a queste in modo specifico!) né il proprio ruolo, né i propri meriti; anzi, questi, sempre che li abbia, farà meglio a non considerarli affatto.
Se pur riesce a fare qualcosa di buono, ciò dipende in genere dal concorso di una serie di circostanze favorevoli, dall’opera di tanti, amici ed avversari, e, in ultima istanza, dall’opera misteriosa della Grazia di Dio”.
Domenico Galbiati