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E’ ovvio che sul Manifesto di “Politica Insieme” , “Rete Bianca” e “Costruire Insieme” si intreccino valutazioni diverse, commenti disparati non sempre disinteressati, osservazioni talvolta ironiche o supponenti. Vuol dire che molti ambienti hanno percepito la novità e compreso che l’impresa è seria, tutt’altro che velleitaria, al punto che potrebbe disturbare qualcuno.
Certo, l’esito non è scontato, ma le premesse ci sono. Per parte nostra, dobbiamo resistere al rischio di lasciarci trascinare in una spirale di botte e risposte , fatta apposta per confondere le acque ed omologarci al livello deprimente del discorso pubblico così come si pone oggi nel nostro Paese.
Ovviamente, non possiamo astrarci dalla cifra del momento, ma dobbiamo pur compiere lo sforzo di guardare le cose con uno sguardo nuovo e limpido; con occhio disancorato dai circoli viziosi e dalle parole abusate, dalle formule ripetitive e scontate con cui le forze attualmente in campo cercano di riposizionarsi l’una rispetto all’altra, in vista di un “rendez-vous” che dovrà pur esserci dopo questa infinita campagna elettorale.
Dobbiamo capire che c’è una discontinuità effettiva tra ieri ed oggi, anche sul piano della cultura politica del movimento cattolico-democratico e del suo possibile ruolo. Dobbiamo essere coscienti che riproporre oggi una presenza politica di ispirazione cristiana, non significa tanto rivendicare un diritto più che legittimo – il diritto di affermare pubblicamente la nostra visione e la proposta politica in cui si incarna – quanto piuttosto si tratta di compiere un dovere.
Il dovere di corrispondere alla domanda di senso che, da più parti dello stesso mondo laico, spesso in modo diretto ed esplicito, talvolta in termini più impacciati ed indiretti, si rivolge al mondo dei credenti.
Ed ancora il dovere di declinare i criteri di giudizio, i valori, gli orientamenti che derivano dalla nostra visione cristiana dell’ uomo e della vita, secondo una lettura che, mostrandone l’intrinseco valore umano e civile, li renda accessibili ed accettabili – anche in funzione di una possibile e comune azione politica – pure a chi credente non è.
Infatti, se la fede – in uno con la quale abbiamo ricevuto questi insegnamenti – è un dono, poichè, per sua natura, il dono è tale se viene a sua volta donato, spetta anche a noi non trattenere gelosamente, a mo’ di divisa marmorea ed identitaria da possedere in esclusiva, questi indirizzi di valore che vanno, al contrario, socializzati e condivisi.
“Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo”: lo ha affermato Paolo VI, il 4 ottobre 1965, davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un’ affermazione forte, audace e profetica, soprattutto se vista in controluce alla gamma incalzante di eventi, allora impensabili, che si sono via via accavallati dagli anni immediatamente successivi, in un vorticoso processo di trasformazione che dura tuttora.
Un appello purtroppo largamente disatteso, ma che pure indica come Papa Montini avesse già compreso a fondo la dimensione radicale del mutamento che si preannunciava e che oggi ci investe pienamente. Un ammonimento che, pronunciato ad un anno appena dalla conclusione del Concilio, ne riassumeva le aspirazioni, invocando quella rilettura “antropologica” che, allora ancora sfuocata, si è via via imposta come dimensione oggi irrinunciabile; categoria interpretativa del secolo che introduce il terzo millennio dell’ era cristiana.
Una provocazione, quella di Papa Paolo, che vale, ad oltre mezzo secolo, anche per noi.
La politica oggi non può, infatti, prescindere da una rifondazione antropologica che le garantisca un riferimento fondativo solido e consistente.
Sturzo, De Gasperi, Moro sono stati chiamati a dare espressione politica a valori ancora evidenti e pur sempre largamente condivisi in un contesto ancora a forte impronta cristiana. Oggi, se possibile, il compito di una concezione cristiana dell’uomo e della vita è anche più complesso.
Si tratta di infiltrare, esplorare, provocare un ambiente ostile o, fors’anche peggio, indifferente ad un registro valoriale imperniato sulla responsabilità diretta e personale di ogni cittadino. E’ necessario adottare un linguaggio nuovo, elaborare argomenti perfino più ricchi e sottili.
Un compito improbo che richiede consapevolezza di quanto sia alta la sfida e, dunque, una dose massiccia di umilta’ autentica; l’avvertenza, cioè, del divario che corre tra l’impegno necessario e l’attitudine di chi pur osa mettersi alla prova.
Domenico Galbiati

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