Sono già passati  in seconda fila, anche se di rilevante importanza,gli ultimi provvedimenti di Mario Draghi che segnano un ritorno alla politica monetaria espansiva per stimolare ancora una volta l’economia. In praticala BCE riprenderà ad acquistare titoli di Stato e obbligazioni pubbliche e private immettendo sul mercato liquidità per venti miliardi di euro al mese e , insieme, ridurrà gli interessi da meno 0,40 a meno 0,50.

In sostanza, ancora una volta la Banca Centrale ha fatto tutto quello che era possibile fare per sostenere l’economia dell’Unione Europea in un momento difficile, tra guerre dei dazi e segnali di recessione. Nè è mancato l’invito dello stesso Draghi ai governi perchè facciano il resto: politiche fiscali espansive, investimenti pubblici, stimoli agli investimenti privati, selezione della spese pubblica come in questi anni ha ripetutamente sollecitato.

Le conseguenze di questo messaggio per l’Unione richiameranno d’attualità il problema mai affrontato con esiti convincenti di armonizzare la politica fiscale dei vari Paesi, al fine di evitare distorsioni e sopratutto i trasferimenti delle sedi di imprese all’estero allo scopo  di pagare meno imposte.

La ricaduta dei provvedimenti di Draghi sul nostro Paese, oltre alla riduzione dello “spread” tra titoli pubblici tedeschi e quelli italiani che già produce effetti, chiamano in causa alcuni aspetti di politica economica che il nuovo governo è chiamato ad affrontare.

Il primo è sicuramente quello di orientare la spesa pubblica complessiva ( 840 miliardi, compresi gli interessi) che per oltre la metà è attualmente destinata a sanità, pensioni e assistenza. Pur avendo ridotto la spesa complessiva negli ultimi cinque anni, il debito pubblico è ancora aumentato e ciò pone un problema politico serio al nuovo governo considerato che restano aperte le complessità sul reddito di cittadinanza e sulla nota questione della durata della cosiddetta “quota cento”.

L’altro rilevante argomento di attualità, come la auspicata riduzione del “cuneo fiscale” , non potrà certo essere affrontato nel brevissimo termine ed a questo riguardo è apparsa già realistica la previsione del nuovo ministro dell’economia di affrontare la questione nei prossimi due anni.

Resta il problema fondamentale dell’evasione fiscale, ogni volta declamato e che nell’immaginario collettivo è inteso genericamente solo come “ lotta  alla evasione” mentre più correttamente dovrebbe chiamare in causa la struttura stessa del gettito da rivedere.

Ridurre l’imposizione sui redditi medio bassi per elevarla su quelli medio alti serve a ben poco come ci insegna la legge dei grandi numeri. E’ da assumere con cautela anche l’idea di far pagare il costo di alcuni servizi agli utenti che beneficiano di un reddito adeguato perchè se da un lato potrebbe concorrere a ridurre la spesa per altri versi solleciterebbe l’evasione: a che scopo- si chiederebbe il contribuente-devo pagare imposte elevate se poi devo anche sostenere il costo dei servizi?

Se poi si constata che sulla base delle dichiarazioni dei redditi il sessanta per cento dei contribuenti italiani vive con meno di ventimila euro l’anno, si ha già una idea da dove partire per attaccare l’evasione. I lavoratori autonomi sono sette milioni su un totale di ventiquattro milioni di gente che lavora, e il reddito di alcune categorie è lì da vedere quanto ad ammontare: è’ noto il caso dello scorso anno dell’idraulico di Cuneo che dichiarava redditi inferiori a quelli del suo garzone evadendo in tre anni imposte su ricavi effettivi di importo complessivo a sei zeri.

Non sono certo i controlli cartolari delle dichiarazioni dei redditi che le agenzie delle entrate sono costrette a fare il mezzo per eliminare l’evasione ma piuttosto le tecniche più aggiornate dei controlli sui flussi finanziari che solo una riforma vera della pubblica amministrazione può assicurare.

Guido Puccio

 

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