1. Sui motori di ricerca internet compaiono con evidenza pubblicità riguardanti centri per la maternità surrogata. Il prof. Alberto Gambino, presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet, solleva il problema di tali pubblicità ( CLICCA QUI ), poiché rivolte verso pratiche sanzionate penalmente; fra gli altri, l’art. 12 co. 6 della legge n. 40/2004 stabilisce che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. E per questo sollecita l’intervento di AgCom-Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, cui spetta in prima battuta l’inibizione degli spot.

Il 20 novembre 2020 l’AgCom risponde con un imbarazzato comunicato stampa, col quale nega la propria competenza, sostiene che quest’ultima le andrebbe attribuita in esplicito dal legislatore, e conclude che in materia competente ad applicare le sanzioni penali, previo accertamento della responsabilità, è l’autorità giudiziaria.

2. Il punto non è evidentemente quello di ribadire che il lavoro della magistratura, in presenza di norme penalmente sanzionate, è stabilire chi le abbia violate e quale pena meriti: se così fosse, forse non era necessario predisporre una nota stampa dell’AgCom per ricordarlo.

Il punto è, tanto per cominciare, che la stessa AgCom riconosce che la pubblicità on line dell’utero in affitto causa “unanime preoccupazione” all’interno del suo Consiglio; se la questione non rientrasse nelle competenze dell’authority non si comprende la ragione di tale istituzionale preoccupazione.

In secondo luogo: il co. 536 dell’art. 1 della legge n. 145/2018-bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021, espressamente prevede che le violazioni in ambito di comunicazioni sanitarie siano da denunciare “all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti sanzionatori di competenza”, individuando quindi in modo espresso e specifico nell’AgCom l’ente competente per sanzionare per via amministrativa i comportamenti illeciti rientranti nel proprio cono di attenzione.

Si aggiunga che l’art. 5 del Dlgs n. 70/2003 esplicitamente affida all’autorità di vigilanza il potere di sospendere la libera circolazione di un determinato servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro per motivi di:

  • ordine pubblico, per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della dignità umana;
  • tutela della salute pubblica;
  • pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale;
  • tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori.

Si tratta di ipotesi all’interno delle quali rientra – con sufficiente evidenza – la pratica della maternità surrogata e la sua pubblicizzazione via internet.

3. In terzo luogo: pur essendo fuori di dubbio che le sanzioni penali sono di competenza della magistratura, ciò non esenta l’AgCom – e qualunque altra autorità di vigilanza al suo posto – dalla responsabilità di poter e dover svolgere i propri compiti come la legge già in vigore richiede ed esige.

Anzi, si potrebbe ritenere che non soltanto l’AgCom, nel caso specifico della pubblicità on line dell’utero in affitto, abbia il potere per inibire tale illecito comportamento e di punirlo con le sanzioni che a essa competono, magari sollecitando la Polizia postale a oscurare i siti in questione, ma che nulla le impedisce di farsi promotrice di una eventuale denuncia agli uffici della competente Procura della Repubblica per fatti penalmente illeciti da essa constatati.

Se così non fosse, il paradosso sarebbe evidente: l’autorità competente a vigilare sulle comunicazioni, che agisce in caso di illeciti in tema di diritti d’autore o di pubblicità del gioco d’azzardo, rimarrebbe del tutto inerte di fronte a illeciti più gravi riguardanti la persona. Se poi il paradosso non fosse tale, alla luce di quanto accaduto sarebbe da chiedersi quale utilità abbia una autorità di vigilanza che o non vigila per nulla, o vigila a intermittenza, cioè soltanto sulla base del rilievo più o meno eticamente sensibile della materia sottoposta alla sua attenzione.

Aldo Rocco Vitale

 

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