schieramenti e alleanze in Medio Oriente? Ad esempio, l’Azerbaigian, Paese la cui popolazione è in larga maggioranza sciita, ha forti legami con Israele che lo ha armato e sostenuto nella guerra contro l’Armenia.
In un quadro di grande incertezza, le nazioni europee, che tutte hanno molteplici interessi nel mondo arabo e islamico, se si schierassero manifestamente a sostegno della predetta alleanza, non rischierebbero di precludersi o di indebolire spazi di azione in tale mondo? Credo, pertanto, che sia poco prudente scommettere sul successo della sopraddetta alleanza.
Certo, Israele è forte militarmente, sempre pronto ad usare la sua forza militare con la massima durezza e confida in tale deterrente, disponendo anche di armi nucleari. Ma è un Paese di pochi milioni di abitanti (circa 9,4 di cui il 26% non ebrei), e, ancorché tecnologicamente molto avanzato, non sopravviverebbe senza avere costantemente alle spalle la potenza americana. Tutto ciò quanto potrà durare?
Negli Stati Uniti è presente una tendenza isolazionista che non riguarda i soli repubblicani. Anche la composizione etnica del Paese d’oltre-atlantico muta con la progressiva crescita dell’immigrazione di latino americani, asiatici e africani, ciò che inevitabilmente indebolirà lo sguardo privilegiato per Israele. Inoltre, cambiano gli equilibri planetari per l’emergere di popolosi paesi del Sud del mondo.
Quindi, sul lungo termine, la soluzione più vantaggiosa per tutti (Israele in primis) è ancora sempre quella di due Stati con pari dignità e possibilità di sussistenza.
Tuttavia, diversi analisti di fatti internazionali ritengono che le cose siano ormai andate troppo in là per poter realizzare un vero Stato palestinese (colonizzazione ebraica della Cisgiordania, esigenze di sicurezza di Israele che richiedono il mantenimento di posizioni strategiche, ecc.).
In questo caso, resterebbe un’alternativa, forse la più razionale. Creare, in quella che fu la Palestina sotto mandato britannico, uno Stato bi-nazionale in cui ebrei e arabi, ivi residenti, convivano avendo parità di diritti e di doveri, e possano considerare questa terra la loro casa per l’oggi e il domani. Ma la parità di diritti impone che non sia più possibile che ogni ebreo proveniente da ogni parte del mondo, giunto nel territorio dello Stato, abbia immediatamente la cittadinanza come avviene oggi. Infatti, secondo le vigenti leggi israeliane, lo Stato di Israele (Stato nazionale del popolo ebraico) è la patria di tutti gli ebrei, indipendentemente dalla loro provenienza (ciò che inevitabilmente conduce a un espansionismo territoriale). Invece, ai palestinesi profughi e ai loro discendenti ciò è negato, anzi è loro impedito di rimettere piede anche temporaneamente nella terra dei loro padri e nonni.
Si tratta quindi di una soluzione utopica, si dirà, perché ormai sono troppo profondi gli odi e i risentimenti fra le due comunità, e perché verrebbe meno la centralità di Israele come riferimento per il mondo ebraico. Ma se non si supereranno gli odi e i rancori, resterà preclusa ogni possibile soluzione. Circa la centralità di Israele per il mondo ebraico, rammento quanto ebbe a dire il grande Primo Levi quando ancora in Occidente nessuno criticava Tel Aviv per la sua condotta nei confronti dei palestinesi: “Bisogna che il baricentro dell’ebraismo si rovesci, torni fuori d’Israele, torni fra noi ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani il filone ebraico della tolleranza”.
Se si continuerà a dire che la prima istanza è comunque sempre e solo la difesa di Israele, non si andrà da nessuna parte. D’altro canto, non vedo alcuna potenza a cui veramente prema dare una soluzione equa e sostenibile alle esigenze dei due popoli, perché tale obiettivo non interessa coloro che hanno come primo, o forse unico, scopo garantirsi la supremazia in Medio Oriente.
Giuseppe Ladetto
pubblicato su www.associazionepopolari.it