La politica, le dinamiche che la attraversano non sono affatto raffazzonate e confuse, indecifrabili ed imponderabili nei loro sviluppi.
Non si devono prendere lucciole per lanterne e neppure viceversa. E tanto meno scambiare la turbolenza di ciò che avviene in superficie come il “tutto” e non quale semplice effetto fenomenico di processi più profondi che rispondono ad una “ratio” sottostante che si fatica e percepire eppure è il vero motore di ciò che avviene.
Si tratta di saper leggere “dentro”, prima l’ordito e poi la trama per capire l’intelaiatura del tessuto. E come quest’ultimo, al di là della fibra più o meno nobile impiegata, della fantasia del disegno o dell’iridescenza dei colori, è il risultato finale di una geometria sottile, apparentemente impercettibile che pure non viene mai meno: così anche la politica è geometrica più di quanto non appaia.
Vi sono conflitti che, in realtà, sono ovvie competizioni elettorali tanto più accese quanto più stanno sostanzialmente dentro lo stesso perimetro concettuale. Oppure, addirittura, condividono tratti di un medesimo percorso tattico, pur finalizzati a strategie non esattamente sovrapponibili.
Separati in casa che si contendono lo spazio vitale, inevitabilmente costretti a convivere comunque ed a condividere, in ogni caso, determinate funzioni dell’abitazione. Vi sono, al contrario, rapporti mantenuti, finché possibile, sul filo del rasoio di relazioni che tanto più sono corrette, quanto più i due interlocutori coltivano reciproci sospetti e motivi di potenziale dissonanza , per cui stanno attenti a non lacerare la tela fuori tempo e fuori luogo.
Nell’alleanza di centro-destra – in realtà, più schieramento che non coalizione, nel senso proprio del termine – come stanno esattamente le cose? Tra la “nazione” cui si rifà Giorgia Meloni e l’ “autonomia differenza”, punto fermo della Lega e, di fatto, riproposizione del “separatismo” del primo Carroccio di Bossi, c’è, di fatto, una radicale contrapposizione.Si tratta di posizioni addirittura antitetiche.
Da un lato, l’unità della Nazione tanto più attestata dall’uomo solo al comando.
Dall’altra, la voluta e programmatica dissoluzione di tanti legami storici e culturali in un Paese che, pur nell’articolazione di tante particolarità locali, si riconosce in un orizzonte comune.
Eppure, l’ “autonomia differenziata” spiace davvero a Giorgia Meloni, oppure, per quanto non sia una legge di rango costituzionale, a differenza del “premierato”, non concorre forse, almeno sul piano tattico, a destrutturare un versante del nostro ordinamento istituzionale e democratico? Favorendo, in tal modo, il disegno di scomposizione dell’archittura generale del sistema, preludio alla sua ricomposizione in forme che rispondano alla pretesa egemonica di una destra, che non si accontenta di governare l’Italia, ma vuole segnare una discontinuità con il suo impianto costituzionale e soprattutto con il processo della sua genesi storica? Al contrario, laddove sembra esserci bonaccia – tra FdI e FI – non vi sono invece, sia pure tenuti, da Tajani, sotto traccia, profili ideali e programmatici francamente incomponibili?
Il puntuale europeismo che va riconosciuto a Forza Italia non ha riscontro né nel partito della Presidente del Consiglio né nella sua politica. E così per quanto concerne l’originaria vocazione liberal-democratica che lo stesso Berlusconi evoco a fondamento della sua iniziativa politica. Postura che non ha alcun riscontro né nel populismo leghista e neppure nel sovranismo nazional-patriottardo di Fratelli d’Italia.
Due divaricazioni di fondo che chiamano Forza Italia ad una responsabilità di grande rilievo nei confronti dell’evoluzione del nostro sistema politico e della sua presentabile fisionomia a livello europeo.
In buona sostanza, i due partiti di destra, al di là della contesa elettorale che li fa apparire l’un contro l’altro armati, di fatto coltivano il disegno comune di chiudere l’arco temporale della lunga stagione democratica che data dall’immediato dopo-guerra per dare il via ad una fase nuova . Al contrario, Forza Italia, a meno che non intenda tradire sé stessa, dev’essere consapevole di rappresentare, in vista della prossima consultazione elettorale, la chiave di volta del nostro sistema politico e della sua piena legittimità democratica.
Domenico Galbiati