La parola d’ordine di Giorgia Meloni, dei suoi Fratelli d’Italia e della sua intera maggioranza è una sola e inderogabile: l’Italia va bene. E questo, però, riferendosi solo ai cosiddetti conti pubblici che l’Europa ci ha costretto a mettere sotto controllo. In realtà, anche sotto questo punto di vista, che vuole dire qualcosa ma non certo il tutto in grado di farci cantare vittoria e rassicurarci, molto dipende dal volersi intendere. E’ un po’ come la storia del Ponte di Messina che diventerebbe una struttura strategica per la Nato e la cosa ci consentirebbe di spacciare per spese di difesa un ponte utile a far giungere i carri armati in Sicilia in caso di necessità. I conti, insomma, ognuno se li può fare come meglio crede pur di rimanere in quell’ambito ideologico -strumentale che in molti casi torna opportuno anche all’Unione europea.

Ma i cittadini non hanno molto tempo, più che di dedicare un sorriso di autocommiserazione per essere finiti in mano a politicanti di questo genere e di commiserazione per loro. Hanno, infatti,  ben altre questioni da affrontare quotidianamente. In particolare, di far quadrare i loro bilanci. E qui torniamo ad un tasto dolente su cui noi continuiamo ad insistere e non certo solo per polemica nei confronti di un Governo che non sembra portare a casa grandi risultati, se si escludono le giaculatorie auto-adulatorie che non mancano mai. Ci riferiamo alle condizioni reali del Paese, delle famiglie e dei consumatori.

E vediamo che su questo Giorgia Meloni non è certo la stessa “popolana” di quando stava all’opposizione e prometteva di cancellare le accise sui carburanti, di minacciare fuochi e fiamme contro le multinazionali, di tassarle selvaggiamente e, così, alleviare il carico fiscale sugli italiani, oramai giunto al 50%, come ci dicono gli analisti di Milano Finanza.

Il divario vero tra chiacchiere e realtà sta nel tracollo dell’indice della produzione e di quello dei consumi. Nel primo caso siamo al 27esimo calo mensile continuativo nel corso dei 33 mesi dell’era del Governo Meloni.

Per quanto riguarda i consumi ci rifacciamo all’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori- il quale rileva come i dati dell’ultimo maggio “continuano ad essere allarmanti, con una riduzione del consumo di carne e pesce (-16,9% e un contestuale spostamento anche verso il consumo di tagli e qualità meno costosi e meno pregiati); un incremento della tendenza a ricercare offerte, sconti, acquisti di prodotti prossimi alla scadenza (abitudine adottata dal 51% dei cittadini); un aumento della spesa presso i discount (+12,1%)”. Secondo la Caritas il 23,5% degli assistiti risultano in povertà anche se hanno un lavoro.

Ma guardiamo anche ad un operatore del settore della grande distribuzione, un’entità che non fa politica, perché pensa ai dati nudi e crudi. Parliamo di un gigante mondiale del settore, qual è la catena Carrefour: viene dato in procinto di lasciare l’Italia per il calo dei consumi che continua. Segnala 93,5 milioni di perdita lo scorso anno, 129 nel 2023, 115 nel 2022. E la notizia è ancora più preoccupante perché, evidentemente, non crede nella possibilità di una ripresa neppure nell’arco dei prossimi anni. E così, la Carrefour comincia licenziando 175 dipendenti di Milano e il resto seguirà… Molti fanno notare che la crisi di Carrefour non è nata oggi e che altri operatori non segnalano le stesse perdite. Ma il fatto è che parliamo di un livello alto di grande distribuzione che paga più di altri, soprattutto i discount impegnati con prodotti di più bassa qualità, la contrazione delle spese di chi subisce più di altri le conseguenze di un’inflazione che colpisce soprattutto ceti poveri e medi.

Senza voler rinvangare troppo la storia patria, non si può non tornare con il pensiero a quel Quintino Sella riuscito a ripianare i conti italiani dopo l’Unità, ma al prezzo di spremere ancora di più le popolazioni con l’introduzione della famigerata “tassa sul macinato”. Si trattava di uno dei tanti governi liberali post unitari cui sostanzialmente  interessava tutelare le classi agiate alla guida della giovanissimi Italia. Il prezzo della parità del Bilancio dello Stato lo pagarono i poveri. Oggi, quell’odiosa tassa non c’è, perché sostituita da una miriade di accise, balzelli che la Meloni e il suo Ministro Giorgetti lasciano crescere per gestire l’esistente favorendo con scientifica determinazione ceti i agiati che li hanno mandati al governo. E così, non cambiano i criteri della spesa e non c’è alcuna idea di investimenti davvero innovativi. Anche il Pnrr sembra sempre essere destinato a rivelarsi un’occasione perduta…

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