Nota per gli amici impegnati per un partito “nuovo”

1. Sembra ormai vinta la scommessa di fare il partito di ispirazione cristiana? Sembra di sì, o almeno non dovremmo essere lontani. Così rispondo a quanti mi chiedono se arriva o no questo nuovo soggetto politico. Dopo anni di tentativi, mi parrebbe venuta l’ora per stringere i tempi e arrivare all’ evento fondativo non oltre i prossimi mesi del 2019, sebbene non si conoscono i passi concretissimi che dovranno essere compiuti perché l’evento diventi di pubblico dominio. Il che, tuttavia, mi sembra comunque un sogno dopo tanta attesa ed anche molto scetticismo e anzi avversione da parte di persone, più importanti o meno, del mondo laico e di quello cattolico.

Alcuni intellettuali cattolici restano fermi al dogma della diaspora, altri vorrebbero vederla superata ma soltanto attraverso la fondazione (come?) di una vasta area cattolica coesa e non invece da un vero e proprio partito di ispirazione cristiana. Opinioni legittime, dalle quali dissento. E mi spiego. Non senza, prima, tuttavia, rispondere a quanti, più o meno apertamente, non vedono bene un vescovo a interessarsi attivamente, pur con discrezione (mi pare), per un nuovo soggetto politico.

Perché mi occupo di una cosa del genere? A parte l’interesse che ho avuto fin da ragazzo e da giovanissimo seminarista per l’impegno storico-politico dei cattolici e per l’insegnamento sociale della Chiesa (cosa ovviamente non ignorabile da preti e vescovi), mi sto occupando anch’io – e non da ora – della nascita di un nuovo partito democratico di piena ispirazione cristiana non tanto perché oggi non esistano persone singole che, in un modo più o meno coerente ed efficace, si ispirano sul piano pubblico alla fede e al magistero sociale, quanto perché attualmente in Italia  è assente un soggetto politico che, come tale, sia impegnato a tradurre laicamente e democraticamente l’intera gamma dei valori personalistici e comunitari propri della visione antropologica-storica che Paolo VI sintetizzava, nella Populorum progressio (nn. 42-43), come “lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”. Integralismo? No. Questo tentativo rientra invece nella ricerca doverosa di contribuire a diminuire i mali gravi e immensi dell’umanità, le ingiustizie, le disuguaglianze, le prepotenze, le guerre, così contrarie alla “vita buona” dei popoli, e del tutto opposte al regno di Dio, alla sua volontà. Un’illusione? No: anzi un’obbligata prospettiva storica. Come insegna la Chiesa e come corrisponde alla dignità e alla speranza di ogni persona.

Perciò non vedo perché ci si deve meravigliare che un vescovo, per di più emerito – con la necessaria discrezione e non rubando la parte ai laici – aiuti i cristiani a vivere con coraggio e coerenza questo aspetto sicuro ed urgente della loro laicità. E’ un atto di carità pastorale e sociale e non un’invasione di campo questo servizio. A chi teme o sospetta in ogni modo che in questo progetto in fieri si celi, in una misura o in un’altra, l’illusione o la pretesa integralista, i promotori della nuova iniziativa cercano sì, di ispirarsi pienamente all’insegnamento antropologico e sociale del Cattolicesimo, ma non per questo si sognano di esaurirne l’immenso tesoro o di averne la privativa. Si sentono una parte, non il tutto. Altri potranno tentare altre sintesi storiche, e domani o altrove nel mondo potranno sorgere iniziative analoghe.

2. Qualcuno dirà, con qualche ragione (ma non con tutta la ragione): l’attuale secolarismo così diffuso non consente un partito di chiara ispirazione cristiana. Rispondo: intanto il progetto in questione non è all’insegna del clericalismo; non nasce dalla costola della destra né cattolica né evangelica americana (anche se ne riconosce alcune istanze) e neppure unicamente dal fondamentalismo di sinistra, che portò purtroppo anche alcuni giovani cattolici a confondersi con l’estremismo rosso, addirittura terrorista. Non intende neppure, questa iniziativa, riproporre la DC – finita male, purtroppo, per omicidio e suicidio insieme – ma della quale è doveroso rivendicare i grandi meriti storici e ricordarne gli esponenti migliori. Dar vita a un partito del genere, certo, è muoversi controcorrente al variegato conservatorismo e progressismo; ma questa è una scelta di coerenza doverosa al fine di contrastare, nella libertà, sia l’antropologia relativistica, sia il capitalismo selvaggio ancora troppo padrone nel mondo a causa di enormi ingiustizie e guerre, sia certi ritorni di venti fascisti.

Però si insiste a dire: oggi il partito cattolico è improponibile. Rispondo: non si vuol fare il partito cattolico, bensì un partito promosso certamente da cattolici ma aperto ad altri purché, è ovvio, non avversi ai fondamentali valori dell’“umanesimo integrale”. Un partito sostenitore e attore del confronto e del dialogo democratico, al quale, certo, ci si presenta con la propria identità di fondo (altrimenti si ingannano gli stessi interlocutori e cioè il popolarismo di ispirazione cristiana). La politica è l’arte (non tanto del “possibile” quanto piuttosto) dello sforzo rispettoso ma sincero indirizzato a incarnare nella società reale “la maggior misura possibile” di ideale vero. Perché, poi – mi chiedo – perché non riconoscere che, se l’impresa riuscirà anche se non perfettamente, essa sarà magari un fatto più o meno piccolo, minoritario, sì, ma non insignificante di testimonianza cristiana in questo universo di troppa emarginazione del pensiero e dello spirito cristiano.

Si dice ancora: oggi la gente è ampiamente su posizioni antipolitiche. Replico: questo nuovo soggetto intende proprio contestare una tale deriva assecondando la domanda di cose nuove presente in tante coscienze.

E’ vero, lo ammetto, che non sono abbondanti tra i cattolici due doti necessarie per dar vita e tenere in piedi un partito, ossia un po’ più di potere organizzativo soprattutto sul piano della comunicazione classica e informatica, e anche una sufficiente disponibilità finanziaria. Ma, intanto, non siamo all’anno zero; e credo che, se quanti si sono impegnati sapranno presentare bene l’idea e riusciranno davvero, da varie parti, a convergere nella più grande unità possibile, le risorse organizzative ed economiche miglioreranno. Non vorrei peccare, certo, di troppa fiducia: le difficoltà ci sono tutte. Ma bisogna avere coraggio. Che mi pare non manchi. Nonostante le difficoltà, tuttavia, constato con gioia che “coloro che fanno l’impresa!” sono cavalieri coraggiosi (al maschile e al femminile). Accettano la sfida.

Ai cattolici che preferiscono restare legati a questo o a quella forza politica attualmente sulla scena questi amici non lanciano scomuniche, ma augurano di domandarsi se, così, favoriscono o meno la presenza e l’influenza delle idee e degli ideali della dottrina sociale cattolica tutta intera. In ogni modo, viva il rispetto reciproco e la carità, viva la libertà! Mi permetto comunque di aggiungere che farà bene a tutti la memoria storica, la quale, ad esempio, ci ricorda le illusioni di folle cristiane verso Hitler e Mussolini e verso Stalin e – perché no? – una debolezza di pungoli critici nei confronti dei lunghi anni democristiani.

Difficile il discernimento storico-politico; meno difficile però se non si interrompe il dialogo tra cristiani. E’ importante, perciò, non dico imporre (come sarebbe possibile?) ma almeno perseguire e proporre, nella libertà, il massimo dell’unione fra coloro che hanno lo stesso progetto di fondo, la stessa bussola del magistero sociale e la medesima grave preoccupazione su come vanno l’Italia, l’Europa e il mondo.

In questo spirito ritengo molto positivo che i fautori del nuovo partito abbiano a cuore il deciso superamento di quella divisione tra i “cattolici della morale” (o dei valori cosiddetti non negoziabili) e i “cattolici del sociale”, secondo quanto più volte ha detto e richiesto il card. Bassetti. In politica, nell’ambito di una pluralità di idee e posizioni, non vedo come, a livello parlamentare, non si debba trattare con quanti non la pensano alla nostra maniera; ma si deve trattare battendosi “per l’intero”, impegnandosi per tutti i valori, a cominciare dai più fondamentali, si riesca o meno a vincere. Con la necessaria preoccupazione per l’insieme dei problemi politici del momento. E’ vero, per la “verità” si deve essere pronti a dare la vita, e in certi momenti drammatici si può anche scegliere di dare le dimissioni, se proprio non c’è altra scelta; ma in proposito non si può sentenziare e decidere alla leggera, senza una realistica e completa valutazione del “pro” e del “contro” di fronte alle soluzioni prospettate.

Stando così le cose, in un momento di così grande crisi spirituale e politica a livello locale e mondiale, credo che si debba essere contenti se nasce davvero, senza presunzione ma coraggiosamente, questa novità politica in Italia e in Europa. La quale rappresenta una nuova opportunità per l’impegno laicale e per tante persone che non sanno per chi votare nelle varie tornate elettorali.

3. Ora tuttavia, se la prima scommessa è vinta, o sta per essere vinta con la prospettiva ravvicinata di una tale novità, è necessario che sia vinta la seconda scommessa, quella più decisiva non tanto per far nascere ma soprattutto per far vivere e bene operare il nuovo soggetto. Questo però non dipende anzitutto dalle circostanze più o meno favorevoli ma da coloro stessi che, in tempi diversi e per strade diverse, si sono impegnati a “fare l’impresa” o entreranno appena possibile a farne parte. Voglio dire che, sia gli uni che gli altri non solo dovranno sottoscrivere la carta progettuale- programmatica e compiere democraticamente gli atti giuridici relativi, ma dovranno anzitutto riflettere bene, ciascuno nella propria coscienza, cosa significa e comporta scegliere un partito così qualificato. Riflettere bene, intanto, sulle grandi linee progettuali ed etiche contenute nella dottrina sociale cattolica e nelle ricche correnti di pensiero e di azione che ne sono derivate dal ‘900 ad oggi: il pensiero sociologico ed etico-economico di Toniolo all’insegna del solidarismo; il popolarismo e il municipalismo sturziano, da non separare dalla denuncia sturziana delle degenerazioni statalistiche; le “idee ricostruttive” di De Gasperi su cristianesimo, democrazia politica ed europeismo; il contributo dei cattolici alla Costituzione italiana, anche con l’aiuto del Codice di Camaldoli; “ l’etica fiscale” di Ezio Vanoni ( di cui è uscito recentemente un libro di PaoloDel Debbio); la visione e la passione lapiriana ( condivisa da Fanfani e dai dossettiani )per la liberazione della “povera gente” e la pace nell’area mediterranea e nel mondo globale; infine, l’aggiornata concezione della politica economica, che senza rinnegare il valore dell’economia sociale di mercato, prospetta un’economia a “tre soggetti” (stato, mercato, società civile). Nell’ambito di una completa riflessione non si può emarginare la più difficile e dolora decifrazione del significato, non solo politico, della tragedia di Moro e di Paolo VI. Da non dimenticare poi che le esperienze migliori della politica popolare e democristiana sono avvenute con protagonisti non scevri da difetti, ovviamente, ma di sicura fede cristiana e di altrettanto genuina laicità.

Sì, queste riflessioni sono assai opportune e, se non sono superficiali, non possono che accompagnarsi a un proposito, formulato con intima convinzione e responsabile libertà. Quale? Un triplice proposito: quello di restare fedeli non al proprio personale tornaconto o interesse, bensì all’idea progettuale, sempre tenuta presente e allo spirito che la anima; il proposito poi di pensare e dialogare – con viva attenzione ai movimenti culturali e sociali in corso – allo scopo di individuare e condividere le concrete modalità applicative a livello istituzionale, politico ed economico; e infine quello di impegnarsi non solo ad osservare le regole contro ogni tipo di deviazione, prepotenza e corruzione, ma anzitutto a farsi guidare nei rapporti interni ed esterni dalla legge suprema dell’amore insegnatoci da Gesù. La quale trascina con sé e facilita la pratica dell’onestà e della giustizia, che ogni coscienza percepisce ma spesso non ha la forza di osservare.

Sta qui, appunto, la seconda scommessa da vincere: che un gruppo coeso voglia applicare cioè – paradosso vincente! – l’assoluta rettitudine morale e l’ispirazione propria dell’amore evangelico nel dibattito politico spesso duro e nella dialettica democratica del potere, con le insidie morali che gli sono connesse. Via l’idea che il fine giustifica i mezzi. Nel mondo si contrastano aspirazioni profonde al bene e potenti tentazioni al male, santità ed empietà, senso di Dio e dimenticanza di Dio, provvidenza divina unita alla grazia redentrice e “mistero di iniquità” ( cfr. 2 Tess. 2,7). Grande è l’opera politica e il bene comune che è il suo compito, grande e giustamente appassionante , ma quanto seria questa “professione-vocazione”, come la chiamava Max Weber! Insieme alla competenza specifica che ciascuno deve farsi, la politica esige,  di per sé, virtù, che nei credenti si unisce alla preghiera non farisaicamente ostentata.

Un partito, allora, concepito come laica fraternità di matrice cristiana (anche se non chiamato cristiano )? Perché no se la matrice è davvero questa. Tale è l’orizzonte in cui muoversi. Il  quale, credo, non dispiacerà ai non credenti pensosi e rispettosi, o ai diversamente credenti, che volessero condividere questa avventura politica comunitaria.

In pratica, coloro che si offrono per dar vita o partecipare al nuovo soggetto – laico quanto si vuole ma d’ispirazione cristiana – se la sentono o no di impegnarsi per tenere fra di loro rapporti e atteggiamenti onesti e fraternamente sinceri, fuori da ipocrisie e lotte a colpi bassi, intransigenti contro ogni tipo di corruzione, ricordando che le cose giuste e le scelte ritenute migliori non possono essere servite da comportamenti scorretti e odiosi? Consiglio di andare a rileggere e ricordare bene le pagine “morali” di San Paolo (come, ad esempio, la Lettera a Tito 1, 1ss.). Insisto: ve la sentite o no, cari amici, anche nei dibattiti accesi con gli avversari politici che certamente avverranno nei vari consessi istituzionali e nella pubblica comunicazione, ve la sentite – neppure con chi si presentasse come acerrimo nemico – di non fare mai polemiche all’insegna della menzogna, dell’odio, della calunnia?  E quando, nei dibattiti sia interni che esterni, vi accorgerete di avere sbagliato e di essere stati vinti da questa o quell’altra debolezza umana, saprete rimediare quanto prima in modo da testimoniare specchiata onestà e spirito di pace? Ecco la sfida da vincere: che il potere, per quanto legittimo e utile, non ci faccia perdere l’anima! Che cosa grande – anche se il partito sarà piccolo – se esso avrà un personale cristiano non solo sul piano delle idee ma anche in quello dello stile morale (che è sostanza).

4. Giorni or sono ho letto il brano di Enzo Bianchi inviatoci via mail da Alessandro Diotallevi in data primo agosto. Una riflessione tra teologia e sociologia riguardo al passaggio, nella gestazione e nella crescita dei movimenti, tra la fase detta della “banda” e quella del “gruppo”. Confesso di avere qualche problema con questo linguaggio, ma penso di capirne lo spirito. Ebbene, anche nel processo che porta al nuovo partito, se c’è il fervore delle idee e della passione per il bene comune, è inevitabile che i protagonisti tendano non a riunirsi in una qualunque associazione più o meno passeggera, bensì in una vera comunità politica. Non credo di esagerare con questa affermazione. Tale “amicizia politica” certamente non è la Chiesa né un organismo ecclesiale, e certamente non sarà eterna… E’ un’opera “di questo mondo”, laica e temporale, di grande finalità umana e di capacità risolutrice meno grande, frutto di ragione e di libertà per quanto ambedue – la ragione e la libertà – sono messe in atto, in chi vive l’esperienza cristiana, in uno stato morale illuminato e fortificato dalla fede. E’ un’opera, insomma, costruita da persone che, fianco a fianco, usano gli strumenti del potere e della partecipazione democratica ma, in quanto credenti, sentono di doverli maneggiare non da maneggioni senza scrupoli ma da persone diritte e amiche, ispirandosi al comandamento fondamentale del Signore: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”  (Gv 15,12 ):  pensiamo alla forza di questo “come”! Chiedo troppo, forse? Rivolgendomi a dei cristiani, mi pare di no, anche se non bisogna meravigliarsi delle debolezze umane.

5. Vado verso la conclusione.

Fratelli cristiani, non ci vergogniamo mai di riferirci a questo ideale di vita. Anche in politica. E’ questa, ripeto ancora, la sfida principale che avete dinanzi. Cerchiamo di superare, fratelli, quel più o meno larvato rispetto umano o semilaicismo che, magari con la scusa o l’intento anche onesto di evitare l’integralismo, ci porta ad occultare la nostra (non secolaristica ma cristiana) laicità. Mi pare in atto da tempo una grave latitanza dalla testimonianza cristiana, contemporanea magari a ostentazioni sbagliate. Bisogna invertire la tendenza, certo con uno stile umile e con rispettosa discrezione – rispettosa della fede, della giusta laicità e degli altri. Non si può scimmiottare La Pira (una delle vette della testimonianza cristiana in abito laicale, politico vero ma fuori dall’ordinario, un immenso dono di Dio, che io ebbi la grazia con altri di assistere in morte). Ma almeno si guardi ancora a una figura come quella di De Gasperi (il card. Nicora diceva che è il “vero” santo della politica). Leggete qualche passo dell’epistolario e dei discorsi di questo politico e statista a tutto tondo, che suggellò la sua vita di laico cristiano spirando col nome di Gesù sulle labbra.

E voi, amici non credenti, non fate l’errore di considerare Gesù come un sovrappiù non necessario o una irraggiungibile e inimitabile stella lontana dal mondo. Se si pensa – anche prescindendo dalla fede – chi è stato Lui e continua ad essere nel suo Vangelo vivente e in chi veramente Lo ha seguito, come non prenderlo sul serio e non vedere in Lui il supremo Modello che attrae? In ogni modo, mai considerare l’ideale di vita che Egli richiede quasi fosse una pura chimera.

Procedendo avanti nella vita, sia privata che pubblica, magari sbagliando, magari cadendo “di caduta in caduta”, “di debolezza in debolezza”, sarà comunque possibile riprendersi ed evitare gravi omissioni ed errori distruttivi allorché si cerca di orientarsi sinceramente alla luce del più grande dei beni da Lui vissuti e proclamati, la carità, l’agàpe ( cfr. 1 Cor. 13,13 ). L’aspirazione sincera alla carità – anzitutto invocata – ci spinge a rialzarci , ci scuote, ci fa accorgere di sbagliare, ci fa capire il valore di voler bene e di volerci bene e, se è amore vero,  “copre una moltitudine di peccati” ( cfr. 1 Pt. 4,8 ).Soprattutto quando partecipiamo all’ Eucarestia chiediamo la carità. Da vivere anche in politica. Immaginate, per un attimo solo, un dibattito politico – nelle istituzioni, nei partiti, sui media, sui social e fra la gente – animato non dall’indifferenza, non dall’odio, non dalla rabbia sfogata, non dalla stolta e peccaminosa superficialità, non dalle mezze verità o mezze menzogne, ma dalla ricerca della verità attraverso l’onestà del ragionare e la carità….. Quale vantaggio, quale valore! Di tale valore, è vero, ha bisogno la stessa comunità ecclesiale ai suoi vari livelli, non di rado così deludenti e mediocri: sicuramente.

Ma ecco, allora, che mi viene da concludere non pensando prima di tutto al nuovo partito – che anche se minoritario, purché di ispirazione cristiana autentica, potrà essere comunque un evento positivo – ma pensando principalmente all’ urgenza numero uno per noi cristiani, quella di pregare e operare perché si riattivi tra noi, in Europa, nel mondo la luce di Dio, la fede viva nel Signore Gesù attraverso le mille forme dei cenacoli cristiani. Mi interessa la crescita della fede più della politica, per il bene della stessa politica. Magari – giacché appunto di politica parliamo  – si imitasse un po’ la fede delle non poche esemplari figure che sono state protagoniste, più o meno importanti, delle vicende nazionali o locali  del XX secolo. E’ bello, in questa società dove prevale la scoraggiante atmosfera della lamentazione e del pessimismo, è bello prendere atto che la fede nel Signore Gesù ha educato – e ha prodotto con esse segni fruttuosi di vita nuova – non poche persone immerse nella storia più recente.

Questa non facile sintesi fra impegno politico ed esperienza cristiana va continuata, va aggiornata. E il fuoco spirituale che la alimenta, come alimenta di per sé ogni attività umana, va tenuto acceso nella Chiesa. La quale non solo insegna il Vangelo e le sue traduzioni dottrinali, ma è al tempo stesso matrice e scuola di santità, anche di santità eroica in ogni campo della vita. E’ questo che anzitutto ci sta a cuore.

+ Gastone Simoni, Vescovo emerito di Prato

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