“Insieme possiamo – e dobbiamo – costruire una nuova alleanza tra le generazioni, tra l’uomo e il creato, tra le comunità e i territori. Perché la salute del pianeta non è separabile dalla salute delle nostre relazioni. C’è bisogno di promuovere una nuova cultura umanistica che allarghi i suoi orizzonte sia alle relazioni fraterne tra i popoli sia quelle – anch’esse “fraterne”, come diceva san Francesco – tra le creature umane e il creato. Insomma, un umanesimo planetario, consapevoli che nessuno si salva da solo. Ciascuno è responsabile degli altri. Prendersi cura gli uni degli altri è la via è la sostanza del Vangelo e la “regola d’oro” che traversa tutte le religioni e le culture”.
Lo ha ribadito Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, intervenendo stamattina a Roma alla presentazione del libro “Salute Planetaria. Riflessioni per un futuro sostenibile” (a cura di Federico Serra).
Abbiamo bisogno – ha insistito Mons. Paglia – di “un ecosistema in cui le politiche sanitarie, sociali, educative, urbane e ambientali devono dialogare in modo armonico, per generare benessere condiviso. Pensare la salute come
ecosistema significa superare la frammentazione degli approcci e mettere al centro la persona nella sua rete di relazioni, nel suo territorio, nel suo tempo di vita. Una parte della risposta, ne sono convinto, risiede proprio nel ruolo degli anziani. La nostra epoca tende a considerarli un peso, un costo, un problema da gestire. Ma questa è una visione miope, disumanizzante ed anche ingiusta. Gli anziani sono una risorsa decisiva per la società contemporanea.
Sono portatori di memoria, di saggezza, di legami. Possono – anzi devono – essere protagonisti attivi di quella transizione ecologica e sociale che ci viene richiesta”.
Di seguito il testo completo dell’intervento di Mons. Paglia e la locandina dell’incontro.
Signore e Signori,
è con grande piacere che prendo parte alla presentazione di questa preziosa opera, che pone al
centro un tema di straordinaria attualità: la salute planetaria come orizzonte etico, sociale e
culturale della nostra epoca. Ringrazio Federico Serra per aver curato una riflessione così
articolata e lucida su questioni che ci interrogano nel profondo.
La salute, lo sappiamo, non è solo assenza di malattia. È equilibrio, relazione, benessere fisico,
mentale e spirituale. E oggi non può che essere pensata in chiave planetaria, come ci ha
ricordato Papa Francesco nella Laudato sì e nella Fratelli tutti: tutto è connesso, tutti siamo
interconnessi. In queste due encicliche ci viene offerta quella visione globale e unitaria di cui
oggi abbiamo bisogno: un’unica casa, il Pianeta, un’unica famiglia che la abita, l’Umanità. Di
qui emerge lo stretto rapporto tra il “grido della Terra” e il “grido dei poveri”. Le grandi
sfide ambientali si intrecciano con quelle sociali, economiche, demografiche.
Gli studi più recenti evidenziano come fenomeni apparentemente distinti – come la denatalità,
l’invecchiamento della popolazione, la solitudine sociale – non siano affatto marginali nel
discorso sulla sostenibilità. Al contrario, sono sintomi profondi di un modello che ha spezzato i
legami di cura e reciprocità, rinchiudendo le persone nella logica dell’individualismo e della
competizione.
In questo quadro, emerge con forza la necessità di ripensare i legami sociali e
intergenerazionali. Come possiamo costruire una società più solidale, più resiliente, capace di
affrontare le sfide della salute globale come un bene comune e indivisibile? Come possiamo
ritessere quelle reti comunitarie che, per secoli, hanno rappresentato il tessuto vitale delle
nostre città e dei nostri paesi? Fanno riflettere le considerazioni di uno studioso americano,
Jean Twenge, il quale parlando dei giovani li dice “iperconnessi”, parte della “iGen”, dove la
“i” allude anche all’individualismo, che per i giovani di oggi è una caratteristica acquisita.
Iperconnessi e soli, nello stesso tempo. Lo studioso americano riposta l’affermazione di una
ragazza: “nell’estate ho passato più tempo al telefono che con le persone vere”.
È proprio in questo orizzonte che possiamo parlare di un vero e proprio ecosistema della
salute come bene comune, che richiede una visione integrata e relazionale della cura, fondata
sull’interdipendenza tra salute individuale, coesione sociale e sostenibilità ambientale. Un
ecosistema in cui le politiche sanitarie, sociali, educative, urbane e ambientali devono
dialogare in modo armonico, per generare benessere condiviso. Pensare la salute come
ecosistema significa superare la frammentazione degli approcci e mettere al centro la persona
nella sua rete di relazioni, nel suo territorio, nel suo tempo di vita.
Una parte della risposta, ne sono convinto, risiede proprio nel ruolo degli anziani. La nostra
epoca tende a considerarli un peso, un costo, un problema da gestire. Ma questa è una visione
miope, disumanizzante ed anche ingiusta. Gli anziani sono una risorsa decisiva per la società
contemporanea. Sono portatori di memoria, di saggezza, di legami. Possono – anzi devono –
essere protagonisti attivi di quella transizione ecologica e sociale che ci viene richiesta.
Valorizzare gli anziani significa abbattere i muri della solitudine e ricostruire una società della
cura, dove ciascuno, a ogni età, possa sentirsi parte viva di una comunità. Significa
promuovere modelli assistenziali più vicini alla persona, alla comunità, al territorio,
superando l’ospedalizzazione e riscoprendo il valore della prossimità. Significa, anche,
educare le nuove generazioni alla cultura dell’incontro e del rispetto, al senso del limite e alla
responsabilità condivisa.
Nell’orizzonte della salute planetaria, ogni vita conta. E la dignità di ogni essere umano –
giovane o anziano, sano o fragile – è il fondamento di qualsiasi progetto autenticamente
sostenibile.
Cari amici, care amiche,
questa opera ci invita a guardare lontano, ma anche a guardare dentro: a riscoprire che la
vera sostenibilità non è solo ambientale, ma anche relazionale, comunitaria, spirituale. È
tempo di passare da un’ecologia dei numeri a un’ecologia dei legami. Da una sanità della
prestazione a una salute della persona. E gli anziani possono essere maestri in questa
transizione, custodi di quella cultura della cura che oggi va rifondata.
Insieme possiamo – e dobbiamo – costruire una nuova alleanza tra le generazioni, tra l’uomo
e il creato, tra le comunità e i territori. Perché la salute del pianeta non è separabile dalla
salute delle nostre relazioni. C’è bisogno di promuovere una nuova cultura umanistica che
allarghi i suoi orizzonte sia alle relazioni fraterne tra i popoli sia quelle – anch’esse “fraterne”,
come diceva san Francesco – tra le creature umane e il creato. Insomma, un umanesimo
planetario, consapevoli che nessuno si salva da solo. Ciascuno è responsabile degli altri.
Prendersi cura gli uni degli altri è la via è la sostanza del Vangelo e la “regola d’oro” che
traversa tutte le religioni e le culture.

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