“Viviamo in un clima da ‘fine del mondo’? La novità rispetto al passato è che la fine del mondo questa volta non è causata da un Dio furioso, bensì dalla larga e inarrestabile corruzione perpetrata dall’uomo”.
Lo ha sottolineato Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, aprendo i lavori del Convegno Internazionale “The End of the World? Crises, Responsibilities, Hopes”, di fronte a 130 Accademici della Pontificia Accademia per la Vita riuniti in Vaticano per la XXX Assemblea Generale e a 200 iscritti ospiti (partecipanti alle sessioni del 3 e del 4 marzo).
Pace, democrazia, dialogo interculturale e transdisciplinare tra popoli, religioni, discipline scientifiche ed umanistiche, sono le strade per uscire dal clima di crisi epocale.
Così ha concluso Mons. Paglia:
“l’Arca è simbolo di uno spazio in cui il progetto di vita di Dio può navigare attraverso la morte e la distruzione (violenta) verso un nuovo inizio.  Certo la convivenza non è scontata e la fatica dell’armonizzazione delle differenze è molto esigente. Per rimanere nella nostra immagine: la vita nell’arca non è semplice. Anche il nuovo inizio segnato da una seconda emersione della terra ferma, che ci è raccontata dall’episodio biblico come una specie di nuova creazione, è molto più lunga di quella descritta nel primo capitolo della Genesi. Quaranta giorni e diverse settimane di esplorazione, che mostrano Noè come uomo della pazienza e della speranza.
Una speranza che non è sinonimo di rassegnazione o di rinuncia, ma di attesa operosa ed esplorativa con l’aiuto di tutti i mezzi disponibili (corvi e colombe, allora non c’erano i droni) resistendo nella durata, affidandosi alla promessa di una parola che ritiene degna di fede e che comporta una decisione per poter accedere alla realtà di quanto annuncia. È in questo spirito che vogliamo compiere il nostro itinerario. Di fatto, le offerte di riflessione delle quali faremo tesoro in questo incontro intercettano, con diverso approccio, i punti di forza – che sono evidenze dei fattori di crisi e opportunità per un cambio di passo – che impongono l’adozione di un nuovo paradigma di lettura e di azione.
L’immagine dell’Arca, nella fase attuale, cessa di essere un simbolo limite della emergenza, un indicatore dello stato di eccezione. Dobbiamo costruire una, cento, mille Arche, a disposizione dei naufraghi. Siamo sulla stessa barca, ci salveremo solo insieme. Le barche che fanno la spola fra le rive, tenendo al riparo le creature destinate a portare e a far crescere la vita sulla terra, dovranno diventare una dotazione permanente. E dovranno essere attrezzate per custodire ogni vita in pericolo, per consentirle di superare l’emergenza e ritornare ad abitare la terra con i fiori, i frutti, e le nuove generazioni che la fanno rivivere.
Il concetto della Cittadinanza, nella congiuntura planetaria, dovrà essere sviluppato lungo la linea di una cultura che premia il suo indissolubile legame con l’umanità che ci è comune: in ogni tempo e sotto ogni latitudine. La cittadinanza è un concetto umanistico, non robotico, un titolo di convivenza e di fraternità che si rende accessibile alla volontà etica di onorare la dignità umana; non una merce che si compra e si vende in base alla potenza di interessi speculativi che ne sfruttano la rendita materiale, senza restituzione. Lo scambio mercantile è certamente una risorsa strategica per l’economia della condizione umana. Però, la trasformazione della comunità civile nell’habitat della città-mercato, la cui ossessione accumulatrice e selettiva erode ormai dall’interno la stessa uguaglianza democratica, è una perversione che va contrastata con ogni energia”.

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