Un libro ricostruisce per la prima volta in maniera organica le reazioni nella realtà bresciana, in modo particolare degli esponenti del variegato mondo cattolico, nel corso dei drammatici giorni dal rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta – il 16 marzo 1978 – fino al tragico epilogo del ritrovamento del cadavere dello statista democristiano. Quasi in un diario giorno per giorno nel corso del quale l’autore ricostruisce le reazioni degli esponenti dell’associazionismo, della politica, della cultura.

Si tratta de  “I giorni della violenza e dell’attesa. Brescia cattolica e il dramma di Aldo Moro”  di Michele Busi, GAM editrice, Rudiano 2020.

Il rapimento Moro giungeva nel pieno di una serie di episodi di violenza politica che caratterizzarono la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta e che proseguirono fino all’alba degli anni Ottanta, un intero periodo passato alla storia con il nome di “anni di piombo”. Una tragedia che toccò tutto il Paese e arrivò a coinvolgere anche Papa Paolo VI, amico personale di Moro.

“Furono giorni molto convulsi – scrive Busi – caratterizzati dai comunicati delle Br e dalle lettere di Aldo Moro scritte dalla prigionia. Anche il mondo cattolico bresciano, che aveva vissuto pochi anni prima la ferita di Piazza della Loggia, si chiedeva come si era potuti giungere a tanta violenza”.

Il libro si divide in due parti: nella prima l’autore ricostruisce il contesto storico degli anni Settanta a livello nazionale e bresciano; nella seconda documenta, attraverso la riproposizione meticolosa di comunicati, lettere, interventi, come il mondo cattolico bresciano visse quei momenti.

Ed ecco allora le posizioni dell’Azione Cattolica, delle Acli, dei sindacati, dei dirigenti politici della Dc, da Franco Salvi a Cesare Trebeschi, da Ciso Gitti a Bruno Boni, da Mario Pedini a Mino Martinazzoli, e gli articoli dei giornali, ma anche le lettere di semplici cittadini, oppure quelle accompagnate da disegni dei bambini delle scuole. Per un’angoscia ed una attesa che fu veramente di popolo.

Franco Salvi, amico e stretto collaboratore di Moro, al termine di quelle drammatiche giornate, osservava: “Vorrei che tutti faces­simo un esame di coscienza per vedere se realmente siamo migliori oggi o non invece siamo ritornati ad essere gli stessi con i medesimi interessi, con pari ambizioni, con uguali di­fetti; e per di più senza chi poteva mediare ed essere elemen­to di unione e di moderazione”.

Interessante, tra gli altri, il capitoletto “Senso dello Stato e primato della persona”, in cui l’autore indaga le reazioni che suscitarono le lettere che Aldo Moro scriveva dalla “prigione del popolo” nella realtà nazionale ed in quella bresciana.

Il volume si presenta anche come strumento didattico per le scuole: il ricco indice dei nomi di persona, dei luoghi ed anche dei mezzi di informazione che allora intervennero nel dibattito aiuta a comprendere meglio quel periodo drammatico.

Il libro è stato presentato nel corso della Rassegna della Microeditoria tenutasi a Chiari a metà novembre 2020. Mons. Gabriele Filippini, responsabile diocesano per la cultura e direttore del Museo diocesano, nel suo intervento ha evidenziato come la ricostruzione di Busi attesti che la Chiesa bresciana, anche in un momento così drammatico, agì con pacatezza e mitezza, in sinergia con la società civile, i sindacati e le associazioni laiche per fronteggiare il terrorismo. Emerge, fra le altre, la figura del Vescovo mons. Morstabilini, il quale, pur rimanendo una presenza discreta, seppe essere, per i cattolici – ma non solo – un solido punto di riferimento.

Franco Franzoni

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