Elon Musk si è deciso ad entrare in campo in tutta Europa. Dopo gli assaggi in alcuni paesi è passato alle cose in grande. In Italia, per difendere la sua “amica” Meloni, ha detto la propria sui giudici nostrani. Nel Regno Unito ha insultato il Primo ministro, in Germania se l’è presa con il Cancelliere Scholz ed ha invitato a votare per i neonazisti della Afd: quelli del rifare grande la Germania.

Adesso, Musk parla a tutti gli europei perché sostengano le destre e, appunto, si impegnino per fare “grande l’Europa”. Sarà pure un grande uomo d’affari, ma conferma anche che la politica non fa per lui. Oltre ad ignorare la complessa e feconda situazione del Vecchio Continente frutto di una storia millenaria.

Pure noi vogliamo una grande Europa. Un tema all’ordine del giorno ben prima che nascesse Elon Musk. Nato ed educato così tanto lontano. Là dove dell’Europa e della sua tradizione popolare e democratica c’è stato a lungo ben poco.

Sono decenni che sul tavolo esiste il problema del cambio di passo dell’Europa. Magari, con il ritorno alle origini di un progetto di un’entità sovranazionale solidale e consapevole del fatto che i suoi guai sono nati quando non si è riusciti a superare i nazionalismi e si sono aggravate le divisioni sociali. Ma, intanto, si superavano quelle geografiche portando molte zone depresse in condizioni infinitamente migliori di quelle vissute per secoli. Processi in parte interrotti proprio quando, e questa è questione che Elon Musk dovrebbe conoscere a menadito, è stata presa la via della finanziarizzazione incontrollata, assieme alla scelta per un individualismo che sa più di America che di Europa, e con conseguenze letali persino sul piano antropologico, dei costumi, della morale, e dei comportamenti civici.

L’Europa ha interesse a tornare a macinare sulla via della ripresa e dello sviluppo. E deve farlo da sola rinnovando da sé stessa i propri fondamentali e le proprie finalità. E, quindi, pensare di costruirsi il proprio sistema satellitare, di raggiungere una sorta di autonomia energetica e tanto altro che finirà inevitabilmente per non piacere ad Eleon Musk, come a Donald Trump. Ad esempio, rafforzando la propria produzione automobilistica, la digitalizzazione, è rendendo possibile la capacità di difesa comune, cominciando ad intessere relazioni nel mondo che potrebbero finire per non collimare pienamente con gli interessi geopolitici statunitensi, in generale, e quelli economici, finanziati, tecnologici e commerciali di Elon Musk, in particolare.

Ed è possibile che, ad certo questo punto, si finisca per giungere ad un vero e proprio “referendum” tra gli europei per stabilire in che modo si voglia perseguire il meglio per il loro futuro, a prescindere da antiche e feconde relazioni che non vanno né dimenticate né accantonate, ma senza che questo significhi una sudditanza come quella riverberata da Trump e, in qualche modo anche da Musk.

Già gli europei ci ragionavano sopra da tempo e non c’è certo bisogno che Musk ricordi quali sono le vere questioni da affrontare. Chissà che anche tante improvvide dichiarazioni, seguite forse da gesti che potrebbero rivelarsi sconsiderati, come quelli sui dazi, non aiutino a risvegliarsi dal torpore con cui si è reagito finora agli oggettivi problemi che la ripresa e lo sviluppo del processo europeo sta affrontando.

Giancarlo Infante

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