La solenne cerimonia del passaggio dei poteri dal Presidente uscente al Presidente eletto – cioè dal 46esimo al 47esimo – ma anche 45esimo – Presidente degli Stati Uniti, e dell’insediamento del secondo alla Casa Bianca ha, nel corso degli ultimi due giorni, rimesso Donald Trump al centro della scena internazionale, cioè al posto che gli sarebbe sempre dovuto competere, dopo la vittoria elettorale del 5 Novembre.

In particolare, la cerimonia – cui ha fatto seguito un discorso programmatico ancor più duro di quanto non si prevedesse – lo ha riproposto dell’attenzione degli Europei. I quali, nei settanta giorni trascorsi dal momento in cui era apparsa chiara la sconfitta dell’improvvisata e sbiadita candidatura di Kamala Harris, avevano guardato – per cercare di indovinare cosa aspettarsi nei prossimi cinque anni – soprattutto e con reazioni e sentimenti nuovi e contraddittori, alla inconsueta performance di un’altra personalità. Quella di Elon Musk, da cui sembrano anzi essere rimasti addirittura affascinati.

Una personalità priva di vera veste ufficiale, ma emersa con imprevista forza e visibilità, ed affermatasi nel giro di pochi mesi, tra i protagonisti della vita politica americana, e quindi mondiale, come una sorta di comprimario del Presidente.  O, addirittura, come l’ispiratore della nuova linea di Washington.

Il nuovo ruolo così assunto dall’uomo che pochi conoscevano per essere il più ricco del mondo è stato peraltro pubblicamente riconosciuto dalla persona che forse aveva meno interesse ad enfatizzarne il successo, lo stesso Donald Trump, il Presidente eletto. Il quale non ha esitato nelle ultime dieci settimane ad associarlo ai festeggiamenti per la vittoria. In una misura che, ad un cero punto, verso la fine di Novembre, ha quasi rischiato di fargli ombra. E che non si sarebbe molto vista nelle ultime ore a Capitol Hill solo perché la cerimonia doveva seguire un copione prestabilito, una sorta di rituale da incoronazione, consolidato nei decenni. E che non consentiva molte innovazioni.

Sinora, si è insomma manifestata in pieno, molto più apertamente di quanto non fosse ragionevole, tutta l’ansia dei governi Europei di etichettare Trump come esponente della estrema destra internazionale. E di bollare come il capo e l’ispiratore di questa preoccupante e crescente tendenza, ancor più Musk che Trump, ancor più regista che non il beneficiario della vittoria, ancor più il king maker che l’uomo appena insignito della corona.

La reazione di Galbraith

Non c’è dubbio che quello tributato ad Elon Musk sia un riconoscimento più che dovuto. Come non c’é dubbio sul fatto che il suo ruolo, nella campagna elettorale americana, e nella vittoria di Trump, sia stato determinante.

Soprattutto a partire dall’estate e dal fallito tentativo di assassinare il candidato repubblicano, l’iperattivismo dall’imprenditore sudafricano, le risorse economiche da lui generosamente profuse, e la messa a disposizione di mezzi di comunicazione potenti e sapientemente utilizzati, sono riuscite a trasformare in un consenso complessivo le simpatie di tutti coloro – ricchi e poveri, uomini e donne, vecchi e giovani, yankees e appartenenti alle minoranze – che per una ragione o per l’altra, nel ribollente calderone degli Stati Uniti, si sentivano – e si sentono – posti in secondo piano dall’establishment di Washington.

Quest’ultimo aspetto è apparso però completamente dimenticato da parte degli Europei. E cioè quanto socialmente composita e politicamente articolata, addirittura ambigua, sia stata la maggioranza che ha messo Trump sul trono. O più probabilmente, non se ne vuole deliberatamente tener conto. Il che mostra in piena luce quanto siano forti il pregiudizio negativo e l’allarme degli osservatori europei contro la nuova forma e le nuove prassi della dialettica politica che gli Stati Uniti sembrano dover ormai adottare in questa nuova fase della loro storia.

Ieri, invece, al momento dell’insediamento alla Casa Bianca, le cose stavano differentemente.  Non c’è stato, lunedì 20 Gennaio, alcun dubbio su chi sia al centro della scena e della partita – e dopo l’onnicomprensivo e farraginoso discorso del Presidente appena entrato in carica – altrettanto interessanti appaiono le sensazioni emerse pressi gli osservatori americani più attenti ed equilibrati di fronte al non trascurabile rimescolamento di carte in atto negli Stati Uniti.

Non c’è dubbio che, per certi aspetti, – con l’importante eccezione di un vago riferimento to stopping wars – gli impegni assunti da Trump possono essere considerati catastrofici. Soprattutto, la parte anti-wokista (niente gays nelle gerarchie militari, nessun riconoscimento del transgenderism,o come fenomeno sociale, l’America come paese popolato solo da uomini e da donne).

Ma nel complesso – come ha rilevato una personalità di orientamento progressista al di sopra di ogni sospetto, l’economista James Galbraith – “se è vero che il 20 per cento degli obiettivi dichiarati da Trump, come la chiusura dei confini e l’espulsione degli immigrati irregolari sono davvero vicious and mean, malvagi quanto meschini, una analoga quota (a proposito di Panama, della colonizzazione di Marte, del ritorno a McKinley) sono pura pazzia; ed un altro 20 percento pure banalità (“quanto grandi ed eccezionali siamo noi Americani !”). Ma c’è anche un 20 per cento di cose ragionevoli e da accogliere favorevolmente (la riaffermazione del free speech, il rifiuto della persecuzione politica, l’impegno a porre termine alle guerre in atto e ad evitarne di nuove”

E poi, sottolinea ancora questa influente personalità intellettuale “è molto significativo che Trump non abbia, nel suo discorso, detto una parola né sulla Russia né sull’Ucraine, così come nulla di direttamente ostile alla Cina. E si aggiunga il fatto che presente alla cerimonia c’era il Vice-Presidente della Cina  e che invece non c’era Ursula von der Leyen. E poi non c’era neanche Zelensky.  Cosicché non sono tanto pessimista.”

Da stravagante a minaccioso

Se – almeno sino a non molti giorni fa – la maggioranza degli osservatori europei, ha guardato più a Musk che a Trump, è probabilmente perché questi ha espresso su di loro giudizi e preferenze.

Elon Musk appariva loro come un miliardario tanto più stravagante quanto più enormi erano le sue ricchezze. E troppo pochi tra questi osservatori, quando è parso loro che fosse diventato necessario proteggersi dalle sue intromissioni nella politica del Vecchio Continente, affibbiandogli un’etichetta politica che lo discreditasse, hanno ritenuto opportuno guardare ai suoi precedenti. Anche quelli – un po’ anomali per un plurimiliardario – con cui egli si era fatto notare ancora pochi giorni prima del fatidico momento in cui egli si ha deciso di affermarsi come il king maker di un Trump lanciato alla riconquista della Casa Bianca.

Eppure, la controversia che aveva negli ultimi mesi messo a rumore tutta Silicon Valley, e in cui Musk era ed è tuttora implicato contro Sam Altman lo aveva fatto apparire assai diverso da come oggi lo si dipinge sulla base dei suoi interventi sulle questioni europee. Perché non si trattava, e non si tratta, di un bisticcio tra due plurimiliardari.

Se il secondo era, infatti, già il personaggio improvvisamente diventato conosciutissimo negli ultimi due anni per aver lanciato sul mercato ChatGPT, Musk non era ancora quello che oggi appare ai più, e ancor meno quello che gli Europei vorrebbero far apparire. Musk era già l’uomo più ricco del mondo, le cui soddisfazioni e il cui successo personale non possono più essere accresciuti dall’accumulazione di altro denaro. Al contrario, era già una personalità che può darsi altri obiettivi nella vita: obiettivi per così dire, di tipo qualitativo. E, agli sciocchi che non lo avessero ancora capito, e che attribuiscono anche a lui le proprie meschine ambizioni miliardarie, lo ha ricordato qualche giorno fa, quando al momento del lancio di un missile che stava per costargli 90 milioni di dollari, ha detto: “Il successo è incerto, ma il divertimento è assicurato”.

La controversia tra lui e Sam Altman, ormai rimasto il padrone incontrastato della società OpenAI, e di un prodotto – ChatGPT – di particolare successo, non verte infatti su un conflitto di interessi economici. Il dissenso oppone invece Elon Musk al giovane neo-miliardario (fortemente finanziato da Microsoft) sugli obiettivi che dovrebbero essere perseguiti dalla start up che avevano congiuntamente fondato. Una start up poi rapidamente diventata una formidabile entità di ricerca, non solo un “unicorno”, ma soprattutto un incumbent, una parte costituente dell’establishment ormai consolidato e invecchiato della ricerca sull’Intelligenza Artificiale.

Per le start ups, contro il big tech

Elon Musk e Sam Altman avevano fondato insieme la società OpenAI come un’entità di pura ricerca e senza fini di lucro, destinata solo al progresso scientifico, e quindi al benessere collettivo. Ed é stato un ripensamento di Altman su questo importantissimo punto a provocare il successivo dissenso, il distacco di Musk, e le conseguenti controversie giudiziarie. Un ripensamento appunto sul carattere non profit dell’iniziativa. Ed il tentativo di trasformarla in un’organizzazione di tipo commerciale. E il loro scontro è sorto quindi – e verte tuttora – su un punto delicatissimo e che avrebbe dovuto suscitare se non le passioni, almeno l’interesse degli osservatori europei, specie di quelli che si pongono il problema del futuro del nostro continente in questo cruciale settore della ricerca tecnologica, e scientifica. Per non parlare dell’attenzione che ci si aspetterebbe da quegli stessi osservatori che tanto sembrano allarmati per le conseguenze negative che potrebbero derivare dalla creazione dell’Intelligenza Artificiale Generale, o anche dal semplice tentativo di realizzare quello che il vero obiettivo di OpenAI. E che non solo l’Accademico e computer scientist anglo-canadese Geoffrey Hinton, da tutti riconosciuto come “the Godfather of AI”, ma lo stesso Sam Altman, hanno denunciato come un pericolo per la sopravvivenza dell’homo sapiens.

Dice qualcosa questa controversia agli osservatori europei? Non fa sorgere qualche dubbio sulle sconfinate ambizioni e le forse contraddittorie motivazioni del magnate ex-sudafricano? Non c’è un’evidente contraddizione, o almeno una forte dose di confusione, tra le sue frenesie extraterrestri, le ricerche sull’ibridazione tra uomo e macchine pensanti, la sua opposizione al passaggio di OpenAI al for profit, e i meschini obiettivi attribuitigli quando lo si caratterizza come un semplice sostenitore della destra più estrema e più becera?

Nel corso dell’estate 2024, la decisione di Musk di impegnarsi a sostegno di Trump è stata la scelta di un obiettivo diverso e più ambizioso della volgare accumulazione di altro denaro. Quasi una scelta di vita; e comunque indubbiamente un grande cambio di passo, dal prevalentemente tecnico-imprenditoriale all’attivamente politico. Ma ciò – e forse se ne può essere sorpresi – non ha cambiato i termini della sua contrapposizione con Altman.

Al contrario, le tematiche del conflitto tra due parti si si sono moltiplicate. Ed è un fatto difficilmente controvertibile che oggi le accuse che Elon Musk rivolge in tribunale a quello che – abbandonato da tutte le grandi personalità che collaboravano in OpenAI – ne è rimasto il responsabile assoluto, si profilino come una difesa delle start up più recenti e dei piccoli imprenditori del settore delle tecnologie d’avanguardia di fronte all’aggressività dei giganti che incombono sul settore.

Il miliardario e il visionario

E val la pena di notare che, in una certa misura, la posizione di Musk è simile a quella del difensore più acceso della linea anti-monopoli seguita da Biden e da Lina Khan, sino a pochi giorni fa responsabile della Federal Trade Commission. Una linea cui alcuni grandi plurimiliardari del big tech volevano assolutamente porre termine, ma che invece sembra in una qualche misura poter essere ripresa da parte di Trump con la nomina di Andrew Ferguson a successore di Lina Khan.

Musk, peraltro, non sembra difendere le piccole e recenti start-ups per un qualche astratto principio di equità. Il suo non sembra essere il caso di un oligarca rinnegato – più o meno fintamente –  che sceglie di prendere, o di far finta di prendere, le parti del popolo minuto. Egli sembra sposare – almeno parzialmente – la causa delle start ups perché si rende conto che è da questi piccoli soggetti ancora allo Stato “aurorale” che viene il progresso scientifico e tecnico, mentre il big tech e ormai fatto di elefanti che tendono a favorire lo statu quo E sono anche esse sempre più parte dell’establishment che viene invece oggi visibilmente scosso dallo strano tandem composto dal nuovo Presidente e dal suo king maker.

Allora: come definire politicamente Elon Musk?  Si tratta di un estremista della destra più radicale, come appare sul teatro europeo, e soprattutto mercato diverso da quello americano dove é invece più ampio lo spazio concesso alle visioni tecnologicamente e utopisticamente più avanzate, come appunto quelle che possono venire solo dalle Piccole e nuove start-up e non dai mastodonti che costituiscono l’establishment produttivo. Oppure si tratta di un difensore della libera concorrenza, come invece sembra essere sul terreno che conosce meglio, e su cui si combatte la battaglia per l’Intelligenza Artificiale Generale ? Il profilo di Elon Musk è certamente diventato molto più visibile e ingombrante in questi ultimi mesi. Ma é ancora mal definito. Ed un po’ di dubbio, un po’ di prudenza, un po’ di tempo in cui il giudizio venga valutato anziché essere urlato, non sarebbero forse inopportuni.

Tanto più che un segnale ci verrà certo da come egli reagirà al discorso di Trump, che ha creduto di poter rimandare ad un futuro indeterminato l’auto elettrica (che interessa drammaticamente il Musk imprenditore di successo). Ma ha annunciato l’intenzione di colonizzare Marte; progetto che Galbraith ha contato tra le “pazzie”, mache chiaramente esercita un appeal di tipo diverso, un vero e proprio fascino, su Musk il visionario.

GiuseppeSacco

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