La Dottrina Sociale della Chiesa che per noi rappresenta non una generica linea di indirizzo, bensì un impegno da osservare scrupolosamente – non perchè sia tiepida la laicità del nostro impegno politico, ma perché, nella nostra diretta e personale responsabilità, ci crediamo davvero, in uno con la Carta Costituzionale – non è una sorta di ideale supermercato dove uno passa e sceglie, qua e là dai banchi, ciò che più gli aggrada nella contingenza del momento, tralasciando il resto. Insomma, riducendo il tutto a merce.
Tutto si tiene per il semplice motivo che la fede – e la stessa ragione: “fides quaerens intellectum” – chiarisce, una volta per tutte, il valore sacro ed intangibile della vita che, necessariamente, da questo inalienabile fondamento si riverbera sull’intera articolazione tematica che la DSC contempla. Non a caso siamo stati autorevolmente invitati a far convergere, nel campo dei credenti, “quelli dell’etica” e “quelli del sociale”.
La vita va difesa su ogni fronte, a cominciare dal più debole, cioè dal feto, per giungere agli ultimi della terra, a chi
è umiliato, offeso nella sua dignità, fatto schiavo, privato di ogni speranza per se’ e per i propri figli. Noi non ci pensiamo mai, eppure accanto all’economia come la conosciamo tutti i giorni, l’economia della produzione e della finanza, scorre, lungo un percorso carsico che ce la nasconde, un’economia alternativa, l’economia di quello che Aldo Moro chiamava il “valore umano”. Ogni ferita che venga qui inferta indebolisce la nostra comune umanità. E non ne fiacca forse la resilienza, riverberando, attraverso percorsi difficilmente decifrabili, elementi di debolezza anche sul fronte dell’economia tout-court?
Ancora una volta tutto si tiene: non si può, non è credibile denunciare l’ingiustizia sociale, gli impressionanti divari di qualità, di dignità della vita, promuovere uguaglianza e diritti sociali senza fondare questa straordinaria vocazione sul fondamento solido del rispetto integrale della persona. E nemmeno ci si può ergere a paladini della vita nascente, soffiando sul fuoco di rancori, ostilita’, livore nei confronti di chi la propria vita la deve mettere in gioco in una infernale lotteria pur di conservarne la speranza.
Non prendiamo lezione da Salvini che da qualche giorno ha aperto la “campagna di maggio”, battendo il tasto della 194.
Per la verità in modo ambivalente, accampando casi estremi da facile propaganda, ma di fatto zigzagando sull’argomento in sé dell’ interruzione volontaria della gravidanza. Che sicuramente, questo sì, neppure la legge che l’ha introdotta nel nostro ordinamento legislativo, ha mai ipotizzato come trattamento contraccettivo e men che meno come intervento da Pronto Soccorso, come sostiene un Salvini evidentemente male informato.
C’è, piuttosto, una responsabilità più impegnativa alla quale i credenti, in modo del tutto particolare, non debbono sottrarsi: anziché immaginare di difendere i valori in cui credono invocando il braccio secolare della legge, assumere l’onore di favorire, sostenere, promuovere una diffusa maturazione culturale e civile che, al di là delle stesse differenti provenienze, attesti una coscienza morale ed una consapevolezza civile piu’ alte in ordine al valore della vita, in ogni sua espressione dal concepimento, al susseguirsi delle varie fasi del suo sviluppo, alla sua naturale conclusione.
Domenico Galbiati