Sembra quasi un destino. Era il 15 aprile 2019 quando improvvisamente, il tetto e le guglie di Notre Dame a Parigi vanno a fuoco e crollano. Visto ex post, quasi un evento premonitore per qualcosa di terribile che doveva capitare all’Europa ( ed al mondo): il Covid-19.
Tra pochi giorni, il 7 dicembre 2024, vi sarà a riapertura di Notre Dame con inaugurazione ufficiale alla presenza del Presidente Emmanuel Macron. E stavolta abbiamo in contemporanea alle porte d’ Europa una guerra che rischia di degenerare in modo incontrollabile, proprio quando la prevedibile stanchezza delle parti rendeva credibile la possibilità di una sospensione delle ostilità.
Il rischio di un crollo della “pace europea” rende la riapertura di Notre Dame un evento non più soltanto francese, ma profondamente europeo. Un evento che impone anche a tutti noi, come cittadini europei, una riflessione comune.
Prima della CEE e dell’ Unione Europea l’n Europa già esisteva . L’ Europa, prima di tutto, infatti non è uno “stile di vita” ( come banalmente si è detto) ma una costruzione culturale, molto risalente nel tempo, di popoli che ritengono di condividere una comune concezione della persona umana e della sua dignità e centralità, vista entro una società organizzata per realizzare il bisogno di essere più umani, non oltre-umani. Una costruzione flessibile, plurale ed aperta all’esterno, ma anche fragile e delicata, in quanto non legata a uno specifico territorio, ad una specifica lingua, ad una specifica storia, come è la nazione, quindi una dimensione che più facilmente potrebbe anche dissolversi.
Notre Dame è un importante simbolo europeo, non un simbolo francese soltanto. Come ha scritto un grande storico, “ l’arte, e soprattutto l’architettura, è stata una delle grandi espressioni e uno degli elementi che hanno cementato l’unità europea. Le letterature , nonostante alcuni elementi comuni, rimanevano distanti a causa della differenza delle lingue[…] L’arte gotica, chiamata anche arte francese, sommerse tutta l’ Europa cristiana a partire dalla Francia settentrionale, e più in particolare dal cuore di questa zona che veniva detta , nel XIII secolo, semplicemente Francia, e che sarà più tardi chiamata Ile de France” ( Jacques Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le radici medioevali dell’ Europa”. Laterza, Roma Bari, 2004, p.182).
Nel XIII e XII secolo a partire dal nord della Francia ha luogo, nella comunità di popoli che fa riferimento al Cristianesimo e che coincide in parte con l’area coperta dall’ Impero romano, un mutamento culturale radicale che si manifesta nel campo religioso, ma investe poi vita pubblica e privata.
Dalle religioni antiche si era insinuata anche nel Cristianesimo una modalità tipica di rapportarsi al divino, fondata su una netta separazione e contrapposizione. “La contrapposizione terra- cielo che si ritrova in molte delle religioni primitive in effetti ha avuto una brillante tradizione. Essa caratterizza ancora mentalità, riti e preghiere. ….L’eredità greca si sintetizza così. la divinità è impassibile, immobile e immutabile; il mondo è cattivo, il saggio lo deve disprezzare, l’uomo non costituisce una unità”. ( Jacques Duquesne,Le Dieu de Jésus, Brodard et Jupin, Paris, 1997, p. 56 e 64).
Questa contrapposizione, tradottasi anche nella letteratura e nell’arte, entra lentamente in crisi a contatto col Cristianesimo, che pur si fonda su una idea del tutto estranea a questa tradizione, che è quella della Incarnazione del divino. Tutto questo è evidente nell’arte e soprattutto nell’architettura, specie in quella delle Cattedrali medioevali. “Nel Medioevo dominava l’arte romanica. E come segnalano André Malraux ed i grandi storici, l’arte romanica esprime e manifesta la trascendenza divina, ma praticamente ignora l’ Incarnazione. Una svolta decisiva inizierà dal XII secolo, col gotico, che pare aver fatto scendere il paradiso sulla terra. Le cattedrali si innalzano su tutti i cieli d’ Europa, e le loro ampie vetrate simbolicamente lasciano entrare la luce, sono aperte sul mondo. Molte di esse sono dedicate a Maria, Nostra Signora ( Notre Dame), che fa nascere il Dio incarnato” ( Jacques Duquesne,Le Dieu de Jésus, Brodard et Jupin, Paris, 1997, p. 65)..
In particolare la figura di Maria di Nazareth esprime e sintetizza, come meglio non si potrebbe, nella cultura europea nascente, il superamento di questa contrapposizione terra-cielo, alto-basso, interno-esterno. Anche Dante esprime con estrema chiarezza questo superamento della separazione terra-cielo, alto-basso nel canto XXXIII del Paradiso : “ umile e alta più che creatura”( v. 2). Ma la figura di Maria illustra anche il ruolo umanizzante della religione cristiana, che respinge da sé ogni alienazione che imponga sacrificio o rinuncia innaturale all’umanità in nome del divino, ogni alienazione che porti al sacrificio, che sia quello di Isacco, o quello di Ifigenia stigmatizzato dal noto verso di Lucrezio “Tantum religio potuit suadere malorum” ( “a tanto male poté portare la religione”).
Dante può scrivere rivolgendosi a Maria nell’ ultimo canto del Paradiso : “ Tu se’ colei che l’umana natura /nobilitasti sì, che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura”( vv.4-6). La natura umana contiene in sé un potenziale di valori positivi che può essere espresso sino ai livelli più alti, senza rinunciare a niente della propria umanità.
Sono elementi che vanno oltre l’ ambito della cultura religiosa del Cristianesimo. Qui nasce l’idea europea di un “progresso personale” di un perfezionamento frutto di una visione del tempo lineare e di una concezione dinamica della persona umana, vista come potenzialità in grado di realizzarsi ( o anche di smarrirsi ) attraverso uno sviluppo armonioso della sua natura relazionale. Una concezione dinamica che investe la stessa struttura della società e che, nel processo di secolarizzazione della modernità, passa dalla teologia e dalla religione alla cultura politica dell’età moderna.
E’ una idea di progresso della società e della persona che non si può confondere col moderno trans-umanesimo o con l’esperimento faustiano di una “nuova creazione” dell’uomo, e neppure con la realizzazione dell’ oltre-uomo nietzscheano. Una idea positiva della persona e della storia che pur coesisterà a lungo con l’ umiliazione ed il disprezzo della natura ( o della “carne”) triste retaggio della religiosità antica, conservatosi anche nel mondo medioevale e moderno, secondo i potentissimi meccanismi inerziali propri della storia delle culture .
E’ su questa rinnovata cultura- che fa perno sulla figura di Maria- si fonda non solo una nuova poetica ( dal mondo francese e provenzale proviene il termine Madonna con la tradizione della nuova lirica di amore) ma anche la cultura pubblica europea, che va ora ben oltre quanto costruito dalla antica cultura biblica. La giustizia come guida della vita pubblica è essenziale ma non basta più. Come ci rivela l’iconografia di Piero della Francesca, Maria è “ l’immagine suprema della Misericordiosa, di Giustizia che intende salvare e non punire , indisgiungibile da pietas– l’opposto della Giustizia bendata! Diligite Iustitiam sta scritto sul cartiglio della Maestà di Simone Martini al Palazzo Pubblico di Siena, è la Giustizia armata della spada della Pietà” ( Massimo Cacciari, La Passione secondo Maria, Il Mulino, Bologna, 2024, pp.25 e 26). “ La Giustizia divina non si nega, ma si supera nella Caritas mariana , esaltandosi, eccedendo ogni limite o fine , ogni precetto o comandamento. Perché il primo e supremo di esso è: ama con tutta la mente e l’anima il bene del prossimo tuo”. ( M. Cacciari, p. 58).
La figura di Maria si collega per questo al concetto di pace, per cui essa è “Regina pacis”. La pace vera, lo shalom ebraico e biblico ( proprio come la “pace” della Commedia dantesca), che non è semplice assenza di conflitti, ma presenza di una armonia di relazioni che è premessa della piena realizzazione della persona, è il contesto in cui soltanto può fiorire la persona umana nella sua relazionalità ( “nella etterna pace” “così è germinato questo fiore” v. 9). Solo nella pace, in questa pace, può fiorire l’essere umano. Solo nella pace può fiorire il “progresso” umano.
Il modello europeo si fonda proprio su questa idea di un perfezionamento dell’uomo che poi diviene, nella secolarizzazione, il cammino del “progresso” storico, idealizzato e assolutizzato dall’ Illuminismo. Questo modello europeo ritorna anche all’inizio della costruzione europea in uno dei suoi simboli identificativi: nella bandiera. La bandiera, con le dodici stelle dorate su fondo blu, nasce da un accordo sottoscritto, dopo un accanito dibattito , l’ 8 dicembre ( giorno mariano per eccellenza, dell’ Immacolata Concezione, nel Calendario cattolico, una peculiarità che ha dato luogo a polemiche un po’ fuorvianti ) del 1955, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’ Europa- la prima e più antica istituzione europea nata nel 1949.
La bandiera europea è però una bandiera molto particolare. Il numero delle stelle dorate non è qui un computo di realtà oggettive ( come nel caso USA, il numero degli Stati). Così si era pensato di fare all’inizio ( ventotto stelle quanti erano gli Stati europei nel 1939), ma poi si scelse un’altra strada,quella del numero- simbolo.
Come poi si scrisse nella Risoluzione del Comitato dei Ministri CM(55)32 “ Sul fondo blu del cielo di Occidente le stelle che rappresentano i popoli d’ Europa formano un cerchio in segno di unione. Le stelle sono in numero invariabile di dodici, simbolo di perfezione e di pienezza”.
Il dodici è stato scelto come simbolo di perfezione. Dodici come i segni dello zodiaco, come i mesi dell’anno, come i dodici apostoli, come le tribù di Israele, ed infine come le dodici stelle dell’ Apocalisse, che compaiono attorno al capo della donna vestita di sole identificata dalla Chiesa cattolica con Maria di Nazareth.
Un simbolo di perfezione non è però eccessivo per una bandiera? Non è il sintomo di un europeismo astratto che pretende di eliminare le divergenze , i contrasti, le crisi in nome di qualcosa che è infallibile e che si impone dall’alto di un potere non contestabile ? Non è il simbolo di un “perfettismo” razionalistico che può diventare la base delle peggiori strumentalizzazioni, ideologiche o tecnocratiche? Non è un simbolo disumanizzante ?
Lo sarebbe, credo, o lo potrebbe diventare se non ci fosse l’eredità culturale di Notre Dame. Che per questo ha una importanza davvero decisiva per caratterizzare il modello culturale e politico dell’ Europa. Vale a dire l’ idea di una perfezione che mai rimuove l’umanità, l’umiltà e la fragilità della condizione umana, ma che da essa nasce e con essa si confronta. E’ questa umanità che consente di perseguire prima di ogni altra cosa la pace vera, quella che è realizzazione delle potenzialità di dialogo . di apertura e di comprensione degli altri.
L’inaugurazione ufficiale dei prossimi giorni potrebbe essere un momento per riflettere sulla missione originale che ha contraddistinto l’ Europa e che ha dato ad essa un ruolo centrale nella storia mondiale, al di là di ogni eurocentrismo o volontà di dominio. Non il ruolo della potenza dominante e coloniale, e nemmeno del gendarme del mondo, ma del custode del potere umano e custode dei limiti di ogni potere, un potere di cui nessuno come l’ Europa ha sperimentato le aberrazioni. L’ Europa proprio per la sua storia drammatica o tragica – ricordiamo l’ Olocausto come prodotto di una anomala modernità ( secondo la nota interpretazione di Zygmunt Bauman) ha il diritto di farlo. Nessuna altra missione potrebbe dare ancora autorità e unità vera agli Stati che la compongono. L’ eredità di Notre Dame è per questo imprescindibile. Di qui dovrebbe trarre ispirazione chi vuole salvaguardare l’ unità, l’integrazione, l’autorità ed il ruolo storico dell’ Europa nel mondo multipolare delle grandi potenze regionali.
Umberto Baldocchi