Il Segretario del PD, Enrico Letta, ha proposto l’estensione dell’obbligo scolastico a partire dai 3 anni.

Se analizziamo con attenzione lo slogan utilizzato  “Estensione dell’obbligo scolastico a partire dai 3 anni” emergono interessanti considerazioni politiche e culturali, non certo banali in vista del voto del prossimo settembre.

La logica di regolare il convivere civile attraverso “obblighi” – ossia leggi, divieti, norme – che gravano sulla spalle dei cittadini, si conferma  diffuso vizio e malcostume della cultura politica della sinistra italiana (che in questo rimane massimalista e profondamente illiberale) che sta causando tanti guai alla nostra società civile, almeno dalla cosiddetta seconda repubblica in poi: spiace constatare che anche Enrico Letta che pure non dovrebbe provenire da quella cultura politica, si adegui a questo modo di vivere le relazioni tra “Stato e Cittadini”.

L’eccesso di normatività, anche quando fatto a “fin di bene”, determina un rapporto deresponsabilizzante tra cittadino e Stato, e finisce per accentuare – involontariamente si intende – il carattere  già implicito di un apparato statale e pubblico che considera i cittadini non già i soggetti attivi da supportare e aiutare in quanto persone su cui trova fondamento la natura stessa del potere statale, ma individui da controllare e sanzionare in  ogni azione che ne regola la convivenza civile: il “famoso” teorema Davigo, lo stesso modello fiscale e della amministrazione della giustizia vigenti non sono la conseguenza di cattivi comportamenti individuali, ma in realtà sono la causa che perpetua il persistere di un rapporto immaturo tra cittadini e Stato. Un eccesso di normatività, combinata con una conseguente  “occhiuta”  necessità di controllo e trasparenza impersonale, determina, quale corollario conseguente e imprescindibile, la enorme mole di burocrazia che ci caratterizza e ci perseguita in ogni settore della nostra vista civile, in costante aumento ogni anno nonostante i proclami di semplificazione: sembra che nessuno si accorga di come questa ottocentesca concezione del rapporto Stato-cittadino e il conseguente enorme contenzioso, etico e giuridico, che ne deriva sia la causa  fondativa dei nostri ancestrali problemi burocratici: confermata indirettamente dalla ennesima  proposta “obbligativa” del PD.

Ragionare in termini di “obbligo scolastico” da estendere a partire dai tre anni, evidenzia una idea di rapporto tra Scuola (cui lo Stato ha affidato i compiti di istruzione e educazione) e Famiglia oggettivamente “statalista”: escluso che a 3 anni si possa avere come finalità principale l’istruzione/insegnamento formalizzato, in origine alla base dell’idea di “scuola pubblica”, ne discende che il PD immagina che un virtuoso processo educativo possa essere iniziato anche precocemente e che questo processo debba essere guidato da una Istituzione – la Scuola – cui affida tale compito a cui le famiglie  devono sottostare (obbligo): questa idea che le Istituzioni conoscano quale sia il “bene” per i propri cittadini e che tale “bene” vada imposto, è tipico di una concezione illiberale dello Stato, che si va diffondendo al di là del perimetro ideologico della sinistra. Ed è particolarmente evidente quando è coinvolta la “famiglia” che di fatto non è mai soggetto attivo di interlocuzione e di rispetto, ma è sostanzialmente una “entità transitoria” costituita da individui che per libera scelta o per nascita si trovano a convivere in forma stabile in un medesimo ambito contestuale, ciascuno portatore di propri diritti paritetici che devono essere regolati e gestiti da una autorità superiore, lo Stato, per il tramite delle sue Istituzioni.

Non è un caso che la visione della famiglia tipica della cultura della  sinistra è molto diversa da quella sviluppatasi in ambito cristiano: curiosamente  questa visione culturale e politica della sinistra ha trovato, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso,  una sua convergenza con l’individualismo capitalistico e borghese che nella vulgata italiana va sotto il nome di “cultura radical-chic”.

Politiche attive per la famiglia, anche per contrastare il fenomeno della denatalità, difficilmente possono essere sviluppate se non si trova un punto di equilibrio, innanzitutto culturale e politico, nei rapporti che devono intercorrere tra famiglia e Stato: e il PD è particolarmente carente nell’affrontare questa rilevante questione, essendosi lasciato trascinare, senza una attenta riflessione interna, sul terreno della difesa dei soli “diritti individuali” che sono diventati la sua bandiera ideologica,  ibridando concezioni individualistiche – pure estranee alla sua cultura fondativa –con concetti egualitaristici e libertari, e dando così origine al cosiddetto “radicalismo-chic politically correct”, che, come tutti gli ibridi, è infecondo e potenzialmente infestante.

L’obbligo scolastico ai 3 anni, raggiunge inoltre l’obiettivo di dilatare il perimetro di azione della “Istituzione Scuola”, di per sé già un “moloch sostanzialmente ingovernabile”: e poiché è compito dello Stato fornire la Scuola, facile immaginare che lo slogan dia nuovo impulso affinché la Scuola Statale, attraverso i suoi Istituti Comprensivi, allarghi il perimetro dei suoi interventi, puntando a riassorbire nel tempo la presenza delle scuole private, particolarmente attive in questa fascia di età: la pluridecennale “querelle” sulla scuola privata paritaria non è primariamente un problema di finanza pubblica (come furbescamente si è propagandato per decenni), ma è l’espressione del conflitto mai risolto sul rapporto che deve intercorrere  tra lo Stato e i suoi cittadini ed è il vero problema che ha contribuito a minare la credibilità della scuola stessa nell’ultimo trentennio.  E una scuola che non ha la “stima” dei propri cittadini, ha enormi difficoltà a poter essere soggetto educativo credibile per gli stessi ragazzi.

E’ vero peraltro che spesso le famiglie non sanno a chi affidare i propri figli durante la giornata lavorativa e l’obbligatorietà della scuola ai 3 anni sembra venire incontro a queste esigenza. In realtà, la formulazione adottata dal PD, offre la estensione di un servizio, ma di fatto sottrae ulteriore legittimità alle famiglie stesse, perché accentua ulteriormente il ruolo funzionalista – riproduttivo e lavorativo – con cui si interpreta la realtà famigliare, disancorandola ulteriormente e per di più nelle prime fasi di vita dai contesti di vita di prossimità e parentali, vitali per un buon funzionamento delle famiglia stessa.

Oltre alle considerazioni critiche sinteticamente esposte, va però affrontata una altra questione di fondo: al bambino piccolo, in età prescolare, serve una esperienza con i pari a partire dai 3 anni in una modalità istituzionalizzata?

Le conoscenze pedagogiche, psicologiche e neuro-scientifiche sono concordi  nel ritenere importanti per i bambini esperienze di socializzazione e di gioco con i pari, almeno a partire dai 24/30 mesi di età, all’interno di ambienti specificamente predisposti e preparati per proporre attività idonei a  bambini di tali età: questa necessità è ancora più acuita dalla attuale organizzazione sociale che rende estremamente difficoltosi momenti di spontanea socializzazione tra pari o tra bambini all’interno del contesto domestico:  organizzazione famigliare, spazi a disposizione,  modelli di vita che si è costretti a subire dalla organizzazione del lavoro.

Esiste quindi la oggettiva necessità di offrire spazi educativi e di socializzazione per i bambini come pure è reale l’esigenza delle famiglie ad essere aiutate in questo compito.

INSIEME è un partito nuovo che nasce per un Politica differente: non si può accontentare di rilevare i limiti di visioni o le contraddizioni rispetto alla propria impostazione politica, ma vuole fare una politica propositiva alternativa che solleciti un confronto sia politico che culturale.

Una possibile proposta alternativa

Invece di obbligare i genitori a portare i bambini a scuola dai 3 anni, è necessario GARANTIRE la frequenza gratuita alla scuola dell’Infanzia a tutti i bambini a partire dai 24 mesi di età, obbligando i comuni italiani, in forma singola o preferibilmente associata o consorziata, a organizzare i servizi per l’infanzia durante tutti e dodici mesi dell’anno: servizi  che dovranno essere  imperniati attorno alla Scuola per l’infanzia, attraverso una co-progettazione con la scuola pubblica statale o comunale e/o con scuole di enti del terzo settore e/o con strutture e enti del volontariato sociale presenti sul territorio.

L’obbligo è dello Stato, per il tramite delle sue strutture territoriali, il modello è la “welfare community

Lo Stato si obbliga a trasferire ai comuni risorse vincolate per ogni bambino che frequenterà le scuole dell’infanzia – sulla base di un costo standard di frequenza, maggiorato nel caso di bambini con disabilità e con premialità aggiuntive nel caso di raggiungimento di target di numerosità di bambini e famiglie coperte dal servizio – definendo altresì le finalità di questi servizi per l’infanzia e i criteri di accreditamento minimi per queste attività.

Questi servizi per l’infanzia organizzati dall’Ente Locale dovranno inoltre obbligatoriamente prevedere forme di coinvolgimento dei consultori – pubblici o privati accreditati – per promuovere azioni di sostegno alla genitorialità e di promozione alla salute psicologica e sociale dei bambini, e una attiva collaborazione con istituzioni e enti che si occupano di contrastare la povertà educativa e economica delle famiglie.

Lo Stato obbliga le Regioni a finanziare i progetti di sostegno alla genitorialità organizzate dai servizi socio-sanitari pubblici o accreditati e di contrasto alla povertà educativa e sociale, concorrendo al 50% dei costi, con una ulteriore premialità aggiuntiva nel caso di cofinanziamento dei progetti da parte di enti privati insistenti sul territorio regionale di pertinenza: i territori vanno aiutati ad acquisire consapevolezza della importanza e dei vantaggi che derivano da investimenti a favore di  queste fasce di età, solo apparentemente “improduttive”.

La premialità, anziché la sanzione, deve essere il motore di un nuovo rapporto tra le istituzioni e tra cittadino e istituzioni.

In questo modo viene trasferita a livello locale la “responsabilità imprenditoriale” di questi servizi per la prima infanzia, nel convincimento che solo la prossimità può migliorare la integrazione delle fasce più deboli.  Poiché sono iniziative imprenditoriali che non possono avere la finalità di remunerare il capitale, lo Stato si obbliga a coprire i “costi standard” per bambino, pur lasciando spazio ad eventuali iniziative aggiuntive: la comunità locale è protagonista del benessere dei propri cittadini, sia offrendo servizi sia organizzandoli così che siano anche opportunità di lavoro.

Le Regioni, sulla base di indicatori oggettivi, dovranno valutare su base triennale i miglioramenti ottenuti in questo settore cruciale per il benessere sociale e della famiglia oltre che di promozione dello sviluppo individuale: e questi indicatori devono essere alla origine del rapporto di collaborazione/controllo tra Stato centrale e istituzioni regionali, così che poi i cittadini abbiano criteri oggettivi su porre in essere la propria valutazione politica.

Senza le famiglie e i bambini un territorio non può sopravvivere.

La co-progettazione pubblico/Enti terzo settore viene resa finalmente effettiva e incentivata, dando avvio a quanto previsto anche costituzionalmente : la “welfare community” rispettosa delle istanze dei cittadini, regolata da una cornice normativa unica  e affidata alla gestione protagonista dell’ente locale, è la risposta alla globalizzazione dei nostri modelli di vita, così da consentire ai cittadini, saldamente supportati dal e nel proprio contesto, di poter affrontare la obbligata complessità di un mondo globale.

Il  Pd con quel che resta del suo “campo largo”, il centrodestra (senza trattino) o il fantomatico terzo polo, sono  in grado di confrontarsi con  proposte come queste, concrete, attuali e rispettose degli indirizzi costituzionali della nostra Repubblica?

In fondo, al di là della querelle sulla necessità o meno di un  partito laico e incardinato su principi della dottrina sociale della Chiesa,  ciò che conta è capire chi mai può incarnare concretamente riforme che intercettino correttamente la dimensione relazionale e sociale del nostro umano convivere.

Massimo Molteni

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