“Moro è qui, con tutta la DC…”
Quel mattino, da una piazza d’Italia si è alzata, per la prima volta, questa esclamazione che, sull’onda immensa di un sentimento comune, si è diffusa ovunque. Stamane, 16 marzo, ognuno di noi ricorda dove fosse e cosa stesse facendo 43 anni fa, in queste stesse ore.
L’ incredibile sbigottimento, lo stupore che ha colpito, quel tragico mattino, l’intero Paese come uno schiaffo in faccia, alla notizia del sacrificio della scorta in Via Fani e del rapimento del Presidente Moro, è stato accompagnato da un coinvolgimento diffuso non solo di condivisione, di solidarietà, ma anche di affetto.
I lavoratori sono usciti spontaneamente dalle fabbriche e gli studenti dalle scuole ed in quei momenti l’Italia ha voluto bene ai caduti dell’ agguato ed al Presidente. Li ha “sentiti”, al di là della compassione, a prescindere da ogni condizione sociale e da ogni appartenenza politica o culturale, come presidio della sua libertà.
Questo “sentire”, questa emozione collegiale e diffusa che è andata oltre, ha trasceso le ragioni della politica o di ogni altra controversia, ha fatto sì, d’ un tratto, che la “gente” si scoprisse “popolo”, accedesse, come se la svelasse a sé stessa la prima volta, ma in effetti possedendola da sempre, è quella comune e indefettibile radice, a quella fede nella nostra comune umanità che, quando tocca l’apice della sua intensità, si apre ad una dimensione religiosa che si accende anche nel cuore di chi non crede.
L’ Italia, gli italiani hanno sofferto e pregato per Aldo Moro e per gli uomini della sua scorta: la preghiera religiosa dei fedeli e quella laica dei non credenti, accomunati nello stesso smarrimento, alla ricerca gli uni e gli altri di un fondamento ultimo che consentisse di non arrendersi alla logica esiziale di un male gratuito ed insensato.
Il sacrificio di Aldo Moro ha rappresentato uno spartiacque nella storia del Paese e delle forze popolari che hanno dato nerbo alla sua vicenda democratica.
Davvero nulla è stato più come prima. Un crinale, una linea di confine in particolare per la Democrazia Cristiana.
Come se il sacrificio cruento del Presidente Moro segnasse e simbolicamente riassumesse in sé la storia nobile di un grande e generoso servizio che, pur tra tanti errori degli uomini, la cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare, ha reso al Paese.
E consentisse che si avviasse un lento ed inesorabile declino, una china forse necessaria perché, secondo la logica ineluttabile del divenire storico, si aprisse una nuova stagione della nostra vita democratica e civile.
E – qualunque cosa se ne dica e se ne sia detto nelle mille polemiche, spesso strumentali, che ne sono seguite -l’Italia ha dato, nella lotta al terrorismo, una grande prova della sua maturità civile. I terroristi sono stati sconfitti, diversamente da quanto è avvenuto in altri Paesi, pur democratici, senza che, neppure nei loro confronti, venissero alterate o compromesse le garanzie democratiche dello Stato di diritto. Sconfitti e molti richiamati alla ragione, addirittura evocati al pentimento, anticamera di un riscatto, pur da storie turpi e criminali.
E qui si è spesso mostrata la forza della carità cristiana, soprattutto di sacerdoti e di familiari delle vittime, che hanno saputo, talvolta, andare oltre il perdono, per capire e ricercare, dietro il buio dell’ideologia, dove ancora brillasse quel residuo senso di umanità cui annodare il filo per tessere via via e faticosamente la tela di una rinascita morale.
Anche per questa somma di ragioni il Presidente Moro è ancora qui con noi e la sua memoria ci impegna a riscoprire il vigore che è intrinseco a quella cultura della politica, a quella cura del “valore umano” che hanno ispirato e guidato la sua azione.
Domenico Galbiati