Quante volte abbiamo sentito dire che l’Europa è in crisi perché ha perso la sua anima. Eppure, il nostro vecchio continente è stato, per secoli, culla della civiltà occidentale, laboratorio di idee e di arte, fucina di diritto, scienza e spiritualità. Oggi, invece, l’Europa sembra smarrita e confusa. In preda ad una crisi profonda non solo economica e politica, quanto soprattutto morale ed esistenziale.
L’allontanamento dalle radici cristiane, che per secoli hanno dato senso all’agire individuale e collettivo, ha lasciato spazio a un vuoto valoriale riempito da consumismo, individualismo e pragmatismo tecnocratico. Le chiese si svuotano, le vocazioni calano, e la fede, in molte nazioni, è ormai relegata alla sfera privata o considerata anacronistica. Il sogno europeo — nato anche dalla visione cristiana di unità, pace e giustizia dopo le macerie delle due guerre mondiali — appare oggi sbiadito.
I padri fondatori dell’Unione Europea, molti dei quali ispirati da un pensiero cristiano (da Schuman a De Gasperi, da Adenauer a Monnet), vedevano l’integrazione non solo come scelta economica ma come progetto di pace fondato su valori condivisi. Oggi, però, questi valori sembrano smarriti. È in questo contesto che si affaccia sulla scena globale il nuovo Pontefice. Viene dall’America, ma la sua storia è profondamente intrecciata con l’Europa: radici familiari francesi, spagnole e italiane, e una formazione spirituale maturata nel cuore del Sud America, in una missione peruviana tra i poveri, i contadini, gli esclusi. Vent’anni vissuti nella carne viva delle ingiustizie sociali, a contatto con le sofferenze ma anche con la speranza delle comunità dimenticate. Il suo primo discorso in Piazza San Pietro non è un manifesto teologico, ma un grido di ritorno all’essenziale: la pace tra gli uomini, la fratellanza universale, il Vangelo come guida quotidiana. Non una dottrina da conservare nei libri, ma una parola viva da incarnare nella storia. Il suo sguardo sul mondo è quello di chi ha vissuto sulla frontiera e la sua voce ha il timbro dell’autenticità.
Leone, un nome tra memoria e profezia
La scelta del nome “Leone” è già di per sé un programma. Evoca Leone XIII, autore della Rerum Novarum (1891), l’enciclica che ha segnato l’inizio della Dottrina Sociale della Chiesa, con un approccio profetico ai temi del lavoro, della dignità umana, del giusto equilibrio tra capitale e lavoro. Ma rimanda anche a Leone Magno, che nel V secolo, con la sola forza della parola, fermò l’invasione di Attila alle porte di Roma: un simbolo della forza spirituale capace di orientare la storia. Questo Papa, scegliendo quel nome, sembra voler indicare la via di un nuovo equilibrio: tra fede e giustizia sociale, tra spiritualità e impegno nel mondo, tra memoria e futuro. Nel cuore della crisi europea non c’è solo una fragilità economica o strategica, ma un’identità spezzata. L’Europa ha bisogno di riscoprirsi non solo come spazio geografico o mercato comune, ma come comunità di destino.
Il Cristianesimo, in questa ricostruzione, può offrire non solo simboli: può ridare senso. Dalla dignità della persona alla solidarietà, dalla difesa dei deboli alla centralità della coscienza, i valori cristiani sono il cemento profondo che può unire una società frammentata. In un mondo lacerato da guerre — dall’Ucraina al Medio Oriente, dai Balcani al Caucaso — e attraversato da crisi migratorie, ambientali ed economiche, l’Europa può tornare a essere protagonista solo se ritrova la sua anima. La sola potenza economica non basta. Occorre una leadership morale, un’autorità spirituale capace di proporre pace, dialogo, giustizia.
La ricerca della pace: Un compito che ora potrebbe svolgere l’Europa
Gli Stati Uniti, troppo spesso guidati da interessi economici e geopolitici, hanno perso credibilità come guida morale del mondo. La Russia, in preda a nazionalismi e militarismo, è oggi vista con timore più che con rispetto. La Cina, in ascesa economica e tecnologica, è priva di valori universali condivisibili. Resta l’Europa, che può tornare ad avere voce se saprà rigenerare la propria coscienza. Un Papa americano ma che ha vissuto per tanti anni nel Sud del mondo; un Papa con uno sguardo globale ma dalle radici europee, può aiutare il Vecchio Continente a ritrovare il proprio centro spirituale. Il suo pontificato può offrire un’alternativa morale alla logica della forza, proponendo una cultura della pace fondata sul dialogo e sulla giustizia. Non si tratta di restaurare il potere temporale della Chiesa, ma di riscoprire la forza spirituale del Cristianesimo come principio attivo della storia.
L’Europa, se vuole davvero influire nel mondo contemporaneo, deve ritrovare quella coerenza tra valori e azione. Una coerenza che in questi ultimi anni ha perduto. E un Papa come Leone, figlio delle Americhe ma erede dell’umanesimo europeo, può essere il simbolo e il motore di questa rinascita. Forse è proprio questo il compito della sua missione: ricordarci che il Cristianesimo non è solo il passato dell’Europa. Ma, con tutti conflitti e le guerre in corso, può ancora essere il suo futuro.
Michele Rutigliano