Sin dalla scelta del nome, il nuovo Papa ha voluto imprimere un segno chiaro e profetico al suo pontificato. Il riferimento a Leone XIII, infatti, non è soltanto un omaggio al suo predecessore, ma un vero programma per la Chiesa che verrà. Con la Rerum Novarum del 1891, il Papa del XIX secolo diede voce agli umili, ai lavoratori sfruttati nelle grandi industrie della prima modernità, alle famiglie che vivevano ai margini della rivoluzione industriale.
Fu quella la prima grande enciclica sociale della Chiesa, un testo destinato a segnare la storia del pensiero cristiano contemporaneo. La dignità del lavoro, la giusta retribuzione, la solidarietà tra le classi, il dovere dei datori e la responsabilità dello Stato: temi allora rivoluzionari che fondarono la dottrina sociale della Chiesa e tracciarono una via nuova tra l’individualismo liberale e il collettivismo socialista.
Assumendo oggi quel nome, Papa Prevost sembra voler raccogliere quella missione, riattualizzandola nel contesto di un mondo radicalmente mutato, ma non per questo meno attraversato da squilibri, ingiustizie e povertà. La “questione sociale” non è scomparsa; ha solo cambiato volto.
Il lavoro che scompare e i nuovi esclusi
Il mondo del lavoro non è più quello di un secolo fa. L’automazione, la robotica, l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione hanno reso più efficienti i processi produttivi, ma al tempo stesso hanno spiazzato milioni di lavoratori, privandoli di certezze e prospettive. L’economia globalizzata ha moltiplicato la ricchezza, ma non sempre l’ha distribuita in modo giusto.
È la nuova frontiera della questione sociale: la frattura tra chi possiede le tecnologie e chi ne subisce gli effetti, tra chi vive nel mondo iperconnesso e chi rimane ai margini, invisibile e precario. A questa massa crescente di lavoratori discontinui, di migranti, di rifugiati che affollano le periferie delle metropoli e le rotte del Mediterraneo, il Papa ha rivolto ieri un appello vibrante. Davanti ai movimenti popolari riuniti in Piazza San Pietro, ha ricordato che «gli Stati hanno il diritto e il dovere di proteggere i loro confini, ma ciò dovrebbe essere bilanciato dall’obbligo morale di fornire rifugio». Una frase che sintetizza il difficile equilibrio tra giustizia e misericordia, tra l’esigenza di sicurezza e il dovere dell’accoglienza. Nelle sue parole non c’è ingenuità politica, ma un lucido discernimento spirituale: la consapevolezza che dietro ogni migrante c’è un volto, una storia, una speranza. La Chiesa, ancora una volta, si pone come sentinella dell’umano, custode della dignità che nessuna frontiera può negare.
Pace, giustizia e dignità: le vie di un’unica conversione
Nel magistero di Papa Leone la pace non è un tema marginale, né un semplice invito alla tregua. È una condizione esistenziale e morale, fondata sulla giustizia e sulla libertà. «La pace – ha ricordato – non è solo il silenzio delle armi, ma anche la presenza della giustizia, della libertà e della fraternità». Sono parole che richiamano le grandi encicliche sociali del Novecento, dallaPacem in Terris di Giovanni XXIII alla Populorum Progressio di Paolo VI. Due encicliche che rivelano la continuità del pensiero cristiano nella storia. In esse si riflette l’idea di una pace integrale: non un semplice equilibrio geopolitico, ma un ordine fondato sulla dignità di ogni persona e sul superamento delle diseguaglianze economiche e sociali. Per questo, il Papa invita a guardare alla pace come a un cammino di conversione personale e collettiva.
Senza pace tra i popoli non può esserci sviluppo autentico; senza libertà dal bisogno non può esserci dignità; senza giustizia sociale non può esserci vera fraternità. È questo il cuore della “questione sociale del Terzo Millennio”: ricomporre il legame spezzato tra economia e morale, tra tecnica e umanità, tra progresso e compassione.
Una Chiesa che accompagna
«Una Chiesa che accompagna le persone – ha detto ieri Papa Leone – è un antidoto contro un’indifferenza sempre più diffusa nel mondo contemporaneo».Dietro questa frase si coglie l’essenza stessa del suo pontificato: una Chiesa che non giudica, ma accompagna; che non si chiude, ma cammina insieme; che non teme di sporcarsi le mani nelle periferie del mondo. È una visione pastorale che coniuga il messaggio evangelico con l’urgenza della storia. Nel tempo delle guerre dimenticate, delle migrazioni di massa e delle nuove povertà digitali, il Papa richiama l’uomo al suo dovere di fraternità.
Come Leone XIII guardò ai lavoratori del suo tempo, così Papa Prevost guarda ai nuovi esclusi del terzo millennio : a chi è respinto, a chi non trova posto nel mondo della produzione, a chi è dimenticato nelle frontiere della ricchezza globale. Il suo grido, semplice e profondo, attraversa il tempo: non ci sarà pace senza giustizia, né progresso senza compassione. E così che la Chiesa vive il suo presente:dando voce a chi non ha voce, per accompagnare l’uomo escluso e sofferente e per testimoniare il Vangeloin un mondo sempre più sconvolto da guerre, ingiustizie e povertà
Michele Rutigliano