Si discute in questi giorni nella politica italiana di “partito della pace” e di “partito della guerra”. Poiché la confusione non manca è opportuno partire dal principio.

La pace interiore, quella tra le persone, e quella tra i popoli sono una esigenza fondamentale per gli esseri umani e per la loro piena realizzazione. Anche perché l’assenza di pace è foriera di conseguenze distruttive. E’ quindi doveroso chiedere la pace. Il Papa ce lo ricorda continuamente con toni sempre più accorati.

Chiedere la pace però non basta e può addirittura diventare un atto di ipocrisia se non ci si interroga seriamente sulle fondamenta sulle quali edificare una situazione di pace.

Se ci riferiamo alla sfera internazionale occorre ricordare che la pace tra nazioni è sempre una costruzione altamente politica e giuridica: pertanto gli attori politici come i partiti non possono accontentarsi di chiederla genericamente ma devono fare chiarezza sulle fondamenta di questa costruzione e lavorare perché si realizzino.

La guerra che, giorno dopo giorno, insanguina l’Ucraina per effetto della illegale aggressione della Russia di Putin ci interroga con urgenza. Il nostro sguardo deve innanzitutto soffermarsi sulle innumerevoli vittime della guerra: la popolazione civile delle città e dei villaggi ucraini quotidianamente bombardati da missili e droni russi, i milioni di persone che hanno dovuto abbandonare la propria casa, le decine di migliaia di morti, l’ancor più grande numero di quelli che hanno perso i propri cari (per non parlare del proprio lavoro), i cittadini dell’Ucraina privati del diritto ad un voto democraticamente corretto nei referendum delle regioni occupate dalla Russia, ma anche le migliaia di giovani delle minoranze etniche russe mobilitati dal Cremlino e mandati al fronte senza preparazione come carne da cannone facendo leva sulla loro povertà, le migliaia di altri giovani russi che, chiamati alla mobilitazione, hanno abbandonato il proprio paese per dire no alla guerra, i tanti oppositori in carcere per avere chiamato la guerra una guerra invece che una “operazione militare speciale”.

A queste vittime dobbiamo un serio ragionamento politico sulla pace. Innanzitutto la pace non è semplicemente la non-guerra, una tregua delle armi, neppure un armistizio (che possono essere semmai degli stadi preparatori). E’ qualcosa di più, cioè un insieme di condizioni politico-giuridiche che assicurino una coesistenza sostenibile tra le parti dirette (ma anche quelle indirette) del conflitto.  Il concetto di pace è quindi necessariamente legato a quello di giustizia.

Quali caratteristiche dovrebbe allora avere un assetto pacifico nella martoriata regione ucraina?

E’ chiaro che bisogna partire dall’aggressione russa che, prima con il colpo di mano realizzato a partire dal 2014 nel Donbass e in Crimea con truppe non ufficiali russe e approfittando della debolezza dell’Ucraina e poi con l’aggressione diretta del 24 febbraio 2022, ha occupato un quinto circa del territorio ucraino con l’espressa intenzione di ridurre a soggezione l’intero paese.

Questa azione, continuata nel tempo e drasticamente accentuata in questo anno, se rappresenta prima di tutto una violenta aggressione nei confronti di un paese confinante, è contemporaneamente un macroscopico attentato all’ordine pacifico europeo basato sul rispetto dei trattati e della sovranità degli stati.  Riguarda dunque non solo l’Ucraina ma tutti i paesi europei. Non è un caso che, oltre a provocare la reazione difensiva del paese aggredito, gli effetti di minaccia si siano estesi ad altri paesi come la Finlandia e la Svezia che, abbandonando la loro tradizionale neutralità, hanno chiesto di entrare nell’alleanza atlantica, in chiave difensiva nei confronti dell’imperialismo teorizzato da Putin. Ma le onde di questo atto si sono estese anche ad altri territori liberatisi dall’impero sovietico, come il Kazakistan per citarne il più importante, che impauriti per il loro futuro si sono rifiutati di approvare queste annessioni territoriali e mostrano la precisa intenzione di accrescere la distanza da Mosca.

Se non vogliamo autoingannarci occorre quindi affermare con chiarezza che ripristinare un equilibrio di pace stabile in Europa richiede che la leadership russa attuale rinunci alle sue prospettive neo-imperiali e che, a partire dall’Ucraina, riconosca il diritto alla piena sovranità e integrità territoriale dei paesi che con il crollo dell’Unione Sovietica si sono resi indipendenti.

Significa questo umiliare la Russia come qualcuno ogni tanto sostiene? Diciamo le cose con chiarezza: sconfiggere il delirio imperialistico di Hitler significò umiliare la Germania? o punire la adesione di Mussolini al disegno del dittatore tedesco significò umiliare l’Italia? Affatto; significò invece liberare i due paesi dal giogo totalitario e riportarli in un concerto europeo di pace e di progresso economico. Così fermare il disegno di Putin (che poi Putin resti o se ne vada non interessa qui) significherebbe liberare il popolo russo da un progetto militaristico il cui enorme peso grava non solo economicamente sulle persone poiché distoglie risorse preziose dai servizi sociali e dallo sviluppo, ma anche politicamente perché quel disegno richiede, come si è sempre più duramente verificato, che per non minarne le basi la libertà politica e di opinione siano negate. L’isolamento politico nei confronti dell’Occidente che ne è derivato ha sottratto alla Russia cruciali risorse economiche ma anche culturali delle quali un paese in grave ritardo di sviluppo ha bisogno.

La rinuncia della Russia al disegno imperialistico putiniano, che è insieme distruttivo e autodistruttivo, richiede da un lato che questo disegno non abbia successo grazie alla resistenza ucraina e al fermo sostegno occidentale, dall’altro che si delinei con chiarezza una prospettiva di ordine europeo che risponda anche alle vere esigenze del paese russo e della sua popolazione. Non tanto perché si pensi che con questo Putin possa farsi convincere, ma perché quella parte di classe dirigente russa che non condivide il disegno di Putin e che ne vede sempre più i costi riconosca che nel nuovo assetto di pace la Russia troverebbe un posto dignitoso e prema perciò per un cambio di rotta. Qui c’è una grande responsabilità dell’Europa e degli Stati Uniti. C’è bisogno di prospettare con coraggio e chiarezza un grande patto sullo spazio europeo che comprenda la Russia e che leghi fine dell’aggressione, accettazione dei confini, rispetto delle minoranze etniche e linguistiche, disarmo controllato e rinnovata integrazione economica. L’Unione Europea, proprio perché ha sviluppato nel tempo importanti capacità di integrazione con vari livelli di intensità ed è potenzialmente rilevante negli scambi economici con la Russia, dovrebbe farsi protagonista di un progetto per la futura pace nel continente europeo.

In questo disegno di pace l’Ucraina, il paese che sopportato le maggiori sofferenze per effetto dell’aggressione, non può non essere un soggetto centrale. Nessuna trattativa di pace può passare sopra la sua testa. In nome del diritto internazionale l’Ucraina ha pieno titolo a che i suoi confini siano ristabiliti e l’occupazione esterna sia rimossa. Così come ha diritto ad un ampio risarcimento dei danni di guerra e alla punizione giudiziaria dei crimini di guerra. E’ necessario anche ricordare che con la sua eroica resistenza all’aggressione l’Ucraina è profondamente cambiata. Uno stato debole e instabile, con molte incertezze sulla sua identità e sulla sua collocazione geopolitica si è ora fortemente consolidato e ha chiaro il suo destino lontano dall’influenza egemonica russa.  Questo destino è dentro l’Europa democratica che si esprime nell’Unione europea: il suo ingresso in tempi rapidi è dunque un passo essenziale. Ma poiché la sicurezza del paese è essenziale dopo queste drammatiche prove, fintanto che non sia saldamente accertata la rinuncia russa a piani di aggressione la scelta dell’Ucraina non può che essere sostenuta dall’ombrello difensivo atlantico (pur senza adesioni formali alla NATO).

Va ribadito infine che per realizzare uno stabile ordine di pace europeo il ruolo della UE è indispensabile, ma richiede che l’Unione sappia essere all’altezza della sfida e riconosca di essere un soggetto politico a tutto tondo e non solo un grande mercato.

Più che una troppo semplicistica contrapposizione tra un “partito della guerra” ed un “partito della pace”, c’è dunque da mettere in campo un saldo “partito della pace nella giustizia” che sostenga l’Ucraina contro l’aggressione e si faccia portavoce di un equo piano per un ordine pacifico europeo rispettoso del diritto e delle giuste esigenze di tutti i popoli.

Maurizio Cotta

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