Da qualche tempo, forse per l’imminenza del congresso o  per lo spettacolo di quanto avviene (poco in realtà) tra i partiti costretti a distinguersi nella stessa maggioranza o per la prossimità di consultazioni amministrative o anche per una spontanea maturazione delle riflessioni, sembra accelerarsi il confronto su alcuni temi più propriamente politici. Fra questi certamente molto significativo quello sulle differenti distanze (o sulla differente qualità delle distanze) di Insieme dalla destra e dalla sinistra. È quasi invincibile la tentazione di cimentarsi su tali questioni. Tuttavia la collocazione di un partito nell’arco parlamentare non avviene nel progetto su un foglio quadrettato, ma a posteriori. Sono le parole, le proposte, le iniziative, le distinzioni e contrapposizioni di un soggetto politico, che inducono a collocarlo, anzi meglio a riconoscerlo, in una certa posizione rispetto agli altri soggetti e nel quadro complessivo.
Partito di programma è perciò la formula da cui muovere. Una elaborazione si è svolta e si svolge (i programmi dei partiti sono opere aperte) da parte dei 25 o poco più Dipartimenti tematici, ben sapendo che in questi campi di attività e responsabilità non tutto ciò che si istituisce può o deve divenire subito pienamente operativo. Poi l’individuazione degli ambiti tematici può essere da aggiornare ogni volta che nuovi temi politici si impongono (come in queste settimane sta avvenendo in connessione con il PNRR).
Una struttura di programma per dipartimenti tematici è ben nota a quanti, più adulti, ricordano il modo di procedere dei grandi partiti della prima Repubblica. L’articolazione tematica, che certo non corrisponde esattamente né all’elenco dei Ministeri né a quello delle Commissioni parlamentari, ha tuttavia quel tanto di simmetria che da concretezza alla elaborazione politica. Vale soprattutto per un partito di governo o che dall’opposizione abbia motivo di operare, anche non esplicitamente, con la logica del governo ombra. I luoghi di elaborazione programmatica dei partiti sono (erano?) anche luoghi di ascolto e talora di responsabilizzazione delle associazioni rappresentative. Così non tutte le esigenze e non tutte le proposte, comprese le tante aspettative di emendamento, si scaricavano acerbe sulle istituzioni, cioè senza una mediazione politica (l’attuale parlamento è forse il più prolifico di audizioni, e va meglio compreso a beneficio di chi).
Le sedi di elaborazione programmatica sono anche i luoghi nei quali non solo raffinati sapienti delle varie materie dialogano con la politica e la alimentano, ma anche giovani esperti, studiosi, specialisti di campi diversi danno un contributo fresco e innovativo e intanto apprendono la complessità del mondo reale e la specifica sapienza della politica (le esigenze di coerenza, fattibilità, sostenibilità, equilibrio tra aspettative talora contrapposte, e così via).
Non è gran cosa quando l’elaborazione programmatica culmina e si consuma in un librone elettorale che serve per dire a chiunque si incontri: ci siamo ricordati anche di te.
Non è dalla quantità delle proposte che dipendono l’autorevolezza programmatica e tantomeno la successiva capacità realizzatrice. Oltre all’elaborazione in corso nel Dipartimenti, che serve anche a una forza politica per misurarsi continuamente rispetto alla realtà civile, sociale, economica, etica, è inoltre decisivo un altro livello di elaborazione.
Mi riferisco al messaggio politico comprensibile per qualunque elettore, quindi espresso semplicemente e brevemente, composto di fatti, dati, ragione e anche simboli ed emozioni, e che per una realtà come Insieme dovrebbe riguardare ovviamente lavoro e famiglia, solidarietà e pace. È banale dire che l’essenziale dovrebbe entrare in un tweet, perché a volte ci vogliono più parole e spesso devono bastarne meno. Quindi, oltre che nella elaborazione dipartimentale e nel dibattito a campo libero (cioè quello sempre aperto alla acquisizione di nuovi temi, che si svolge qui) occorre comunicare messaggi chiave e anche costruire un percorso non imitativo ma specifico nella comunicazione e nello stesso mondo dei social.
Gli elettori sono ciò che conta, diceva un intervento dei giorni scorsi. Gli elettori sono tali anche quando non incombono consultazioni elettorali, ma soprattutto sono il popolo al cui servizio la buona politica si mette: il popolo da ascoltare, al quale dare la parola, al quale parlare, da riconoscere come il vero attore, nelle forme della Costituzione.
Il popolo anche da conoscere e da capire, nella sua composizione sociale, nelle mutazioni profonde intercorse in questi decenni e poi a strattoni sotto l’urto della crisi finanziaria globale e ora della Pandemia. Un popolo nel quale sono aumentati e continueranno ad aumentare gli over 65, e sono diminuiti e stanno ancora diminuendo i più giovani (ci sono 5 over 65 per ogni bambino, ho letto di recente. Ma posso dirlo in altro modo: mio nonno aveva dieci nipoti, mio padre ne aveva quattro, io ne ho una (ancora). Non credo che sia una esperienza eccezionale).
Un popolo dove il ruolo e la consistenza del ceto medio si sono deteriorati e dove gli ascensori sociali spesso fuori servizio inducono frustrazione, rassegnazione, invidia sociale e altri sentimenti negativi, invece di quelle aspirazioni e speranze che precedono e accompagnano lo sviluppo.
Dentro questo mondo dobbiamo articolare i nostri messaggi. Non dicendo cose diverse, ma assumendo gli stessi impegni in lingue diverse.
C’è ancora un compito e riguarda l’incontro con i giovani. Di scuole di politica ormai in Italia ne sono nate tante, anche con fondatori autorevoli. Ormai sarebbe ora di cominciare a indagare il loro impatto sociale (e politico, per l’appunto). Ma le iniziative specifiche nei confronti dei giovani non dovrebbero mancare. Anche un soggetto politico generato dalla fecondità dell’esperienza, se punta al futuro deve affollarsi di giovani.
Vincenzo Mannino

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