Anche il nostro tempo vive la sua Pasqua. Il “passaggio”, cioè, da una fase all’altra della vicenda umana, la transizione storica da uno stadio della civilizzazione ad un altro.
Forse non è fuori luogo pensare che non solo stiamo affrontando un versante della storia più tortuoso di altri, ma ci stiamo inerpicando verso un crinale da cui scorgere l’ alba addirittura di un nuovo “evo”, cioè l’incipit di una periodizzazione di lungo, lungo termine dello sviluppo umano. Alla quale solo i nostri posteri potranno dare un nome appropriato, non attingibile per noi che ci stiamo dentro e condividiamo, con i nostri giorni, le doglie del parto che vanno soffrendo.
Almeno un carattere ne possiamo cogliere. La condizione inedita – la documentano chiaramente soprattutto le biotecnologie più avanzate – tale per cui l’uomo si pone come soggetto e, ad un tempo, oggetto di sé stesso, secondo una sovrapposizione tra ciò che ci è naturalmente dato e ciò che acquisiamo culturalmente che ne confonde i margini e li rende problematici, difficili ed anche eticamente impegnativi da decifrare.
Siamo dentro una contraddizione da cui non riusciamo ancora a liberarci. Da un lato, l’illusione che l’ uomo basti a sé stesso e, addirittura, possa darsi e farsi da sé, dall’ altra mille tentativi di sottrarsi al peso di una tale pretesa, in effetti gravosa, e, dunque, di una responsabilità personale difficilmente sopportabile, per cui si cerca di addebitarla ad un’istanza collettiva o ideologica. Non a caso. dopo le ottocentesche ideologie dei fini, oggi ci stiamo incamminando verso una sorta di “ideologia del mezzo” che assume le sembianze dell’ algoritmo. Lo si vede a meraviglia nel processo, oggi in via di accelerazione, che induce la trasformazione del potere dal momento politico, tributario della libera articolazione del discorso pubblico, agli automatismi impersonali ed anonimi, meccanicamente pre-ordinati dell’algoritmo. Senonché, quest’ultimo è, tutt’al più una penetrante sonda che esplora ciò che è stato. ne trae dati altrimenti non accessibili, comparazioni statistiche intriganti, analisi sottili e, infine, ricomposizioni suggestive, che nulla hanno, però, a che vedere con la creatività necessaria a progettare il futuro.
Infine, siamo, pur sempre, ricondotti al punto: se la vita sia un dono oppure una accadimento occasionale e, dunque, si esaurisca nella dimensione autoreferenziale del possesso esclusivo di chiunque compaia nel suo orizzonte. Oppure, essendo, appunto, “dono”, non sia, al contrario, ontologicamente e, dunque, irrevocabilmente, segnata da una dipendenza, da una relazione originaria ed irriducibile che le conferisce quella dimensione della trascendenza che offre ad ogni gesto della vita quotidiana un valore che va ben oltre la fattualità del momento. La Resurrezione prende vita anche dentro le parole ed i percorsi dell’ immanenza quotidiana, colta anche nella sua declinazione politica. Ma si tratta di un versante che fatichiamo a riconoscere ed accettare.
Domenico Galbiati