Gente come noi, che ama il proprio Paese, può augurarsi solo la buona riuscita di ogni misura volta a fronteggiare la crisi sanitaria, economica e sociale causata dalla pandemia di Coronavirus. Può sembrare una premessa ovvia, ma tale non è. Soprattutto perché l’Italia fa ancora fatica a percepirsi unita, solcata com’è da divisioni territoriali, linguistiche e sociali che affondano le radici in una tradizione di pluralismo e localismo esasperati. Divisioni e fratture di cui emergono segnali talvolta preoccupanti, a stagioni alterne, nel dibattito pubblico. Ma in questa occasione, messi duramente alla prova dal Covid 19, gli italiani tutti, da Nord a Sud, hanno messo da parte ogni tipo di personalismo e fatto valere l’appartenenza ad un solo popolo in una sola nazione, mettendo in campo una formidabile capacità di autocontrollo e di resilienza. Forse l’unico ambito in cui questa unità di fondo non si è manifestata a pieno, nonostante i ripetuti appelli del Capo dello Stato, è stato proprio quello della politica.

Ecco perché ci preoccupa il lavoro che attende il Parlamento: la discussione e il varo definitivo del Decreto Rilancio dal quale dipende la ripresa dell’economia italiana, oltre che la salvaguardia delle condizioni minime di sopravvivenza del popolo.  E’ oramai noto a tutti che si tratta di una imponente massa di investimenti finanziari (55 miliardi di euro) che ha un numero altissimo di beneficiari (fra individui e imprese). Un provvedimento che, nelle intenzioni, vuole raggiungere il maggior numero di cittadini e di attività produttive, ma deve fare i conti con un nemico invisibile quanto insidioso: la burocrazia. Non ci soffermeremo qui sui limiti, arcinoti della nostra pubblica amministrazione, ma se un solo consiglio ci possiamo permettere di suggerire è questo: il Parlamento impegni tutte le sue forze per de-burocratizzare il Decreto Rilancio. Ricordiamo, per nostra memoria comune, la fatica di corrispondere la cassa integrazione a tutti gli aventi diritto. E’ solo un esempio che mostra i nostri limiti strutturali, sui quali bisogna lavorare da subito. Mi si passi il paragone con il mondo della produzione: non è sufficiente che il prodotto sia buono, è fondamentale disporre di una solida catena di distribuzione. Dunque, le forze parlamentari, fatti i correttivi essenziali ai contenuti, ma con un occhio di riguardo al maggior grado di consenso possibile, si concentrino sulle prassi di attuazione. E’ questa la partita da giocare per il bene di tutti.

In secondo luogo, sarebbe quanto mai opportuna una sorta di moratoria ideologica o post-ideologica. Per dirla tutta, a nessuno viene il dubbio che certi slogan, figli di quelle ideologie, suonino ormai a vuoto? Ad esempio: è opportuno continuare a sbandierare il “prima gli italiani”, “lo Stato c’è” o “lo Stato non lascia indietro nessuno”? Non finiranno per essere contraddetti dalla realtà, con il rischio di allargare la distanza fra cittadini e governanti? E’ forse un caso che i sondaggi segnalino un tasso di fiducia degli italiani verso la politica al punto più basso mai raggiunto?

Quindi, spogliarsi dai riflessi ideologici è fondamentale.  Un esempio per tutti: la scuola paritaria. E’ ancora accettabile la sua esclusione (per elementari, medie e superiori) dagli interventi di sostegno? E che dire della mancanza di aiuti diretti alle famiglie con figli? Insuccesso riconosciuto con sconcertante leggerezza dallo stesso ministro della famiglia… Ecco dove, purtroppo, il pregiudizio ideologico risorge senza trovare ostacoli.

Tutto questo ci spinge a un dubbio finale che ci angustia: quando si costruisce un meccanismo gigantesco di aiuti pubblici, si può continuare a ergere muri burocratici? Questo riflesso condizionato di chi gestisce il denaro pubblico, non nasconde forse il più feroce dei pregiudizi nei confronti dei cittadini? Ovvero, una sfiducia generalizzata accompagnata dal pregiudizio di colpevolezza?  Gli italiani tutti, semplici lavoratori, imprenditori, famiglie e corpi intermedi, almeno in questa occasione meriterebbero il pregiudizio della buona fede. Anche perché gli italiani vogliono tornare a lavorare. L’assistenzialismo, pur indispensabile in circostanze drammatiche, non può diventare il nostro modello di vita e il nostro destino. Perciò gli italiani chiedono alla politica capacità di visione e investimenti sul futuro. Per tornare a guadagnarci il sudato e meritato pane quotidiano.

Domenico Delle Foglie

Pubblicato su www.mcl.it

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