La questione del tipo di armi da inviare agli ucraini per difendersi dall’invasione russa rischia di rendere ancora più precario l’equilibrio su cui si regge il Governo di Mario Draghi.

Giuseppe Conte è intervenuto per chiarire che i 5 Stelle vogliono vederci chiaro su che cosa l’Italia stia inviando al Governo di Kiev. Un conto- ha detto l’ex Presidente del Consiglio – è rifornire l’Ucraina di armi da difesa e un altro se si tratta di strumenti d’attacco. E’ evidente come Conte cerchi di distanziare la propria posizione da quella del Pd di Enrico Letta, che esprime l’attuale Ministro della Difesa Guerini, e, soprattutto, di sintonizzarsi con una grossa parte dell’opinione pubblica italiana data dai sondaggi molto tiepida sull’invio delle armi all’Ucraina e con quei commentatori che esprimono più che mai delle perplessità sul tipo di sostegno che adesso si prospetta, anche da parte dell’Italia. Un fronte italiano che teme il dilatarsi del conflitto sembra cominciare a prendere forma e la cosa potrebbe finire per orientare almeno una parte delle forze politiche.

Comunque, posta la questione come la pone Conte, ci si trova di fronte alla tradizionale valutazione sul bicchiere riempito a metà. Al punto che può essere definito mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dei punti di vista. Un cannone, un carro armato, un missile possono essere utilizzati in mille modi e non è proprio certo sapere se vengono impiegati per difendersi o per attaccare.

Il punto di svolta è stato costituito dalla riunione in Germania di più di 40 ministri della Difesa dei paesi intenzionati ad impegnarsi nel sostegno all’Ucraina invasa dalle armate di Putin. Stiamo andando oltre la Nato, che ne conta 30 di soci membri. A questi si sono aggiunti quelli di paesi considerati fino a ieri “neutrali” tra Russia e Ucraina, come Giordania e Israele, più Liberia, Marocco, Kenya e Tunisia, Svezia, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda. Ma poi abbiamo saputo, come ricorda ad esempio The Jerusalem Post (CLICCA QUI), che sarebbero stati rappresentati anche Giappone, Corea del Sud e Qatar. Più, ovviamente, il ministro della difesa ucraino, Oleksii Reznikov.

Il Segretario alla Difesa statunitense, Lloyd James Austin III, al termine della riunione ha annunciato che si è trattato solo del primo incontro del genere. Periodicamente e frequentemente, altri se ne terranno per seguire gli aggiornamenti della guerra ed essere in grado di fornire sollecite risposte all’evolversi della situazione. Mutatis mutandis, si respira un clima molto simile a quello dei tempi delle due guerre del Golfo e dell’intervento nei Balcani contro Milosevic. Stando ai dibattiti che ascoltiamo in televisione, c’è da chiedersi se il salto di qualità del conflitto finirà per favorire la nascita di distinguo e il palesarsi di una forma più organizzata di contrarietà a sposare pienamente la linea più oltranzista tra gli occidentali.

Che fossero a riunirsi i ministri della difesa è stata una scelta. Dettata certamente dalla situazione creata dall’azzardo su cui ha scommesso Putin convinto che, come accaduto otto anni fa alla Crimea, questa volta avrebbe potuto conquistare persino l’intera Ucraina in soli cinque giorni. I ministri della Difesa fanno il loro mestiere. Soprattutto quando, ammessa che riesca a sopravvivere, alla diplomazia non resta che operare sotto traccia.

La riunione è stata aperta sulla scia delle dichiarazioni statunitensi che si deve indebolire la Russia e infliggerle sul campo la più ampia distruzione di armi in modo da impedire che possa, nel prossimo futuro, ripetersi nell’invadere a proprio piacimento la stessa Ucraina o altri paesi vicini. La risposta della Russia è stata duplice. Sul piano delle dichiarazioni, con il tornare a parlare del rischio dell’innesco di un conflitto atomico. Su quello pratico, con l’annuncio della cessazione del rifornimento di gas a Bulgaria e Polonia. Il motivo ufficiale è quello del pagamento in rubli di gas e petrolio invece che in dollari o in euro. Ma a nessuno sfugge che la Polonia si trova nella posizione geografica più adatta a fare da via di transito per gli armamenti e le munizioni  destinate all’Ucraina. A Varsavia in particolare sono diretti gli avvertimenti di Mosca sulla possibilità che si senta in diritto di colpire anche nel territorio di qualche paese Nato se sulle sue ferrovie e sulle sue strade fossero veicolate le forniture militari per Kiev.

Mentre i 44 si riunivano in Germania, un briciolo di diplomazia è tornata all’opera a Mosca dove il Segretario generale delle Nazioni Unite ha portato Putin a lasciare aperto almeno un piccolo spiraglio affinché si crei un effettivo corridoio umanitario per gli assediati di Mariupol.

Anche qui, bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. Cosa di cui però potrebbero approfittare dei sinceri “costruttori di pace”. Perché molti spazi sono ancora guadagnabili mettendosi dal punto di vista di una prospettiva diversa ed evitando la scelta di arrivare ad una verifica su chi si fermerà per primo sulla via dell’azzardo. L’autodeterminazione da parte delle regioni contese, lo status futuro dell’Ucraina, la ripresa della via della cooperazione economica e della sicurezza potrebbero essere a fondo esplorate in modo che le armi tacciano dappertutto e non solamente a ridosso di quelle poche vie di fughe lasciate agli assediati.

 

 

 

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