Ci sentiamo autorizzati a rivolgerci alle forze parlamentari chiamate ad affrontare la crisi istituzionale e politica che sta per essere formalizzata con le dimissioni del governo Conte, a maggior ragione, in quanto siamo fuori da ogni dialettica politica o parlamentare.

Non abbiamo ruoli o posizioni di potere da difendere nell’attuale quadro politico o da rivendicare.

Rifiutiamo la contrapposizione frontale di schieramenti incapaci di riconoscersi reciproca legittimazione e, come tali, destinati a trasformare il confronto politico in una rissa carica di livore.

La scorsa settimana, assieme a Costruire Insieme e alla Rete Bianca, ci siamo permessi di suggerire che si dia spazio ad una “tregua di ricomposizione morale e civile”( CLICCA QUI ), necessaria a rasserenare il clima livido, rancoroso, dominato da invincibili contrapposte ostilità in cui il Paese è stato volutamente gettato da oltre un anno a questa parte.

Al punto che la stessa effettiva valenza democratica del prossimo appuntamento elettorale sarebbe, in qualche modo, compromessa da un confronto ingannevolmente condotta sull’onda di un collettivo empito emotivo, piuttosto che attraverso una libera, ponderata e critica analisi della situazione affidata al l’intelligenza politica delle cose di ciascun cittadino.

Il nostro riferimento ideale è rivolto alla cultura politica del cattolicesimo democratico, quindi nel solco vitale e perennemente nuovo dell’ispirazione e del personalismo cristiano, ontologicamente fondato e “cifra” del nostro impegno.

Si tratta di un indirizzo di pensiero politico che, salvo rispettabilissime posizioni personali, non ha – purtroppo da almeno un quarto di secolo a questa parte – una evidenza autonoma ed una effettiva responsabilità nel panorama politico italiano.

Né, ovviamente, pretendiamo di essere noi a rappresentarne la straordinaria ricchezza, storicamente fondata ed aperta a sviluppi e declinazioni di grande interesse a fronte delle sfide che questa tarda modernità ci sottopone.

Molto più indegnamente e faticosamente a questo patrimonio cerchiamo di rifarci nel tentativo di riproporre alcune piste praticabili, in vista di una mediazione alta tra gli interessi frastagliati che scuotono il Paese ed una prospettiva credibile di “bene comune”.

Ci limitiamo volutamente ad indicare i pochi punti essenziali che ci sembra indispensabile affrontare in questa fase di una “tregua” di cui vorremmo precisare la natura, almeno così come noi l’abbiamo intesa proponendola.

Va premesso, infatti, che siamo rimasti colpiti dall’affermazione con cui Salvini ha chiesto che il Paese gli conferisca i “pieni poteri”.

Colpiti non tanto dal profilo “soggettivo” di tale dichiarazione.

Non concorriamo al gioco delle “demonizzazioni” incrociate, nemmeno nei confronti di Salvini e meno ancora del suo elettorato che e’ troppo vasto per essere considerato alla stregua di un monolite, senza alcuna articolazione interna ed infrangibile.

Insomma, non pensiamo affatto che Salvini abbia aspirazioni “dittatoriali” e, se mai le avesse, gliele faranno passare la tenuta morale del Paese e la dura realtà delle cose.

Ci preoccupa, piuttosto, il rilievo che “oggettivamente” si deduce dalle parole di Salvini: il Paese sarebbe giunto ad uno stato di tale prostrazione da poter essere salvato e risollevato solo a condizioni di consegnarsi all’ “uomo forte” dai “pieni poteri”.

Si tratta di una prospettiva di gravità inaudita, soprattutto se la consideriamo asseverata dalle parole del segretario della forza politica oggi più rilevante, almeno secondo i sondaggi; il quale, per di più, dispone di un osservatorio del tutto privilegiato qual’ è il Viminale e, pertanto, è escluso che possa parlare per celia.

Senonche’, se effettivamente le cose stanno così, vuol dire che doppiamente abbiamo bisogno dell’Europa.

Non solo sul piano tecnico delle questioni economico-finanziarie, bensì, soprattutto, sul piano politico-istituzionale, atteso che, a questo punto, la contestualizzazione nel concerto europeo diventa la condizione necessaria per le garanzie di tenuta democratica del nostro Paese.

In tal senso – per quanto non spetti a noi dare consigli – non appare fuori luogo l’ipotesi, da taluni già ventilata, che, anziché precipitare senza freni nel gorgo elettorale, si dia luogo – sia pure, come ovvio, del tutto transitoriamente e solo in vista della “tregua” suggerita e dei suoi stringatissimi compiti – ad un governo che sia retto da una maggioranza riconducibile alla coalizione che ha consentito il varo della Commissione UE.

In definitiva – ed è sicuramente un paradosso – e’ lo stesso Salvini ad aprire un varco che, sviluppato secondo una logica che ha una sua indubbia coerenza, ci suggerisce un simile approdo.

Un governo, dunque, che, in definitiva, faccia so due cose: la finanziaria e la legge elettorale proporzionale.

Cioè, riordini il campo e predisponga gli strumenti necessari per restituire finalmente l’Italia agli italiani, sottraendola a schemi elettorali prefabbricati e patteggiamento preventivi che, da quasi tre decenni, sono diretti ad imbrigliarne la libera espressione politica ancor prima che venga resa nelle urne.

Una finanziaria diretta a riportare il Paese in Europa, a rilanciare investimenti e sviluppo, ad avviare il disegno di una vasta strategia che dia a tutti lavori, a creare equita’ e coesione sociale, anche attraverso una organica rilettura del bilancio dello Stato che vada ben oltre il “taglia e cuci” di una spending rewiew che, peraltro, non e’ mai andata seriamente in porto.

Una legge elettorale proporzionale che consenta a tutte le istanze, le culture, i legittimi interessi di sentirsi “intra”, mai “extra” parlamentari.

Senza temere la possibile proliferazione delle forze politiche che, ove scendessero in campo piu’ numerose, dovranno affrontare quell’inevitabile processo di “selezione darwiniana” che, condotta sulla falsariga della capacità politica di confronto aperto e di alta mediazione, oggi ancor più necessaria, non manchera’ di riassestare il sistema politico.

Domenico Galbiati

Immagine utilizzata: Pixabay

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