Checché ne dica il Presidente ungherese Viktor Orbàn, l’Europa che abbiamo costruito, passo dopo passo, non nasce da un calcolo di potere, ma da una ferita. È il frutto di due guerre mondiali, di macerie fisiche e morali, di milioni di morti e di un’umanità smarrita che ha saputo ritrovare la speranza solo nella cooperazione, nella pace e nella libertà.
L’idea di Europa è nata come antidoto all’odio, come promessa di civiltà. Da De Gasperi a Schuman, da Adenauer a Monnet, il sogno era chiaro: unire i popoli per non dividerli più. Oggi, di fronte alle tentazioni autoritarie e sovraniste, è doveroso ricordare da dove veniamo. L’Unione Europea non è perfetta, ma rappresenta la più grande conquista politica e morale del dopoguerra: la trasformazione del continente della guerra nel continente della pace. Chi disprezza questo percorso, chi lo deride o lo ostacola, come fa spesso Viktor Orbán, dimentica che senza quella rinascita condivisa, l’Ungheria stessa non avrebbe potuto godere della libertà e del benessere che oggi pure rivendica.
Economia, società e cultura dell’integrazione
Nessuno Stato europeo, da solo, avrebbe potuto sopravvivere nel vortice della globalizzazione. L’Europa unita è stata la risposta intelligente e lungimirante a un mondo in cui i grandi blocchi economici – Stati Uniti, Cina, India – impongono le proprie regole. Solo uniti abbiamo potuto difendere i nostri standard sociali, i diritti dei lavoratori, la qualità della nostra economia e la dignità delle persone. Ma l’Europa non è solo un mercato. È una comunità culturale, fatta di scambi, di conoscenza, di apertura.
Per milioni di giovani, l’esperienza dell’Erasmus non è stata soltanto un’occasione di studio, ma un battesimo di cittadinanza europea. È lì che è nata una nuova generazione che parla lingue diverse ma condivide gli stessi valori di libertà, pluralismo e solidarietà. Disprezzare questa Europa, come fa chi la riduce a un apparato burocratico o a una minaccia per la “sovranità nazionale”, significa negare la storia e il futuro. Perché la vera sovranità, nel XXI secolo, non è isolamento ma cooperazione, non chiusura ma responsabilità condivisa.
Il futuro dell’Unione e l’ombra di Budapest
Oggi Viktor Orbán incarna un’idea di Europa che guarda al passato: nazionalista, autoritaria, ambigua nei confronti di Putin e della guerra russa contro l’Ucraina. Le sue scelte, le sue alleanze e i suoi continui ricatti politici rappresentano una minaccia non solo per Bruxelles, ma per la stessa anima del progetto europeo. Per questo cresce in Europa la consapevolezza che il principio dell’unanimità non può più essere il vincolo che paralizza ogni decisione comune. La riforma della governance europea sarà inevitabile: l’Unione dovrà dotarsi di una voce unica in politica estera, di una difesa comune e di istituzioni più democratiche e incisive.
Non è tempo di paure, ma di coraggio. L’Europa che vogliamo non è quella dei muri, delle identità chiuse e del disprezzo per la libertà, ma quella dei diritti, della giustizia sociale e della pace. Perché la nostra Europa – quella vera – non teme la diversità: la abbraccia, la fa sua, la trasforma in forza civile. E proprio per questo che la nostra Europa, come quella auspicata più volte dal nostro Presidente Mattarella, non può essere l’Europa di Orbàn nè tantomeno quella dei sovran-nazionalisti che non hanno mai creduto nel suo futuro
Michele Rutigliano