Ho conosciuto il Comandante Aḥmad Shāh Masʿūd, in visita al Parlamento Europeo, invitato dal Collega Gen. Philippe Morillon, mio buon amico, per perorare la causa dell’Afganistan contro i Talebani e il terrorismo di Al Qaeda, e ho conservato l’impressione di aver incontrato uno dei leader del popolo afgano, credo il più famoso
e il più stimato per le battaglie svolte contro l’invasione sovietica, con una grande credibilità, tanto da conseguire la fiducia dei più restii su una mozione presentata in PE pro-Afganistan. Qualche mese dopo restava vittima di un attentato, lasciando i suoi combattenti, non solo di etnia tajika a cui apparteneva, senza il carisma di un comandante e già Ministro della Difesa.
Questa introduzione per giustificare la mia attenzione ai problemi dell’Afganistan, prestata durante il mio mandato parlamentare e dopo, fino ad oggi. Quando il Segretario di Stato americano Mike Pompeo firmava gli accordi di
Doha, nel febbraio 2020, con il numero due dei Talebani mullah Abdul Ghani Baradar, senza peraltro ufficialmente e formalmente coinvolgere i rappresentanti della coalizione dei Paesi presenti in Afganistan, né la Nato, aveva già scritto l’epilogo della vicenda afgana.
Tali accordi, che restano segreti negli addenda, sembra non tutelassero affatto l’assetto istituzionale interno, compreso il Governo e la Presidenza della Repubblica e quindi, andando consapevolmente contro corrente, non sono rimasto meravigliato che l’avanzata dei Talebani non abbia incontrato alcuna resistenza fino a Kabul, e dal mio punto di vista i comandanti dell’esercito regolare hanno risparmiato moltissime vite non opponendosi ai Talebani, perché non era stata prevista nessuna competizione bellica.
L’attuale vulgata eleva cori di scandalo contro la costrizione a cui saranno sottoposte le donne in quel Paese ad opera dei Talebani, ma vorrei ricordare che le famiglie che vivevano in Italia e nelle quali si sono verificati le uccisioni delle figlie “ribelli” alla volontà delle stesse di contrarre matrimoni combinati, non erano composte da Talebani, ma semplicemente da mussulmani, che hanno “assunto” una dottrina liberticida, praticata in alcuni settori dell’Islam, peraltro tali famiglie sono di origine pakistana.
Il riportare tali episodi non vuole essere un’attenuante a quello che avverrà in Afganistan, ma solamente la sottolineatura che l’integralismo dei seguaci di alcune religioni (e non delle religioni stesse) è diffuso in tanti Paesi, con i quali si tratta a prescindere dal rispetto o meno dei diritti umani. La teocrazia iraniana è l’esempio più evidente, ma fa parte di un elenco nutrito di paesi dove i diritti umani, compresi quelli delle donne, non sono affatto rispettati.
Fino a qualche tempo fa le donne che guidavano venivano incarcerate in Arabia Saudita, né lo Yemen, gli Emirati, l’Indonesia, Timor Ovest, sono paesi campioni di tutela dei diritti umani; la Turchia, ricordo, ha ritirato la sua
adesione alla Convenzione di Istanbul, firmata l’11 maggio 2011, a marzo 2021; né sono tutelati i diritti del popolo curdo, né di quello yazidi; in Cina il popolo uiguri è segregato e Xi Jinping, visitando il Tibet dopo trent’anni per
un capo di stato cinese, comunica ai tibetani che anche in Tibet vi è il regime comunista.
Resta ancora inesplorata la galassia dei diritti umani violati in Cina, perché si mette sempre in evidenza la capacità di produrre incrementi annui di Pil intorno al 6 – 7 %, quindi si privilegia l’aspetto economico, ma si tace sulle condizioni sociali delle campagne, delle fabbriche, dell’inquinamento, del lavoro minorile, dello sfruttamento femminile, delle vessazioni salariali, delle persecuzioni razziali ed etniche. La carenza palese del WTO per le problematiche esposte, scardina la valenza dell’organismo stesso, perché il rispetto del regime di concorrenza
dovrebbe verificare anche i termini e le condizioni dei processi produttivi, per evitare dumping ambientali, salariali, sanitari, sociali specialmente per donne e bambini, ma anche per tutti i lavoratori rispetto agli orari di lavoro.
Altra problematica atavica è rappresentata dalle mutilazioni genitali femminili, praticate in molti Paesi dell’Africa, che ancora non si è potuta debellare, nonostante l’avanzare della civiltà, in relazione anche alle condizioni igieniche, alibi di chi pratica le mutilazioni. Così come esiste il problema gravissimo dei “bambini soldato”, di cui mi sono occupato per l’Assemblea Parlamentare Unione Europea – paesi dell’Africa dei Caraibi e del Pacifico, UE-ACP insieme al collega Kamuntu, parlamentare ugandese, con una normazione e relativa verifica annuale per
combattere il fenomeno e per impiantare delle strutture che accogliessero i “bambini soldato” una volta recuperati alla vita civile, in quanto molti venivano rifiutati dalla tribù di origine, per la credenza popolare di essere invasi da spiriti maligni.
Ho inteso fare degli esempi sui diritti umani violati, che non fanno notizia perché la “vulgata” pubblicistica ha l’obiettivo di orientare l’opinione pubblica verso determinati fini, lontani dall’oggettività dell’informazione. I DIRITTI UMANI, evidenziati di proposito in carattere maiuscolo, sono sanciti dalla Carta fondante delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, oltre che da molte costituzioni di stati, ma trovano l’attenzione dei mass-media solo episodicamente e secondo la convenienza del momento. Molte volte nel gergo pubblicistico i Diritti Umani assumono il “transfer” ideale identificandoli con i “Valori Occidentali”, commettendo due errori: il primo è che i Diritti Umani sono compresi nei “Valori Occidentali”, ma non è giusto localizzarli perché i Diritti Umani sono “universali” e quindi appartengono a tutto il genere umano di qualsiasi cultura, ovunque si trovi;
il secondo è che definendoli “occidentali” si limita la valenza di universalità dei Valori e quindi si esclude tutta la parte del mondo che non si riconosce nell’occidente, riducendo anche la cogenza della Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo, come qualcosa che non appartiene alla cultura cinese, araba, mongola, giapponese, ecc., dando a queste culture un alibi interessato alla violazione.
Per l’Afganistan stiamo vivendo uno di quei momenti ampiamente prevedibili, che quindi non devono suscitare sorpresa; sapevamo che con gli accordi di Doha, sottoscritti prevalentemente a fini elettorali da Tramp in vista
della campagna presidenziale e apparentemente ignorati dagli stati alleati degli Usa e dalla Nato, i Talebani, riconosciuti per la prima volta politicamente, avrebbero preso il potere.
L’auspicio è che vogliano istaurare un governo inclusivo e moderare gli eccessi del radicalismo islamico, anche perché arrivano al potere venti anni dopo i loro predecessori e le nuove generazioni afgane, nel frattempo, hanno conosciuto la democrazia, la libertà di pensiero, di parola, quella nei rapporti interpersonali, in definitiva si sono ri-appropriati della parte dei “diritti umani” che l’evoluzione della loro cultura ha maturato e quindi tenderanno a
difenderli in tutti i modi.
Inoltre troveranno Ahmad Massoud, figlio dell’Eroe nazionale Massoud, che ha studiato a Londra e che ha intenzione di opporsi politicamente ai Talebani, come leader di un partito politico di contrasto all’integralismo mussulmano. L’Afganistan potrà in tal modo dimostrare che è molto difficile “esportare la democrazia”; invece è molto più facile farla vivere nelle sue relazioni sociali e umane, per poi passare a quelle politiche e successivamente a quelle istituzionali, per radicarla nel divenire delle generazioni e farne patrimonio culturale, sociale, civile, umano, relazionale, nel rispetto reciproco che ogni persona deve avere nell’altra, senza discriminazioni o prevaricazioni, vivendo, chi lo vuole, intensamente anche l’Islam, secondo il Corano, la Sunna e gli altri testi sacri, all’interno della
Umma del popolo di Dio.
L’Afganistan porta con sé anche un momento di riflessione per gli stati che hanno partecipato in venti anni alla gestione, in stato di guerriglia perenne con i Talebani, per comprendere che prima di ogni altro interesse viene l’interesse per il benessere dei popoli, poi gli interessi di potenza, economici e altro. Per tale motivo sarà necessario che l’Unione Europea affronti quanto prima il problema, chiedendo al nuovo governo – che dovrà essere inclusivo
di tutte le tribù e i partiti afgani – di rispettare i desiderata del popolo afgano, che vuole pace, libertà e benessere.
Tra gli attori principali, oltre l’Unione Europea, dovrebbero esserci gli Usa, per recuperare la credibilità perduta con la gestione del ritiro dei militari, la Russia per la condizione di paese di confine con l’interesse di stabilizzare le relazioni, la Cina con l’obiettivo di stabilire buone relazioni diplomatiche e commerciali e ancora pochi altri, che non abbiano intenzioni egemoniche o speculative o di dimostrazione di potenza come la Turchia e l’Iran, da tenere
fuori cautelativamente in tale fase di assestamento (per il Pakistan bisognerebbe fare un ragionamento a parte, viste le condizioni istituzionali, politiche, sociali, religiose, civili di quel Paese).
Sono convinto che il Presidente Draghi saprà gestire la fase di transizione sia per l’Italia, sia per l’UE, sia nel G 7 che nel G 20, oltre che negli altri organismi internazionali e sono anche convinto che le strutture di alto livello del Ministero degli Esteri e dei Ministero della Difesa (ambasciatori e personale diplomatico e i generali che sono stati in territorio afgano) si adopereranno non solo per la tutela dei connazionali e dei rapporti istituzionali ed economici con quel Paese, ma potranno contribuire efficacemente ad orientare il nuovo governo afgano verso obiettivi di pace e
di benessere interni ed esterni.
Vitaliano Gemelli