Chi lavora e ha responsabilità di cura verso persone anziane o non autosufficienti spesso fatica a mantenere una piena occupazione. Ecco perché le imprese dovrebbero sempre più includere nei piani di welfare prestazioni legate all’invecchiamento e assumere figure professionali competenti in questo ambito. Questo è il tema cui Percorsi di Secondo Welfare ha dedicato il seguente articolo a firma di Eleonora De Stefanis e Franca Maino
Fare da caregiver è tutt’altro che semplice. In un’economia europea che ha da sempre spinto verso un modello dual-earner dual-carer1, le donne comunque continuano a scontare maggiormente il peso di queste scelte e a sobbarcarsi maggiori responsabilità di cura. Quali sono, dunque, le strategie e le figure professionali che possono essere introdotte dalle imprese per sostenere quei/quelle dipendenti che oltre a svolgere compiti di cura vogliono mantenere il proprio ruolo attivo nel mercato del lavoro?
La sfida dell’invecchiamento
Secondo un’indagine Istat (2019), nel 2018 erano complessivamente 12.746.000 le persone tra i 18 e i 64 anni che si prendevano cura di figli oppure di parenti malati, anziani o con disabilità. In altre parole, il 34,6% della popolazione italiana è coinvolto nel lavoro di cura; tuttavia, ancora oggi questo tende a rimanere un fenomeno apparentemente “invisibile” a causa del fatto che tende ad essere svolto in modo informale e in privato, ossia all’interno delle mura domestiche.
I/le caregiver, infatti, sono quelle figure che, nell’ambito familiare e a titolo gratuito, si prendono cura di un congiunto non autosufficiente con impegno e in maniera continuativa. Sono 2.827.000 le persone che si prendono cura di familiari non autosufficienti con più di 15 anni. Di queste, la maggioranza è composta dagli anziani – che, si stima, tra il 2040 e il 2060 rappresenteranno il 33% del totale della popolazione italiana (v. figura 1).