Non è affatto incoraggiante il modo in cui si va verso il varo dei provvedimenti che il Governo Conte ha annunciato sugli appalti pubblici ( CLICCA QUI ). La questione è importante. Persino cruciale se si pensa al ritardo del Paese in materia di infrastrutture e di manutenzioni, su cui è intervenuto su Politica Insieme Pasquale Cialdini( CLICCA QUI ).
Come dimostrano il crollo del Ponte Morandi di Genova, le condizioni della rete viaria dell’intera Liguria e le conseguenze che ciò comporta per uno dei porti più importanti del Mediterraneo, oltre che per i collegamenti con la Francia, altri crolli in diverse parti d’Italia e via discorrendo, questo Paese appare del tutto “sfasciato”. Ovviamente, così non è del tutto, ma poco ci manca.
Le mani nei capelli finiscono ancora di più se si guarda alla situazione al di sotto di Roma e nelle isole maggiori e per ciò che riguarda l’attraversamento della penisola da un mare all’altro. Non stiamo assolutamente meglio per ciò che riguarda le cosiddette reti “immateriali” e le connessioni digitali. L’Italia è tra i fanalini di coda tra i paesi più evoluti. A partire dall’amministrazione pubblica, la qualità dei servizi offerti su Internet è davvero bassa e pure l’interconnessione è piegata alla mentalità burocratica, ancora imperante.
Il Coronavirus ha solo confermato quanto questo Paese sia di fronte a un bivio: o ci accontentiamo di restare in un ambito periferico della modernità, scelta che potrebbe avere anche un suo raziocinio sulla base dell’onesto riconoscimento che più di tanto non siamo in grado di fare; oppure, s’interviene con scelte radicali. E’ evidente che si dovrebbe finire per scegliere la seconda opzione e, quindi, che non si possono lasciare cadere talune buone intenzioni poste alla base dei provvedimenti annunciati e della logica con cui si prova ad andare oltre la condizione emergenziale in cui si trova l’Italia.
Vi è però una considerazione da fare, cui abbiamo già accennato in precedenti occasioni. Che il Governo Conte bis intervenga, in modo anche definitivo per affrontare la situazione di emergenza determinata dalla pandemia da Coronavirus, è ovvio e scontato. Anzi, c’è da chiedersi perché si rinvia la decisione sul cosiddetto Mes/ sanità grazie al quale avremmo a disposizione ben 36 miliardi in più per risistemare più o meno completamente tutte le strutture e le dotazioni del Sistema sanitario nazionale al costo di un tasso d’interesse pari allo 0,1%.
Delle due una. O la famosa questione delle cosiddette “condizionalità” del Mes in materia sanitaria non è stata affatto risolta e, allora, bisognerebbe dire chiaramente che male sono andate le trattative in Europa e che hanno ragione coloro i quali dietro questo strumento intravedono l’ombra minacciosa della famosa “trojka” affossatrice della Grecia. Oppure, al contrario, non ha più alcun senso indugiare, anche perché tutti temono l’arrivo della seconda ondata del Covid-19 per la quale dobbiamo farci trovare preparati per davvero nel giro di pochi mesi.
Mentre questa questione viene rimandata, stiamo emettendo a tutto spiano titoli pubblici che assicurano agli investitori un rendimento quindici volte superiore a quello del Mes facendo pagare inutili costi aggiuntivi agli italiani.
C’è da chiedersi se il ritardo con cui ci si decide ad attingere ai fondi del Mes/sanità non sia frutto d’altro. Da un lato, c’è il permanere dei 5 Stelle in una visione “ideologica” dei problemi concreti che la politica deve affrontare; dall’altro, esistono tutte le difficoltà legate all’esistenza di un sistema sanitario, meglio sarebbe dire di venti sistemi nazionali regionali, costretto a misurarsi con la necessità di assicurare prestazioni omogenee e di alta qualità in tutto il Paese. Si sarebbe forzati a mettere mano una volta per tutte alla questione del ruolo svolto dalla sanità privata, si dovrebbe arrivare ad un potenziamento della sanità territoriale e, quindi, andrebbero rivisti gli equilibri consolidati di un settore che continua a costituire una delle principali fonte di spesa pubblica senza che i servizi offerti si dimostrino coerenti con i costi.
In ogni caso, il protrarsi di questa situazione conferma che l’attuale maggioranza e gli equilibrismi dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte non riescono a farci andare oltre la gestione ordinaria, che in ogni caso farebbe tremare i polsi a chiunque altro avesse responsabilità di governo. Bene sarebbe demandare alla nuova legislatura, con l’auspicio di vedere nascere una maggioranza stabile e duratura per i prossimi cinque anni, il compito e la responsabilità di avviare un consistente Piano nazionale di ripresa ampio su cui tutto il Paese possa essere chiamato a partecipare alla necessaria verifica e condivisione.
In questa prospettiva, anche i popolari d’ispirazione cristiana devono ricominciare a fare la loro parte.
Giancarlo Infante