Se tutto andrà bene (l’auspicio è d’obbligo), gli investimenti del PNRR produrranno non solo nuovi posti di lavoro in termini assoluti, ma costituiranno anche una leva per modificare le componenti del mercato del lavoro, correggendo alcune tendenze che indeboliscono strutturalmente le prospettive di sviluppo economico dell’Italia degli anni ’20 e ‘30.

Il PNRR ha dato una significativa enfasi al tema del mercato del lavoro e – in particolare – a due aspetti estremamente critici: i Neet e le donne. Si legge sin dalla premessa del Piano (p. 4): “L’Italia è il Paese dell’Ue con il più alto tasso di ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet). Il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,8 per cento, molto al di sotto del 67,3 per cento della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del Paese è ormai fermo”.

Fin qui, nulla da eccepire. Ma il PNRR ha omesso di osservare come questi dati critici siano molto più accentuanti nel caso che i giovani o le donne esclusi dal mercato del lavoro siano persone con disabilità.

Questo elemento non rappresenta una ovvietà, ma al contrario una specificità della situazione italiana.

In tema di tasso di occupazione delle persone con disabilità, il raffronto statistico con il resto d’Europa ci vede in grave svantaggio (mediamente di circa 20 punti percentuali!). Ma se in termini assoluti questo dato appare già significativo, una maggiore focalizzazione ci restituisce un quadro ancora più emergenziale: prima di tutto in termini di distribuzione demografica della disoccupazione delle persone con disabilità. Afferma l’ISTAT che “è nella fascia d’età tra i 25 e 44 anni che si concentra il maggiore “disagio occupazionale” delle persone con disabilità, con una quota di quanti sono in cerca di un’occupazione pari al 31,2%, quasi doppia rispetto alla fascia dei 45-64enni, dove la stessa scende al 16,8%.”[1].

C’è poi un acutissimo problema di distribuzione geografica della domanda e dell’offerta. Ci dice ancora l’ISTAT che nel Sud abbiamo oggi il 51,1% dello stock di iscritti alle liste di collocamento della legge 68/99 e il 35,1% dei nuovi iscritti ogni anno, ma nel Sud sono occupati appena il 21,4% del totale delle persone con disabilità che hanno trovato lavoro. Il Sud è, inoltre, l’unica area del Paese dove la percentuale di persone con disabilità in cerca di occupazione (26,2%) supera quella di quanti hanno un lavoro (22,9%).

Quanto – infine – alla presenza delle donne con disabilità nel mercato del lavoro italiano, senza dover riportare i copiosi dati statistici (da ultimo presentati anche nella IX Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68/99), è sufficiente ricordare il richiamo ufficiale al nostro paese da parte delle autorità internazionali (UN) che vigilano sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD), riportato nelle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia (CRPD/C/ITA/CO/.1), che proprio sulla difficoltà delle donne italiane con disabilità nel mercato del lavoro accende un riflettore.

Questi elementi sommariamente ricordati ci dicono che il mondo della disabilità-lavoro non rappresenta altro che un laboratorio in cui ritroviamo – amplificati – tutti gli squilibri del mercato del lavoro italiano.

In modo simmetrico, la povertà delle politiche attive per il lavoro riguardanti le persone disabili (con quello che ormai viene aspramente riconosciuto dallo stesso Ministro competente[2] come un bilancio critico di un ventennio di attuazione della legge 68/99) non rappresenta altro che una lente di ingrandimento dei ritardi di tutte le politiche attive per il lavoro in Italia[3].

Il quesito dunque non può che essere il seguente: sulla base di questi dati, in tema di mercato del lavoro, non avrebbe dovuto il PNRR individuare – accanto alle donne e ai Neet – una terza componente critica, quella delle persone con disabilità?

ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro), nata nel marzo di quest’anno, ha fatto proprio di questa parola d’ordine la sua linea strategica e la sua stessa ragione di esistenza.

Abbiamo portato nelle istituzioni – ovunque si sia aperto un varco – la proposta di inserire nel PNRR una specifica linea di intervento – con un finanziamento di almeno 500 mln per il sessennio – da dedicare alla inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Abbiamo anche presentato un vero e proprio progetto dettagliato per l’impiego di questa ingente somma[4].

Abbiamo – con soddisfazione – notato che nell’ultima versione (quella definitiva) del Piano (contrariamente a tutte le versioni precedenti) questa sollecitazione veniva finalmente recepita: all’interno della componente M5C1 (Politiche per il lavoro) veniva inserito un significativo inciso a proposito del Programma GOL (Garanzia Occupabilità dei Lavoratori): “attenzione specifica sarà dedicata all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità”. Questa scelta lascia intendere la volontà del Governo di ritagliare una quota ben precisa e definita dello stanziamento previsto per la componente M5C1 (6,6 mld) da riservare al rilancio del “collocamento mirato”.

Appena il tempo di rallegrarci di questo primo successo che ecco una nuova delusione: il 30 aprile 2021 il Presidente Draghi ha trasmesso alla Commissione Europea ai sensi dell’articolo 18 del Regolamento (UE) n. 2021/241, non la sintesi del PNRR (che i giornali hanno ampiamente divulgato e le Camere discusso e approvato), ma un ben più corposo documento , molto meno noto – interamente in lingua inglese – di ben 2.488 pagine (?)[5]. Questo documento reca – insieme al PNRR – tutte le schede progetto. Abbiamo letto questo documento ma ne abbiamo ricavato una certa delusione: si tratta di una sommatoria di elaborazioni non omogenee fra loro e messa insieme probabilmente assemblando in fretta documentazione pregressa proveniente dai vari Ministeri.

Ebbene, del riferimento così qualificante alla disabilità-lavoro inserito nel PNRR nella componente M5C1 (cioè fra le “politiche attive per il lavoro”), non rimane alcuna traccia nel “faldone” di 2.488 pagine, nel quale – di disabilità – si parla solo nella componente M5C2 (Infrastrutture sociali, famiglia, comunità e Terzo settore).

Poi abbiamo letto il primo – importante – atto del Governo che guiderà l’esecuzione del PNRR, il “Decreto legge semplificazioni” (DL 77/2021) dove l’incertezza di fondo del Governo in materia di disabilità-lavoro riemerge.

L’art. 47 del decreto (di cui inizierà presto l’esame alla Camera) fa una operazione apprezzabile introducendo dei precisi indirizzi (vincolanti) per tutte le aziende, anche di piccole dimensioni (sopra i 15 dipendenti) che partecipano alle gare per le opere del PNRR e del Fondo complementare e che risultino affidatarie dei contratti pubblici. Il Governo, vuole fare esattamente ciò che va fatto – e che il PNRR ha preannunciato – e cioè usare gli appalti che deriveranno dal Piano per introdurre meccanismi perequativi a favore dell’accesso al mercato del lavoro delle donne e dei giovani. Giusto! Ottima mossa!

Ma dimentica, ancora una volta, la terza componente svantaggiata nel mercato del lavoro che oggi va rilanciata (insieme a donne e giovani): i disabili. ANDEL propone a tutti i gruppi parlamentari di emendare urgentemente l’art. 47 nel senso indicato.

Infine, si preannuncia (ancora non è disponibile un testo) il “Decreto Assunzioni” del Ministro Brunetta. Anche qui si perde – a quanto pare – un’occasione preziosa per introdurre una normativa severa contro l’evasione degli obblighi di assunzione nella PA di persone con disabilità.

Sembra che il testo del DL Brunetta non citi mai le norme del Decreto Legislativo 75/2017 che aveva dedicato un intero Capo (il V) al lavoro delle persone disabili presso la PA, attraverso 3 azioni rilevanti e da cui sarebbe legittimo attendere risultati tangibili:

  1. l’istituzione della Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità, attribuendole importanti funzioni, soprattutto in termini di proposta e di verifica della corretta applicazione delle norme in materia di inserimento lavorativo delle persone con disabilità (legge 12 marzo 1999, n. 68).
  2. la creazione della nuova figura del “Responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità” (obbligatorio per tutte le amministrazioni con più di 200 dipendenti).
  3. la disciplina del monitoraggio sull’applicazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 nelle PPAA e della raccolta di una serie di informazioni che dovrebbero essere raccolte nell’ambito della “banca dati delle politiche attive e passive” (articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76).

Che cosa ne è stato di tutte queste norme? Erano scritte sulla sabbia? Si potrebbe intervenire anche in questa occasione per aprire davvero le porte della PA ai disabili? ANDEL ha una serie di proposte in merito.

Con spirito costruttivo diciamo al Ministro Brunetta che sarebbe un peccato perdere questa importante occasione – da lui stesso creata con il piano straordinario di assunzioni – per promuovere un’accezione più ampia di “modernizzazione” della PA, in cui efficienza si coniuga con inclusività, raggiungimento del risultato e qualità del servizio si coniugano con superamento della vergognosa evasione ed elusione degli obblighi di legge (ahimè) da parte proprio delle Pubbliche Amministrazioni: quelle che le leggi dovrebbero eseguirle e farle rispettare!

Il Ministro Brunetta e il Parlamento sapranno rimediare?

Enrico Seta

 

[1] Audizione parlamentare per l’esame del disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 (novembre 2019).

[2] Audizione del Ministro Orlando in XI Commissione alla Camera (22 aprile 2021)

[3] Pietro Ichino, nel suo recente volume “L’intelligenza del lavoro” (2020) parla addirittura di “anno 0 delle politiche attive”.

[4] https://andelagenzia.it/wp-content/uploads/2021/02/Nuova-Scheda-Progetto.pdf

[5] Il 4 maggio (dunque dopo l’approvazione del PNRR) tale documento è stato anche trasmesso alle Camere.

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