Le tante proposte, e l’introduzione di recenti norme, non hanno sortito finora alcun effetto realmente positivo e troppe continuano a rimanere le condizioni di precariato. E’ mancata  una chiamata a raccolta di tutte le parti sociali attorno ad un vero e proprio “ Patto nazionale per lo sviluppo” che ponga a carico di ognuna di esse l’assunzione di precise responsabilità, ma che, al tempo stesso, apra nuove prospettive, punti verso migliori traguardi.

La questione del lavoro non può essere disgiunta da quella più generale dei consumi e della produttività, così come dal sostegno alle imprese. Gli  investimenti rappresentano, infatti, il fattore essenziale per  generare incrementi di produzione e di occupazione, indispensabili, in particolar modo, per garantire futuro ai giovani e alle loro famiglie.

Si devono trovare i meccanismi per reagire al fatto che gli imprenditori non investono nella propria azienda perché non vedono un importante mutamento nel quadro economico generale e nell’aumento della richiesta dei propri prodotti.

L’Italia è tra i paesi in Europa con un minor indice di investimento lordo in capitale fisso. Questa riduzione degli investimenti privati ha determinato una marcata stagnazione della produttività reale dell’Impresa che in Italia, per alcuni settori, è tra le più basse in Europa e che si collega anche ad una bassa complessiva competitività sul mercato internazionale.

Dobbiamo riflettere, però, sul fatto che la difesa del lavoro non è risolvibile in un solo paese e da un solo paese in quanto, su scala mondiale, la parte maggiore del reddito si è spostata a favore del capitale rispetto al lavoro. Così, anche in vista del confronto da avviare per costruire una nuova Europa, è necessario operare affinché le politiche di sostegno al lavoro si inseriscano in una assunzione di responsabilità più ampia da parte della Ue.

Siamo consapevoli che la difesa del lavoro si gioca sul piano della qualità, dell’innovazione, dell’investimento in capitale umano; che deve essere superata la competizione tra i lavoratori ad alto reddito con quelli poveri ed evitare che, a parità di qualifiche, il loro potere contrattuale sia indebolito perché le imprese, altrimenti, minacciano di de localizzare. Ciò comporta che i danni maggiori si riversino su quei lavoratori diventati parte della classe media .

La diseguaglianza è effetto di diversi fattori tra i quali la diminuzione del potere contrattuale del lavoro (soprattutto di quello meno qualificato) a seguito della globalizzazione e delle susseguenti rivoluzioni tecnologiche. Altre cause sono rinvenibili nella minore tutela sindacale dei lavoratori, nella frammentazione e nella precarizzazione dei rapporti di lavoro, nella diminuita efficacia quale elemento equilibratore svolto dai contratti nazionali in termini retributivi.

Nuovi strumenti per il sostegno del lavoro

In un mondo così diverso da quello del novecento abbiamo bisogno di strumenti differenti rispetto a quelli del passato. In un’economia chiusa, infatti, l’aumento delle tutele del lavoro (art. 18, ma anche il rendere più costosi i contratti a termine) poteva funzionare. In un’economia aperta, ci troviamo di fronte ad un aumento del gap del  costo del lavoro, che va a nostro sfavore riducendo competitività e giustificando delocalizzazione e perdita di occupati.

Oltre a promuovere investimenti, innovazioni e formazione dobbiamo lavorare sul lato della domanda, e quindi dei consumi e della loro qualità, e non dell’offerta se vogliamo difendere dignità del lavoro e tutelare l’ambiente. Per questa ragione, sosteniamo le proposte dirette ad inserire nella finanziaria la “ green/social consumption tax”.

E’ necessario un sistema di rimodulazione dell’Iva (a saldo zero per le casse dello stato) che valorizzi prodotti e filiere più sostenibili. E’ questa la risposta intelligente e non nazionalista al problema, migliore di quella dei dazi che, per un sistema di azione e reazione, alla fine, danneggia tutti. Essa premia indipendentemente dal paese di origine del prodotto. Non è protezionista, ma difende la dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente ovunque e punisce il contrario senza guardare a confini e frontiere.

Un’altra arma fondamentale a nostra disposizione è la politica degli appalti. Il 20% della domanda è costituita da quella pubblica. E’ un controsenso ed è puro masochismo l’uso del massimo ribasso a causa del quale, per ottenere prezzi stracciati, si sacrificano dignità del lavoro, sostenibilità ambientale e anche responsabilità fiscale. Troppo spesso, un’amministrazione pubblica finisce per far vincere una gara ad un’azienda che offre di meno perché elude il fisco e sottrae risorse al welfare di cui quelle amministrazioni hanno bisogno. Bisogna vincere la tentazione strisciante di abbandonare il percorso che ci ha portato dal massimo ribasso all’offerta economicamente più vantaggiosa, solo perché le stazioni appaltanti non sono preparate a gestire la riforma.

Abbiamo già sottolineato come appaia urgente un aumento degli investimenti pubblici per sostenere l’occupazione e, allo stesso tempo,  rispondere alla necessità di realizzare le infrastrutture necessarie per il sostegno al tessuto produttivo del Nord e creare i presupposti per una reale rinascita del Mezzogiorno, il grande dimenticato degli ultimi decenni.

Le risorse da parte dello Stato, in questo senso, sono essenziali e possono essere trovate con una profonda rilettura e riscrittura delle Tavole del Bilancio pubblico.

L’utilizzo di nuovi investimenti deve, però, inserirsi in un effettivo piano di programmazione organico. Lobiettivo deve essere di lunga durata e sarà necessario prevedere stringenti meccanismi di valutazione e verifica, al fine di ottenere un reale progresso delle condizioni del Sud verso gli standard internazionali che riguardano il piano economico, quelli culturali e sociali e la più generale qualità della vita.

Verso il nuovo attraverso la “ generatività

E’ soprattutto necessario indirizzare le risorse per avviare una nuova eccezionale crescita del Paese accettando la sfida che il “ nuovo” lancia in modo del tutto inusuale nella produzione, nella fornitura dei servizi, nel digitale, nella robotica e nell’intelligenza artificiale, nello sviluppo sostenibile e in ambiti ancora in gran parte inesplorati, ma al contempo per noi tanto familiari, quali quelli della cultura, del patrimonio storico e  ambientale naturalistico.

Abbiamo bisogno di una totale rigenerazione. Oltre alla nuove frontiere aperte dall’economia civile, che chiama alla convergenza di impegni e responsabilità il pubblico, il privato e la comunità civile, dobbiamo guardare alla cosiddetta “ generatività”.

Cioè la capacità dell’essere umano di rinnovare costantemente la propria vita, di continuare ad essere più a lungo utile e di avere un impatto positivo su almeno qualche altro dei suoi simili.

La possente forza della “generatività”, così,  va oltre i tradizionali luogo di lavoro e di impiego e finisce per coinvolgere ben più ampi spazi come quello biologico, familiare, il mondo artistico, culturale, imprenditoriale, economico, politico e spirituale.

E’ il nuovo livello verso cui un Paese che avverte la necessità del cambiamento deve oggi guardare, consapevole del fatto che la sfida è del tutto originale, soprattutto per quanto riguarda la risposta alla parte più in difficoltà del paese, agli scartati, agli ultimi.

Questa è l’unica strada per rendere concreta e feconda la realizzazione più piena dell’articolo 3 della Costituzione che recita: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese ”.

Oltre la logica degli “ 80 euro” e del reddito di cittadinanza

Deve essere ridotto se possibile, compatibilmente con la salvaguardia, se non con l’incremento, degli standard di welfare, il cosiddetto ’cuneo fiscale’ utilizzando le risorse rese disponibili da un abbattimento della spesa pubblica improduttiva, da un intervento sulla rendita finanziaria  e da una intelligente e ferma lotta all’evasione, dicendo “ no” ad ogni forma di condono che umilia il buon comportamento civico.

Esiste il problema dell’accesso ai finanziamenti da parte delle  piccole imprese e di quelle artigiane cui deve andare un aiuto effettivo con sgravi fiscali in grado di compensare gli aumenti indiscriminati degli affitti, dei costi di macchinari ed utenze.

E’ necessario favorire la biodiversità” d’impresa che deve riguardare anche le banche e salvaguardare la specificità del credito cooperativo ed il riconoscimento delle banche etiche e non “massimizzatrici” di profitto.

Noi non crediamo né nelle politiche degli “ 80 euro”, né nel reddito di cittadinanza, mentre vogliamo un “ lavoro di cittadinanza”, definibile altrimenti come una “ cittadinanza fondata sul lavoro”. Orientabile, in particolare, verso l’ambiente,la cura delle persone, il recupero e la valorizzazione del patrimonio esistente, la manutenzione dei beni mobili e immobili pubblici e privati, la ricerca scientifica pura e applicata, lo sviluppo della cultura e della creatività a tutti i livelli.

Un nuovo modello di gestione. Più competenza, più formazione

In tale quadro, attribuiamo altresì notevole importanza in termini di incrementi produttivi e di coesione sociale, alla diffusione di un modello di gestione aziendale analogo a quello praticato diffusamente, e con evidente successo, in Germania e in altre democrazie nordiche. La collaborazione di capitale e lavoro alla direzione aziendale, infatti, auspicato dall’art. 46 della Costituzione, favorisce  una presa di coscienza effettiva circa le scelte di conduzione che possono determinare il futuro dell’azienda e delle classi lavoratrici, entità oggi molto più articolate e complesse che nel passato.

In questa prospettiva occorre favorire, anche attraverso protocolli aziendali e accordi sindacali, una nuova visione delle relazioni industriali non basate sul conflitto, bensì sulla cooperazione responsabile. In questo quadro, lo Stato potrebbe svolgere il ruolo di promotore e, ove possibile, di facilitatore grazie all’introduzione di adeguati strumenti legislativi di sostegno e di premi fiscali.

E’ assolutamente importante collegare l’impegno per il lavoro a quello della competenza e della formazione.

La produttività dell’Impresa è fortemente collegata al grado di formazione e istruzione dei suoi addetti. La competitività tecnologica e dei costi dei prodotti, i risultati della ricerca e sviluppo e delle attività di marketing sono fortemente legati al grado di formazione  degli addetti a questi settori, mentre anche l’internazionalizzazione dell’impresa richiede la necessità, ma anche la capacità,  di allargare la propria quota di mercato in un vasto scenario di paesi emergenti.

Non è un caso che dalle Settimane sociali organizzate dalla Cei, in particolare la 48esima di Cagliari, vengano preziosi suggerimenti per il sostegno di un adeguato processo scolastico e formativo e, quindi, per il rafforzamento di programmi di preparazione tecnica e professionale.

Dobbiamo pensare a “ un grande investimento nella formazione professionale” oggi destinata a riguardare e seguire l’evoluzione tecnologica e digitale.

La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, sopra richiamata, potrebbe, così, rivelarsi un importante vantaggio anche per la formazione e la chiusura del triangolo virtuoso lavoro, formazione, produzione.