Se ponessimo la questione dal punto di vista neurobiologico – cioè ricorrendo al linguaggio della scienza che oggi molti sentono come il piu’ immediato e coinvolgente – saremmo colpiti ed indotti a riflettere come la comparsa di ogni nuovo nato arricchisca straordinariamente il potenziale intellettivo dell’umanità; in qualche modo, cioè, quella “noosfera” che Teilhard de Chardin evocava il secolo scorso, arrecandovi – appunto con ogni nascita ed a sviluppo maturo del soggetto – circa 100 miliardi di neuroni ed un milione di miliardi di sinapsi.

Forse torneremmo ad appassionarci alla incomparabile ricchezza della nostra comune umanita’ e la vivremmo con lo stupore, l’entusiasmo e la meraviglia che merita e che spesso rischiamo, invece, di riservare piuttosto alla cosiddetta “Intelligenza Artificiale” ed ai robot, più o meno umanoidi, che sono pur sempre il prodotto mirabile di quella sterminata prateria di “nostri” neuroni.

In altri termini, abbiamo bisogno – soprattutto nel nostro tempo incerto che pur sempre giustamente ci rappresentiamo come “tempo della conoscenza” – di una politica che stia dalla parte dei minori, dei bambini e degli adolescenti; cioè di un concerto di politiche sociali – dopo la lunga stagione dei cosiddetti “diritti civili” ed individuali – che siano orientate soprattutto alle nuove generazioni ed alle famiglie che rappresentano l’alveo necessario allo sviluppo pieno ed armonico delle loro potenzialità.

Il lavoro, la casa, il ruolo attivo della donna, l’educazione e la scuola, la salute ed i servizi alla persona, la cura dell’anziano ed il rapporto tra le generazioni, la cultura, la tutela dell’ambiente: si tratta di versanti appunto “sociali”, cioè riferiti non alla singolarità del soggetto, bensì alla sua dimensione relazionale, a quello “stare insieme” elementare ed originario da cui progressivamente, per stadi successivi, si allargano a ventaglio tutte le occasioni di prossimità, di solidarietà e condivisione, di convergenza di legittimi interessi che via via strutturano quei “corpi intermedi” che rappresentano lo zoccolo duro dello stesso ordinamento democratico.

Ma in che modo affrontiamo questa pluralita’ di temi sociali? Li consideriamo ciascuno di per sé? Li accostiamo l’uno all’altro più o meno occasionalmente?

Oppure proviamo a tenerli insieme secondo una regia che li finalizzi verso un obiettivo espressamente pensato e consapevolmente scelto? Un obiettivo che abbia a che vedere con la speranza che pur sempre deve accompagnare il nostro cammino.

In effetti, se anziché disporli secondo una improbabile gerarchia, cerchiamo di individuare un riferimento comune che li componga in una sintesi efficace, difficilmente possiamo pensare ad altro che non sia una politica orientata alle domande ed ai bisogni dell’eta’ dello sviluppo, quella stagione evolutiva che decide della vita di ognuno.

Eppure, se lo vogliamo, dobbiamo deciderlo, dando un colpo di barra al sistema, perché , al di là delle ipocrisie del “politicamente corretto”, stare “dalla parte del bambino” non viene naturale in un contesto civile come il nostro che non lesina inni ed iperbole al cosiddetto “nuovo”, ma poi tiene rigorosamentente il punto dello status quo.

Le politiche a favore della natalità, le politiche per la famiglia, il contrasto della povertà educativa che sempre accompagna e perfino eccede quella economica, la prevenzione e la cura delle mille forme di disagio giovanile, la lotta alla dispersione scolastica, le politiche di inclusione sociale e di assorbimento della disoccupazione giovanile sono frammentarie e disorganiche, non rispondono ad un corpus coerente e consistente di leggi, norme, indirizzi operativi presi in carico da una ordinata convergenza d’ azione tra Stato centrale, istituzioni locali e soggetti attivi della societa’ civile.

Del resto, raccogliere la provocazione delle nuove generazioni, creare le condizioni per cui i giovani possano accedere ad un ruolo autentico di cittadinanza responsabile ed attiva, vuol dire operare a tutti i livelli perché – e qui sta il cuore della sfida che riguarda, ad un tempo, noi e loro – sia loro permesso, attraverso un percorso che vede al centro la scuola in ogni suo ordine e grado, di conquistare il “diritto alla conoscenza, all’autonomia di giudizio ed alla capacità’ critica”; il che altro non è se non il nome che oggi assume il “diritto alla libertà”.

Domenico Galbiati

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