Il Referendum che si conclude stamane, al di là del merito dei quesiti in gioco, ha acceso un vivace confronto sull’istituto referendario come tale.

Ed è bene che questo sia avvenuto. Anzi, il tema merita di essere ancora approfondito. Si è trattato di un confronto condotto spesso, dall’una e da parte, inerpicandosi su per gli specchi. Cioè, mischiando volutamente, spesso in modo malaccorto, considerazioni di ordine istituzionale, inerenti natura e finalità, limiti e potenzialità del referendum – in particolare, la legittimità o meno di astenersi dal voto – con altre di carattere più immediatamente politico, legate alla contingenza del momento, piegando le prime al fine di confondere l’orizzonte entro cui ci si va a collocare per quanto concerne le seconde.

Limiti e potenzialità, dunque; ambivalenza e possibile ambiguità; buon e cattivo uso – o, addirittura, abuso – del referendum: si tratta di una questione che non può essere elusa e ci vorrebbe il coraggio di riprenderla in mano. Soprattutto in un momento che vede le democrazie in affanno e sfidate – come avviene anche da noi attraverso la proposta di “premierato” – da possibili involuzioni dell’ ordinamento istituzionale, spacciate come sublimazione dell’autorevolezza riconosciuta al cittadino ed alla sua personale responsabilità. Senonché il Referendum, concepito come momento di democrazia diretta può diventate un’arma a doppio taglio.

Almeno in astratto, non è affatto escluso che, acconciato in un certo qual modo, possa essere utilizzato perfino da un potere illiberale – ad esempio, dissolvendo temi rilevanti in una pluralità di quesiti sgranati che ne compromettono il senso compiuto – per mascherare la propria inclinazione autoritaria, apparentemente senza ledere la facciata dell’ordinamento istituzionale, ancora formalmente intatto.

In secondo luogo – ed è probabilmente qui il vero nodo della vicenda – c’è referendum e referendum, come abbiamo largamente sperimentato nel nostro Paese. Vi sono referendum che hanno lasciato – a prescindere dal convenire o meno in ordine al merito – un segno profondo nella storia stessa del Paese, fino a rappresentare una vera e propria svolta sul piano del costume e della coscienza di sé della collettività.

Su tutti, nel 1974, il referendum sul divorzio. E’ stato, in effetti, un momento di transizione epocale con il quale il nostro Paese – forse addirittura sorprendendo se stesso – ha compreso o ha dovuto ammettere di essere diventato “altro” rispetto alla tradizionale comprensione di sé, di cui viveva nel solco della tradizione. In quel frangente ha superato un crinale, al di là del quale non è mai più tornato ad essere quello di prima. E’ intervenuta – o meglio è stata riconosciuta come tale – una frattura sul piano della cultura e dei comportamenti.
Non a caso, il referendum sul divorzio ha segnato l’avvio del declino della Democrazia Cristiana e di quel modo di concepire la vita che ne favoriva il consenso.

Di tutt’altro rilievo – fatti salvi quelli in materia costituzionale – gran parte degli altri pronunciamenti popolari. Peraltro, l’istituto del referendum abrogativo mostra, per forza di cose, un limite strutturale, intrinseco ed invalicabile. In altri termini, stringe nella tenaglia di una necessaria dicotomia argomenti complessi che rischiano di essere fuorviati se non si rispettano le loro articolazioni tematiche. Insomma, ci vuole prudenza e ponderazione, parsimonia e discernimento.

In quanto all’astenersi per favorire il non raggiungimento del quorum, nessun dubbio che sia una modalità legittima di concorrere alla consultazione. Senza dimenticare che, comunque, ogni quesito referendario non è lo “ sfizio” di un certo numero di italiani, per cui – come sostengono taluni campioni della destra – si arrangino tra loro….

Ogni referendum, in quanto, legittimato dalla Corte, è, a tutti gli effetti, una domanda che ufficialmente e formalmente interpella tutti gli italiani. E, per quanto votare non sia un obbligo, non è, pur sempre, un dovere ed una opportunità?

Il dovere e l’opportunità di non far mancare il proprio personale concorso alla definizione di questioni comunque rilevanti.

Domenico Galbiati

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