Dopo che il tema del “presidenzialismo” è diventato, con buona pace della cosiddetta Agenda Draghi, il motivo portante della sfida elettorale, il terreno che la destra ha scelto per lo scontro frontale – che congiuntamente Letta e la Meloni cercano di riservare, se così si può dire, ai loro partiti, tanto per ribattere il chiodo del bipolarismo, addirittura in una sorta di bi-partitismo – ci si poteva francamente attendere da Giorgia Meloni qualcosa di meglio e di più, qualche spunto originale, qualche aggiornata motivazione a sostegno. Invece delle solite banalità ripetute, sempre uguali a sé stesse, nella sciatta intervistina comparsa sul “Corriere” di ieri l’altro.

A mano a mano che la Meloni entra nell’ottica di essere il possibile Capo del Governo, dopo il 25 settembre, e, pertanto, legittimamente osservata attraverso questa lente di ingrandimento, appaiono i limiti, in quanto a cultura politica, della signora. Cui va, però, riconosciuta – e non è cosa da poco – una coerenza che le fa onore. Da erede, per il tramite di Alleanza Nazionale, del MSI – di cui invoca la continuità politica ed ideale – a sua volta erede del ventennio, anzi figliastro concepito da protagonisti in carne ed ossa di quell’ infelice stagione, non a caso afferma che il “presidenzialismo” è, da sempre, proposto e sostenuto dalla parte politica in cui si riconosce.

Non si tratta, par di capire, di questa o quella “bicameralina”, di una proposta transeunte, concepita come possibile risposta alle difficoltà di un certo frangente storico, ma piuttosto della rivendicazione ideale di un ordinamento istituzionale fondato su un “ principio di autorità”, a sua volta retto dal rapporto diretto e simpatetico, privo di ogni mediazione, tra il Capo che provvede ed il cittadino che si affida. Né vale citare il semi-presidenzialismo alla francese, perché sul piano dei modelli istituzionali ogni Paese deve fare i conti con sé stesso, con la sua storia, con la sua stratificazione sociale, con le sensibilità che ha maturato nel tempo.

Ovviamente, sono conservati i riti della democrazia parlamentare, ma pur sempre nella cornice descritta e sovraordinata dal principio di cui sopra. Non a caso, nell’intervista del Corriere, la Meloni fa riferimento – con tanto di maiuscola – a “Nazione” e “Stato”, soggetti collettivi che assorbono ed esauriscono in sé la persona. Cosicché, prima la Nazione e lo Stato che la incarna, poi i cittadini funzionali all’ autorevolezza, forza, stabilità, competitività del “collettivo”. Rovesciando, in tal modo, come un guanto, l’articolo 2 della Costituzione che la Meloni farebbe bene a leggere, comprendere e meditare.

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