La domanda se nasca prima l’uovo o la gallina non è affatto peregrina e priva di senso, come siamo abituati a ritenere. Se vogliamo è la rappresentazione parodistica di una questione tutt’altro che banale.
Insomma, non è una burla Infatti, ogni qual volta nasca una rivoluzione oppure si affermi, in un determinato campo, un nuovo paradigma, compaia un indirizzo di pensiero inedito o un nuovo orientamento politico, vien da chiedersi se ed in quale misura le figure piu’ rappresentative di questi movimenti, coloro che ne esprimono la leadership siano i protagonisti attivi di tali eventi, coloro che effettivamente li creano, la loro fonte originaria oppure se, al contrario, non ne siano, piuttosto, il prodotto, semplicemente gli interpreti che mettono in scena un copione già scritto. Come se queste figure non fossero se non il catalizzatore di un campo di forze che esiste prima, di per sé e a prescindere da loro.
Campo di forze impalpabile, immateriale che, attorno a loro, si coagula e si addensa fino a cristallizzarsi in un fenomeno che quasi d’un tratto irrompa dal sottosuolo in superficie, fino ad assumere evidenza storica. Si tratta di una domanda che meriterebbe di essere posta anche a proposito di Trump e della corte dei miracoli miliardaria che sedeva in prima fila alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente.
Siamo di fronte ad un cambiamento del tutto rilevante, eppure pur sempre una “singolarità” della storia, un evento irripetibile in ogni altro momento, in quanto dovuto alla occasionale contestualità di fattori e personaggi differenti e non componibili in altra occasione, quindi, circoscritto al momento contingente? Oppure siamo di fronte ad un fenomeno più ampio e più complesso, che segnala, anzitutto, un radicale mutamento del “potere” come l’abbiamo inteso fin qui? Un fenomeno tale per cui l’odissea trumpiana in cui siamo sospinti altro non è se non il caso particolare e l’incipit di un processo radicale che va oltre l’attuale contingenza e sovverte le architetture istituzionali come le abbiamo conosciute fin qui?
Un processo talmente sovraordinato e sospinto dall’ alito della tecnica da investire e sovvertire, ad un tempo, in un certo senso omologandole sotto questo profilo, democrazie, democrature ed autocrazie? In quale modo, in quali luoghi e contesti, secondo quale scansione temporale, si forma, pubblico e privato che sia, il “potere” come tale, la capacità, cioè, di domare, orientare, dirigere il corso degli eventi? Ed è ancora in grado di essere quanto più possibile – come dovrebbe nelle democrazie vitali – equanime ed inclusivo, orientato all’ interesse generale della collettività piuttosto che selettivo ed escludente, accondiscendente all’ interesse particolare del più forte di turno?
Se volessimo adottare una metafora neurologica, dovremmo dire che la politica è decorticata e, dunque, afasica
Privata dello spazio in cui lo sciame di afferenze sensoriali che, ad ogni istante, la bersagliano, può plasticamente comporsi nell’articolazione plurale del discorso pubblico, nel quale ogni voce, anche la più flebile, ha diritto di manifestarsi, in un incessante processo di integrazione e di reciproca legittimazione, che via via conduce al concetto ed alla capacità di dare forma a valori, ideali, aspirazioni in cui si esprimono i significati ed il senso della vita. Prevalgono, invece, riflessi pavloviani e spinali che neppure sfiorano l’ encefalo, reazioni ancestrali, patterns arcaici del cervello primordiale, tutt’ al piu’ automatismi vegetativi e viscerali.
L’insostenibile peso della complessità, l’accelerazione parossistica delle trasformazioni, soprattutto lo smarrimento della trascendenza, quell’andare oltre che, al di là della mera fattività, attribuisce ad ogni gesto valore simbolico, imprigionano la politica in un perimetro che le offre una strumentazione piu’ affine alla meccanica “necessita” della tecnica e dell’ algoritmo, piuttosto che alla libertà del pensiero e dello spirito. Se tale è la lunghezza d’onda dei processi in corso, non tarderà giorno in cui – a dispetto della politica e della necessaria elasticità dei suoi percorsi – apparirà chiaro, in tutta evidenza, come, al di là dell’ effervescenza alla Trump, siano gli oligarchi che detengono, in uno, i poteri della tecnica, della comunicazione via “social” e dell’ economia, a tenere saldamente in mano il bandolo della matassa. Secondo un’ involuzione, per la quale alla flessibilità creativa dell’ umano, potrebbe subentrare una rigidità strutturale ed inespressiva. destinata a produrre effetti entropici.
Domenico Galbiati