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Tra gli elementi di controllo del funzionamento del Piano, contenuti nel regolamento UE, tutti egualmente significativi e ineludibili ai fini dell’assegnazione delle risorse, uno, per lo scopo perseguito da questa riflessione, assume rilievo centrale, il seguente: il nostro paese deve varare un progetto di efficace monitoraggio dell’attuazione delle misure contenute nel PNRR, compresi i target, gli obiettivi proposti e i relativi indicatori.
Certo, in un contesto nel quale si lamenta una selva di lacci e lacciuoli, presidiata da regole, codici, codicilli, enti di rilievo costituzionale, come la Corte dei conti, autorità indipendenti, come l’Anac, autorità di certificazione, leggi sulla responsabilità degli enti (il decreto legislativo 231), i comitati di controllo interno, gli analisti del rischio, i piani anticorruzione, le analisi di impatto e le verifiche di funzionamento dei provvedimenti, insomma in un contesto fittissimo di controlli, cui si aggiungono quelli europei, il paese dovrebbe essere al riparo da danni dovuti al cattivo funzionamento di sistema.
Allora perché preoccuparsi? La risposta alla complessità esposta non è semplice. A sua volta è complessa. Stando ad indicatori che possiamo giudicare oggettivi, terzi ed imparziali, quelli della giurisprudenza di legittimità, della giurisprudenza amministrativa e di quella contabile, stando alle procedure di infrazione alle quali siamo assoggettati in sede europea, vuole la logica che tutti i controlli in atto non si sono dimostrati sufficienti. Con il risultato che il sistema Italia ha subito danni nei suoi risultati complessivi e gravi danni reputazionali.
Allora cosa fare? Aggiungere altri lacci e lacciuoli? Dare ragione a chi ad essi addebita la crisi di produttività del sistema paese? No, la risposta è complessa ma non difficile da configurarsi. Occorre produrre una immediata razionalizzazione-valorizzazione dei controlli di legalità esistenti, tarandoli, eventualmente con la previsione di una scadenza temporale (quella del piano) sui meccanismi di funzionamento del PNRR e sui regolamenti che lo governano in sede europea. Insomma l’Italia deve mettersi nella condizione di fatto e di diritto di garantire se stessa, gli Stati membri dell’Unione europea, l’Unione europea, in conformità con il regolamento UE del 12 febbraio 2021 (n. 241), approvato dal Consiglio europeo, sulla propria capacità di monitoraggio e controllo dell’attuazione delle azioni del piano e sulla capacità di recuperare finanziamenti indebitamente versati o utilizzati in modo improprio.
Come farà il Dipartimento della ragioneria del MEF a raccogliere i dati relativi all’attuazione del piano? La strada è tracciata. Irregolarità, frodi, inadempienze, conflitti di ogni genere nel pubblico e nel privato saranno intercettati tempestivamente e non comprometteranno il conseguimento dei progetti finanziati. Sulla base di un presupposto che deve essere conosciuto e fatto proprio dall’intera filiera pubblico-privata: che è necessario il perfetto allineamento di tutte le attività, tutte ordinate al funzionamento concreto del PNRR. Lo si può riassumere in una sorta di algoritmo virtuoso, l’algoritmo dei ruoli: l’Unione europea nelle sue componenti istituzionali, gli Stati membri, gli apparati produttivi inaugurano un’epoca di collaborazione calibrata sulle esigenze determinatesi con la pandemia, e ogni attività, conseguenza delle strategie generali, della programmazione, mentre risponde ai principi generali delle leggi dell’economia e degli interessi dei soggetti agenti, contribuisce alla conseguimento degli obiettivi generali che sono pubblici, europei e nazionali. La responsabilità di ognuno dei soggetti agenti risiede nella perfetta esecuzione di ciascuno dei progetti che è indicato nel PNRR.
Activity based budgeting ed Activity based management anziché costituire momenti separati della catena di soccorso annodata nelle sedi di decisione europea, oggettivizzano e proceduralizzano ogni processo decisionale, dal suo nascere al suo realizzarsi, Stato membro per Stato membro, sistema produttivo per sistema produttivo. Viene in mente una figura giuridica molto apprezzata in una prospettiva relazionale; l’interesse pubblico si realizza per la mediazione interposta dal complesso dei soggetti privati della produzione di beni e servizi. L’efficacia dell’intervento pubblico combacia con quella del sistema produttivo. Si direbbe “simul stabunt, simul cadent”!
Se una conclusione interlocutoria può trarsi a questo punto della riflessione, essa si identifica nella necessità di una collaborazione vasta del pubblico con il privato, che, messe da parte le pratiche ordinarie che l’hanno contraddistinta, aiuti a ridefinirle in un quadro di straordinarietà nel quale sono chiaramente disegnate strategie, fini, monitoraggi, condizioni di avveramento delle azioni, controlli. Non ci si deve accontentare di invocare, con generici richiami al passato, il superamento del “rischio Italia”. È vero, sono stati erogati fondi a chi non avrebbe dovuto riceverli, si sono prodotti danni alla ricchezza collettiva per miliardi di euro, si è deteriorata l’immagine internazionale del nostro Paese, ma tutto questo va conservato in memoria per funzionare da allarme permanente di sistema. Il presente vuole ben altro. Vuole che si dia ingresso permanente all’ispirazione costituzionale laddove assegna alla legge il compito di rendere reale il principio per il quale l’attività economica pubblica e privata sia indirizzata e coordinata a fini sociali.
Inutile inanellare lamentazioni d’ogni tipo contro la povertà, la mancanza di integrazione di intere categorie di persone, donne e giovani in primo piano, contro la deturpazione dell’ambiente, lo stato d’abbandono del territorio se non si utilizzano congiuntamente la provvista finanziaria del Next Gen EU, e il cambio di passo morale (lo si voglia o no) che essa innesca. Cosa manca, allora?
A mio avviso, manca la finalizzazione al PNRR di ciò che l’ordinamento già possiede.
Mancano linee guida ANAC che integrino quelle esistenti per accompagnare le misure pubbliche che devono essere messe in campo immediatamente, cioè linee guida per il PNRR, per anticipare problemi, fare pulizia delle interpretazioni strumentalmente orientate a contraddire il piano, facilitare le pubbliche amministrazioni chiamate, pur nell’inadeguatezza che è denunciata dallo stesso PNRR, ad una mobilitazione straordinaria.
Manca il tavolo comune pubblico-privato. Il rafforzamento organizzativo e le semplificazioni invocate dovrebbero far cadere le tradizionali barriere tra politica e produzione, tra amministrazione ed impresa. Detto che cabina di regia, coordinamenti centrali, responsabili di componente sono tutti necessari ed utili presidi, tutti gli operatori privati, con il rispetto ed il limite della loro rappresentatività, dovrebbero farne parte. Non a titolo ornamentale, ma per l’esigenza sopra esposta di avere certezza di attuazione del piano in ciascuno dei suoi progetti. Di avere certezza di non essere respinti dall’Unione Europea per non essere stati in grado di utilizzare le sue fonti di finanziamento. Inutile dire che aleggia una sospettosità malcelata sopra i rapporti del pubblico e del privato. Va giustiziata.
Come? Dissolvendola con una esaltazione, in un regolamento PNRR oriented, dei valori di trasparenza che contengono all’interno legalità pubblica e legalità privata, efficienza pubblica ed efficienza privata, capacità operativa pubblica e privata.
Su questo fronte, lentamente (quindi in senso contrario all’attuazione del piano) si va diradando la nebbiolina della sorpresa. Si fanno avanti proposte. Per esempio, gli enti di accreditamento razionalizzano il fabbisogno di certezza funzionale delle imprese . Si legge nel loro studio intitolato ”La certificazione accreditata al servizio del Recovery Plan” che il loro ruolo sarà cruciale per anticipare il rischio di una utilizzazione impropria delle risorse europee. E’ vero ed è certo che la scelta dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche dovrà, nell’allontanarsi da interpretazioni meccanicistiche della giurisprudenza amministrativa, privilegiare il possesso in capo alle aziende di capacità tecniche del livello più alto presente nel Paese (o negli altri paesi dell’Unione). Anac e giudici amministrativi dovranno compiere un tragitto interpretativo di salvaguardia del Piano, delle sue modalità di attuazione, dell’interesse pubblico. Dovranno affinare, nel brevissimo periodo, riflessioni pubbliche che, ina logica di sistema, contribuiranno a far funzionare perfettamente il sistema Paese, pubblico e privato insieme. Non vorremmo mai che di qui a pochi anni qualcuno, a Piano fallito, si esercitasse nella caccia ad un colpevole isolato. La prospettiva innescata dal Piano è: o tutti protagonisti del suo successo, o tutti colpevoli del suo fallimento.
Dentro questa logica, un ruolo determinante, tra gli altri, dovrà essere interpretato dagli organismi di vigilanza, nella redazione e nella manutenzione dei modelli organizzativi del decreto legislativo 231. Stupefatti dell’arretratezza che ne segna la tardiva attenzione che meritano, il loro compito può essere riassunto in una immagine in movimento o in una sequenza d’immagini statiche.
Poniamo che tutto abbia funzionato (programmazione, individuazione dei requisiti, certificazioni, gare pubbliche); alla fine chi realizza il risultato (produce il bene, predispone il servizio) è proprio “il produttore”. Fa bene il Presidente di Confindustria a lanciare il monito affinchè non si generi una competitività falsata e le risorse economiche “arrivino” (con procedure pubbliche) alle sole imprese in regola. Ma non basta. Giustamente la sua è una preoccupazione endocategoriale, Ma al Paese, nella prospettiva dell’interesse pubblico generale, interessa che l’Italia non si inceppi per l’inceppamento della sua struttura produttiva. Se un’azienda non dovesse rispettare il contratto, per vizi compatibili con le responsabilità penali-amministrative dell’ente, il suo inadempimento, in sede europea, varrebbe come inadempimento del Paese. Si dissolverebbero intere linee di finanziamento. Verremmo gettati indietro nella bolgia del discredito reputazionale. Le cautele del PNRR verrebbero vanificate. Che fare?
Come detto poc’anzi, il Piano merita un’attenzione tutta particolare che deve precedere (con una precocità che è sicuramente vantaggio competitivo di sistema) il suo attuarsi. Sul fronte 231, la valutazione del rischio deve comprendere, per intero, l’esame delle condizionalità interne al PNRR.
Non c’è modello organizzativo (sia chiaro che la loro intelaiatura fronteggia adeguatamente il rischio “conosciuto”) che non debba essere sottoposto da parte degli organismi di vigilanza ad una revisione finalizzata al PNRR, per l’intero catalogo dei reati previsti nel 231.
Ma, ammaestrati dalla giurisprudenza di legittimità, sappiamo che il documento di valutazione del rischio è cosa diversa dal modello organizzativo e non lo esclude che, anzi, a mente di numerose sentenze, la scansione logica degli adempimenti 231, prevede prima “l’accertamento dell’esistenza o meno di un modello organizzativo e di gestione” e, “poi, ove il modello esista, la verifica della sua conformità alle norme” e, “infine”, l’accertamento della sua efficace attuazione in ottica prevenzionale. Allo stesso modo nessuna certificazione sostituisce il modello organizzativo.
Ben prima della pur necessaria definizione del modello organizzativo da parte degli organismi di vigilanza, a mio avviso, si pone una iniziativa legislativa del Governo (in questo caso nella forma di un decreto-legge, essendo evidenti i presupposti di necessità ed urgenza) che, in prospettiva funzionale al ruolo delle imprese nella realizzazione del PNRR, sistematizzi per la durata della realizzazione del piano, gli articoli 13, 14 e 15 del D. Lgs. 231/2001, concernenti le sanzioni interdittive, i criteri di scelta delle sanzioni interdittive, la nomina di un commissario giudiziale, nonché l’art.22, concernente la prescrizione e l’art.45 sull’applicazione delle misure cautelari.
Sarà saggio il legislatore che troverà l’equilibrio tra le ragioni della legalità e quelle della realizzazione del piano. Saranno adeguati gli organismi di vigilanza che faranno funzionare i modelli organizzativi utili al conseguimento degli obiettivi del PNRR.
Alessandro Diotallevi