Vladimir Putin ha approfittato del Forum sull’Artico per confermare la propria abilità di grande giocatore al tavolo del poker in corso nella geopolitica mondiale. Ha preso spunto, ovviamente, delle ripetute affermazioni di Donald Trump di volersi prendere la Groenlandia, “in un modo o in un altro”.

Non è un problema della Russia, ha detto Putin: “è una questione tra due stati”. A suo avviso si tratta di una questione storica. Evidentemente riferendosi, non a motivazioni giustificate, ma al ripetuto interesse degli americani a controllare l’isola più grande del mondo, a dispetto della sua appartenenza formale alla Danimarca che fa parte dell’Europa.

Ma intanto Putin ne ha approfittato per dirsi intenzionato ad intervenire di più nell’Artico. Con la giustificazione che sarebbero i paesi Nato a trasformare questa immensa zona che, di fatto, è il punto di congiunzione e di maggior contatto tra Russia, Stati Uniti ed Europa. Ha così reso nota l’esistenza programma di ristrutturazione della presenza russa, per ora, con un piano di spesa  di almeno 10 miliardi di rubli, pari a circa 110 milioni di euro.

E’ sul punto della Nato che si capisce come Putin continui ad approfittare del nuovo corso dell’Amministrazione statunitense considerando l’Alleanza atlantica come un tutt’uno, ma, al tempo stesso, distinguendo ruoli, responsabilità e tensioni nel campo avverso. Naturalmente, sfruttandole e senza perdere l’occasione per strizzare l’occhio agli uni e agli altri. Mentre fa la faccia feroce, così, non disdegna di dirsi pronto a cooperare con tutti coloro” che “condividono la responsabilità per un futuro stabile e sostenibile del nostro pianeta e possono prendere decisioni equilibrate per i decenni a venire“. Con la considerazione che, prima o poi, con l’occidente riprenderà il dialogo. 

Putin, comunque, si è posto in continuità con la cosiddetta «dottrina marittima» sancita da Mosca nel luglio del 2022 che, oltre alla questione del Mar Nero, in relazione alla guerra con l’Ucraina, si occupava soprattutto di Artico. Nel quarto punto dei 21 di quel documento, parlava dello “sviluppo di una rotta marittima nordica, in modo da stabilirla come rotta nazionale sicura tutto l’anno e competitiva per la Federazione russa a livello globale”. Percorso che è di grande interesse per la Cina sin dai primi anni 2000 per l’occasione offerta, grazie ai cambiamenti climatici, dalla possibilità di esportare verso l’Europa senza esporsi al rischio di blocchi nel Mar della Cina, ed oltre, da parte degli Stati Uniti. Ovviamente, così, cementando ancora di più le proprie relazioni con la Russia diventate sempre più strette a partire dal 2014 quando Putin  ha annesso la Crimea.

Nel 2013, la Cina è voluta ad entrare a fare parte degli osservatori permanenti del Consiglio Artico. E  così Pechino, assieme a quella della via terra ha sviluppato la Via della Seta Polare a conferma dell’intenzione di accrescere la presenza su tutti i mercati e il consolidare la propria figura di potenza globale.

Nel solo 2023, attraverso questa rotta nordica, la Cina ha trasportato tra il Baltico e i propri porti  più di  2,1 milioni di tonnellate di merci, pari al 95% di quelle in transito sulla intera parte artica. Le previsioni è che si giunga ad una media annuale di quattro milioni di tonnellate.

C’è da considerate inoltre che l’Artico nasconde il 13% di petrolio e il 30% di gas naturale delle riserve mondiali non ancora sfruttate oltre che grandi quantità di materie prime e risorse mineraria.

Insomma, la questione della Groenlandia ha aperto un altro po’ il “vaso di Pandora” consegnando a Putin il pallino dei giochi mondiali, senza essere sicuri che chi ne è responsabile sappia gestirne le conseguenze.

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