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Quadrare i conti senza colpire lavoratori dipendenti e pensionati? – di Natale Forlani

I risultati dei quattro provvedimenti di rottamazione delle cartelle fiscali, documentati dal Dipartimento del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) al Senato della Repubblica, dovrebbero favorire una seria riflessione sulla capacità effettiva del nostro sistema fiscale di tutelare i contribuenti onesti e di finanziare in modo equo gli investimenti pubblici e le prestazioni sociali.

I provvedimenti citati, promossi da 4 Governi di diversa estrazione (Renzi, Gentiloni, Conte, Meloni) avevano come principale obiettivo quello di recuperare una quota significativa dei crediti fiscali delle amministrazioni pubbliche maturati nel corso degli anni 2000, a seguito degli accertamenti degli organi ispettivi o per l’omissione dei pagamenti delle imposte dichiarate dai contribuenti. Il recupero veniva incentivato con la rateizzazione pluriennale degli importi originali dovuti al netto degli interessi e delle sanzioni penali ordinariamente previste e con l’esenzione da ulteriori accertamenti fiscali relativi al mancato versamento delle imposte.

Gli esiti delle rottamazioni hanno consentito di cancellare 118 milioni di cartelle di crediti/debiti fiscali, equivalenti a 161,7 miliardi di euro, con un incasso teorico di 111 miliardi, al netto della rinuncia a circa 50 miliardi per interessi e penali. Il valore di queste risorse finanziarie è stato contabilizzato dalla Agenzia delle Entrate negli importi annuali relativi ai risultati delle azioni di contrasto dell’evasione fiscale e sono utilizzati dal legislatore per rispettare i vincoli di bilancio pubblico.

Purtroppo, a detta del Mef, il 77% dei contribuenti interessati dopo aver pagato le prime rate, indispensabili per bloccare la crescita degli importi e per evitare gli ulteriori accertamenti da parte delle Amministrazioni, non ha onorato il pagamento delle rate successive.

L’esito finale delle 4 rottamazioni ha portato nelle casse dello Stato e delle altre amministrazioni solo 48 miliardi di euro rispetto a 111 previsti. Con la registrazione di ulteriori 63 miliardi di mancati pagamenti che, aggiunti ai 50 miliardi per la rinuncia degli importi per interessi e sanzioni, hanno comportato una perdita di circa 113 miliardi di gettito fiscale rispetto a quello precedentemente stimato.

A questa cifra devono essere aggiunti circa 10 miliardi relativi a due provvedimenti varati per cancellare i crediti fiscali di importo inferiore a 1.000 e a 5.000 euro, in grande prevalenza multe e contravvenzioni maturate nel corso dei primi anni 2000, che comportavano oneri di gestione per l’Agenzia delle Entrate superiori agli introiti recuperabili.

L’esito delle rottamazioni è la punta dell’iceberg dello stato comatoso della Amministrazione fiscale testimoniato anche dalla mole dei crediti non riscossi dall’Erario (1.279 miliardi, equivalenti al 57% del Pil) rispetto ai 1.872 miliardi dei ruoli affidati. La riduzione dell’importo da recuperare è dovuta solo in parte dalle risorse effettivamente riscosse (180 miliardi equivalenti al 9,6% del totale), ma è dovuta soprattutto ai 325 miliardi annullati per via gli esiti negativi degli ulteriori accertamenti e dei risultati dei contenziosi anche a seguito di pronunciamenti della magistratura (7,4%).
L’analisi del Mef offre anche una stima sulla ragionevole probabilità di recuperare i crediti rimasti nel magazzino (1.279 miliardi): 537 miliardi risulterebbero inesigibili perché relazionati a imprese fallite, a debitori incapienti o a persone fisiche decedute. Ulteriori 167 vengono considerati di incerta riscossione. Il 44% di quelli rimanenti, che mantengono una ragionevole probabilità di riscossione, si riferiscono a crediti per la gran parte maturati nel corso della prima decade degli anni 2000 o comunque superiori agli 8 anni.
L’Agenzia delle Entrate, a cui sono affidati i compiti di riscossione per conto della stragrande maggioranza delle amministrazioni pubbliche, ritiene che la somma dei crediti recuperabili sia inferiore ai 200 miliardi di euro. Nel contempo la mole degli importi fiscali non riscossi, al netto dell’evasione fiscale (stimata in circa 72 miliardi nel 2023), continua a crescere a un ritmo medio di 65 miliardi anno.
L’esito fallimentare dei provvedimenti di rottamazione e di condono, oltre a compromettere la credibilità dell’Amministrazione (la gran parte dei circa 22 milioni di contribuenti debitori risulta recidiva anche per gli importi di piccola entità che riguardano contravvenzioni, tributi locali, canoni), viene paradossalmente utilizzato per motivare l’adozione di ulteriori provvedimenti analoghi, con supplementi di sconti sugli importi dovuti, dilazioni decennali per le rate di rimborso e l’inevitabile moratoria sugli accertamenti. Il tutto, per cercare di recuperare qualche miliardo di euro per far quadrare (sulla carta) i conti delle amministrazioni e per ridurre la mole degli adempimenti obbligati dell’Agenzia delle Entrate per mantenere attivi i crediti di difficile riscossione.

La presa d’atto di queste difficoltà, ha favorito anche la crescita dei provvedimenti normativi finalizzati ad aumentare la quota delle dichiarazioni di redditi convenzionali e forfettari per le specifiche categorie di lavoratori autonomi e per le micro imprese, con l’inevitabile accompagnamento delle garanzie di esenzione dagli accertamenti fiscali.

Il risultato finale è l’assottigliamento del numero dei contribuenti che assicurano gli introiti dell’Erario il 14% del totale che dichiara oltre 35 mila euro l’anno finanziando circa i due terzi delle imposte dirette) e che vengono puntualmente spennati per far quadrare i conti.

L’andamento positivo delle entrate dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche che incamerano le addizionali dell’Irpef, negli anni recenti è stato principalmente assicurato dal drenaggio fiscale sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, dovuto all’impatto delle aliquote maggiori sulla crescita dei redditi nominali legati all’inflazione a due cifre e per la mancata rivalutazione delle rendite pensionistiche superiori di 4 volte l’importo minimo. L’ultima trovata è stata quella di ridurre anche le detrazioni fiscali di varia natura, per queste tipologie di contribuenti.

Quanto possa reggere un sistema di fiscale che consente al 40% dei potenziali contribuenti fiscali di pagare cifre irrisorie di tasse e contributi, garantendo loro di accedere a una serie di sostegni al reddito e a servizi con l’ausilio delle dichiarazioni Isee (utilizzate da oltre 30 milioni di cittadini), non è lecito sapere. L’impatto demografico sulle caratteristiche della popolazione comporterà una riduzione di quella in età di lavoro e un aumento della domanda di prestazioni pensionistiche, sanitarie e assistenziali legata all’incremento delle persone a carico e degli anziani non autosufficienti.

Penalizzare chi produce e alimentare i comportamenti opportunistici dei contribuenti e dei beneficiari delle prestazioni pubbliche è la ricetta ideale per minare il livello di coesione della nostra comunità.

Natale Forlani

Pubblicato su www.ilsussidiario.net

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