Sono ricorrenti da alcuni mesi, in particolare sui media economici, le notizie relative all’accumulo di liquidità sui conti correnti di persone e imprese.

L’Unione Banche Svizzere ha stimato, in un recentissimo documento, che i risparmi nell’area dell’eurozona hanno superato i settecento miliardi “in eccesso” mentre il Wall Street Italia ha calcolato che, alla fine di marzo 2021, i depositi in conto corrente, i certificati di deposito e i “pronti contro termine”, vale a dire la liquidità pura, ammontano per persone e imprese a 1.749 miliardi di euro.  Lo stesso trend è in corso anche in Francia e Germania: con l’avvento della crisi pandemica sono cresciuti i risparmi e i depositi con incrementi percentuali inusitati.

Da qui, la stampa economica si è sbizzarrita in considerazioni conseguenti e correlate ai mercati azionari, di obbligazioni e di titoli di Stato mentre i giornali che tengono bordone ai partiti politici non hanno lesinato conclusioni anche fantasiose, del tipo di quelle berlusconiane d’antan sui ristoranti sempre pieni.

A queste immagini di Paese spaventato o prudente, ma in fondo non più di tanto, nei casi in cui il conto in banca aumenta, fa riscontro in modo stridente quanto invece ci fa sapere Istat sul numero di persone in povertà che nel nostro Paese è di quasi sei milioni: un milione in più rispetto all’anno precedente. La riprova che non parliamo solo degli ultimi e degli indigenti viene dal calo dei consumi, meno per quelli per la spesa alimentare e per la abitazione, ma  rilevante per tutti gli altri. Non è però l’immagine del Paese diviso in due che vuole trovare conferma in questi dati, quanto piuttosto una considerazione alla vigilia della ripresa economica, ormai certa almeno per i prossimi 18-24 mesi, e soprattutto in attesa dei rilevanti fondi europei annunciati.

Il grande balzo degli anni cinquanta del secolo scorso, come pure la risposta alle crisi energetiche degli anni settanta, avevano visto un Paese proteso nella crescita con un ceto medio in costante miglioramento del proprio tenore di vita. Il posto di lavoro sicuro, la casa di proprietà, la macchina, l’università per i figli, la vacanza una volta l’anno erano “consumi” diventati quasi normali. Oggi e da almeno vent’anni, pure in una società molto più parcellizzata, il cosiddetto ceto medio è invece in regressione sia per il minor potere di acquisto che per qualità della vita, come confermano tutte le ricerche non solo dei sociologi. Non è un caso che l’Italia sia uno dei Paesi dove il rapporto tra ricchezza aggregata totale e redditi prodotti sia diventato tra i più scoraggianti.

Si parte in sostanza con la forbice delle disuguaglianze sempre più aperta, e non solo per i redditi ma per ben più diffuse insicurezze, a cominciare dalla precarietà lavorativa e dalla vulnerabilità anche dei lavori stabili specialmente per i giovani e le donne, dalla qualità degli studi, alla vita nelle periferie, all’accesso a beni e servizi.

Pure ammesso che vi saranno benefici dalla ripresa di consumi e investimenti, come si comincia ad intravedere, non è certo scontato che tali disparità siano destinate  ad attenuarsi.

Da qui, la rilevanza che avrà la politica e gli strumenti di intervento non solo per la crescita ma anche per puntare ad un più convincente equilibrio. L’attenzione è oggi giustamente incentrata sulle politiche monetarie, dalle risorse europee alla politica della BCE. Ma senza interventi permanenti ed efficaci di politica fiscale e senza  priorità di spesa pubblica che tengano in conto le condizioni economiche di partenza non si invertirà la tendenza in atto.

Guido Puccio

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