Il Comitato Paritetico di Controllo e Valutazione del Consiglio di Regione Lombardia ha promosso diversi studi su ambiti in cui la pandemia di Covid-19 ha lasciato il segno. Quanto accaduto nel 2020 rappresenta infatti un punto di rottura che impone ai decisori pubblici di ripensare le policy regionali per affrontare problemi emergenti. Gli studi realizzati riguardando la tutela della salute, lo sviluppo economico, la formazione e l’occupazione per i giovani, la povertà e l’inclusione sociale e la qualità dell’ambiente, e sono accomunati da alcuni obiettivi:

  • rappresentare il contesto in cui intervengono le politiche di Regione Lombardia e le principali criticità emerse in seguito all’emergenza sanitaria;
  • rilevare quali interventi agiscono in continuità con il passato e quali necessitano di un aggiornamento;
  • documentare quali risposte vanno delineandosi nel resto d’Europa in relazione alle nuove sfide.

Gli studi, realizzati grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e con Polis Lombardia, sono pubblicati sul sito istituzionale del Consiglio regionale della Lombardia.

Dopo che Secondo Welfare ha dato spazio ai risultati degli studi su formazione e occupazione giovanile e sulle politiche della salute, di seguito sono presentati i principali contenuti del rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Contrastare le povertà”, curato da Franca Maino, Chiara Agostini e Celestina Valeria De Tommaso.

Il documento è incentrato sulle scelte di policy di Regione Lombardia nell’ambito della povertà e della lotta all’esclusione sociale. Fornisce uno sguardo d’insieme rispetto ai nuovi scenari che, per quanto ancora non consolidati, richiederanno alla politica europea, nazionale e regionale – per le competenze di cui dispone – uno sforzo di creatività sinergica, al fine di orientare i diversi ambiti di policy – tra cui quelli riguardanti il rischio povertà ed esclusione sociale – verso direzioni di cambiamento che tengano conto dell’impatto e delle conseguenze della crisi pandemica.

Il Rapporto è stato realizzato a partire dall’analisi della documentazione pubblicata dalle principali organizzazioni internazionali (es. ONU, OECD, ILO, WHO) e nazionali (Banca d’Italia, Oxfam Italia, Caritas Italiana) sul tema della povertà e dell’esclusione sociale, con riferimento al periodo compreso tra il 2019 e il 2021. Si è poi avvalso di un Focus Group composto da sette accademici esperti di povertà ed esclusione sociale nel contesto europeo, nazionale e lombardo.

I nuovi scenari di policy: la pandemia come stress test

Com’è noto, la crisi innescata dalla pandemia si sta rivelando un vero e proprio “stress test” sia per la tenuta esistenziale di individui e famiglie – in molti casi messi a dura prova sul piano sanitario, economico e sociale – sia sulla capacità di resistenza di interi settori di policy. Il Covid-19 ha infatti messo a nudo le vulnerabilità di un sistema che mostrava segnali di precarietà già prima dell’inizio della pandemia.

La natura dannosa della pandemia, inaspettata e improvvisa, ha forzato l’opinione pubblica e i decisori politici a inserire nell’agenda pubblica e istituzionale temi che non necessariamente vi sarebbero entrati, quantomeno non con la stessa forza, visibilità e rapidità. In questo contesto, dunque, quali scenari si aprono per la lotta alla povertà e l’esclusione sociale?

Dalla povertà alle povertà

Le organizzazioni internazionali ed europee concordano che la povertà sia un fenomeno multidimensionale (materiale, educativa, abitativa ed energetica, sanitaria, alimentare) ed esprima una molteplicità di significati (ad esempio, la deprivazione materiale, monetaria e l’esclusione sociale). La definizione di povertà come assenza o scarsità di reddito non è sufficiente a rendere il concetto univoco. La povertà è infatti un fenomeno in continua evoluzione e legato ai cambiamenti storici, culturali e demografici di un Paese.

La forza dirompente degli shock esogeni – come la crisi economica del 2008 e la pandemia – contribuiscono a rendere visibili questi mutamenti.

Già a seguito della crisi economica del 2008 si era cominciato a parlare di nuovi profili di povertà. La pandemia ha peggiorato la condizione di chi, già prima dell’impatto del Covid-19, riversava in condizioni di vulnerabilità sociale ed economica. Secondo la Banca Mondiale (2020), se normalmente l’indigenza colpisce soprattutto le persone che vivono nelle aree rurali, i giovani e le persone con bassi livelli di istruzione, i “nuovi poveri” hanno maggiori probabilità di risiedere in aree urbane, di possedere un’abitazione, di essere occupati in un settore che non è quello agricolo (manifatturiero, servizi e commercio) e di essere più istruiti dei “poveri tradizionali” ma significativamente meno istruiti dei non poveri.

La povertà ieri e oggi

La povertà ha subito un progressivo mutamento che temporalmente si può collocare tra “ieri” (prima della crisi del 2008) ed “oggi” (alla luce della crisi pandemica) (Tabella 1). Ai profili “tradizionali” di povertà – poveri assoluti ed in grave deprivazione materiale – si sono aggiunti profili insoliti, questi spesso fuori dai radar dei servizi sociali.

Ne deriva una fotografia complessa e stratificata che vede, da una parte, il persistere di condizioni di grave deprivazione materiale e di povertà assoluta e, dall’altra, l’insorgere di forme di povertà con intensità “intermedia” o, appunto, relativa al valore mediano di spesa per consumi (secondo il metodo di misurazione Istat) del luogo di residenza di riferimento. È la condizione di chi, ad esempio, percepisce un reddito da lavoro, ma questo è insufficiente per far fronte alle spese ordinarie di sostentamento della casa o della famiglia.

Se il lavoro non basta più

Per questo, i poveri non sono più solo gli anziani fragili e le famiglie numerose con almeno tre figli. Oggi, la pandemia ha evidenziato che tutti – giovani, minori, anziani, famiglie monoparentali e con meno di tre figli – sono a rischio di povertà (Tabella 1). Anche chi percepisce un reddito da lavoro non ne è esente poiché il lavoro, come si diceva prima, non è in grado di garantire una condizione di non indigenza.

Si parla sempre più spesso di lavoratori poveri, un termine che fino a qualche anno fa poteva sembrare un ossimoro. il fenomeno del “lavoro povero” non interessa solo chi ha basse competenze; anche i laureati, soprattutto nella fase iniziale del loro percorso professionale, i lavoratori autonomi e gli imprenditori sono a rischio di povertà.

Transizioni in atto e povertà

Le organizzazioni internazionali individuano poi un nesso significativo della povertà con la transizione ecologica e quella tecnologica. Quanto alla prima, le persone che vivono in povertà sono più vulnerabili rispetto agli shock prodotti dai disastri naturali (Banca Mondiale 2020); dall’altro, l’aridità dei campi, causata da condizioni climatiche sfavorevoli determina una crescita della povertà nelle aree rurali.

Rispetto alla seconda, nel corso dell’ultimo anno il divario tecnologico si è reso evidente nel settore educativo: un numero consistente di famiglie, ad esempio, non aveva a disposizione gli strumenti e/o le competenze per far svolgere a bambini e ragazzi la didattica a distanza (DAD). Ma la transizione tecnologica impatta anche sul mercato del lavoro: il progresso tecnologico rischia nel breve-medio periodo di cambiare volto dell’occupazione nel nostro Paese e fagocitare migliaia di posti di lavoro.

Tabella 1. La povertà: un fenomeno multidimensionale tra passato e presente
Dimensione Ieri, pre-crisi 2008 Oggi, alla luce della crisi pandemica
Anagrafica Prevalentemente anziani Anziani, giovani e minori
Familiare Famiglie con almeno 3 figli Famiglie con almeno 2 figli
Educativa e digitale Associata alla dispersione scolastica e alla indisponibilità di strumenti digitali per svolgere la DAD
Occupazionale Non riguardava le persone che lavorano Riguarda anche lavoratori poveri (working poor)
Territoriale Diffusa al Sud Diffusa al Sud ma anche nelle regioni del Nord; in crescita soprattutto nelle periferie
Abitativa ed energetica Condizioni abitative degradate e deprivazione materiale Connessa a perdita della casa, incapacità di pagare affitto, mutui, riscaldamento
Alimentare Rinuncia ad assumere alimenti in modo regolare e/o a discapito della qualità
Sanitaria Rinuncia a visite mediche, diagnostiche e specialistiche, e all’acquisto di farmaci
Fonte: elaborazione delle autrici.

Intervenire sui sistemi di protezione sociale a livello locale e nazionale

Il Rapporto ripercorre allora le principali misure di contrasto alla povertà implementate in Italia prima della pandemia – in particolare, il focus è sul Reddito di Cittadinanza (RdC) e la Pensione di cittadinanza (PdC) – e durante la pandemia – Reddito di Emergenza (REM) – al fine di definire la distribuzione geografica e la copertura di nuclei e individui beneficiari.

Partire dai dati

ll RdC ha protetto una fascia consistente della popolazione dalle conseguenze economiche della pandemia (nel 2020 l’aumento di nuclei percettori è stato pari al 43%), ma solo il 44% dei nuclei poveri fruisce della misura mentre il 56% no: dunque, poco più della metà dei poveri non riceve il RdC (ne abbiamo parlato qui). Tra aprile 2019 e maggio del 2021 i nuclei richiedenti il RdC o la PdC sono stati più di 3,8 milioni.

Gli ultimi dati Istat parlano chiaro. Nel 2020 si registra un’impennata dei casi di povertà assoluta sia per le famiglie che per gli individui (ne abbiamo parlato qui qui). Questo peggioramento risulta più incisivo al Nord, dove la povertà assoluta è cresciuta di più (dal 5,8% al 7,6%), sebbene l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta rimane più alta nelle regioni meridionali (dove passa dall’8,5% al 9,9%). La povertà assoluta cresce soprattutto tra i giovani (11,3%, oltre 1 milione 127mila individui).

Inoltre, nel 2020, sono in povertà assoluta 1 milione e 337mila minori (13,5%, rispetto al 9,4% degli individui a livello nazionale). Considerando le caratteristiche dei nuclei, le famiglie monogenitoriali sono quelle più colpite; in questi nuclei l’incidenza passa dall’8,9% all’11,7% rispetto al 2019.

Migliorare gli interventi pubblici

Si conferma, dunque, la necessità di lavorare su sistemi di protezione sociale al fine di renderli più inclusivi e resilienti. Nel Rapporto si sottolinea che a livello nazionale, lo Stato può intervenire sui sistemi di giustizia distributiva e redistributiva, incentivando la redistribuzione del reddito al fine di ridurre le disuguaglianze sociali e intergenerazionali.

A livello locale, la povertà può essere contrastata promuovendo la costituzione di infrastrutture sociali accessibili e di alta qualità che agiscano sempre di più con un approccio preventivo e con una logica capacitante. Queste politiche vedono la partecipazione di tutti i livelli di governo e richiedono spesso un raccordo sia verso l’alto (con il livello nazionale), sia verso il basso (con i Comuni).

Proprio nel coordinamento tra i livelli di governance – nazionale, regionale, municipale – risiede l’impetuosità e la forza degli interventi di contrasto alla povertà. In quest’ottica, la Regione dovrà ricoprire un ruolo di tessitore di reti tra il livello superiore, nazionale, e quello inferiore, locale.

Le prospettive per la lotta alla povertà in Lombardia

Con riferimento alla Lombardia, la Regione ha mostrato un certo attivismo ed una sensibilità al tema della povertà e dell’esclusione sociale. Questo è anche testimoniato dal fatto che la Regione sia stata in grado di introdurre tempestivamente, prevalentemente nell’arco del 2020, interventi volti a fronteggiare gli effetti della pandemia, come ad esempio il Fondo Protezione Famiglia.

Punti di forza e debolezza

Il Rapporto – alla luce di quanto emerso dall’analisi documentale e dal Focus Group – ha definito tre punti di forza e di debolezza delle politiche lombarde di contrasto alla povertà.

I punti di forza riguardano:

  1. la ricchezza territoriale in termini di capitale umano, risorse ideative e materiali;
  2. l’abilità del tessuto associativo lombardo di “fare rete” e di colmare i vuoti normativi, per mezzo di azioni sinergiche e combinate tra il settore pubblico e privato;
  3. la capacità di resilienza e adattamento dei territori innanzi alle sfide sociali.

Con riferimento ai punti di debolezza, essi sono:

  1. la frammentarietà e settorialità degli interventi, dovute ad una scarsa integrazione delle politiche nazionali e regionali e alla complessità della governance regionale nell’attuazione delle politiche;
  2. i limiti gestionali/organizzativi e le asimmetrie informative che ostacolano la fruizione delle misure;
  3. una visione settoriale del fenomeno della povertà e conseguente disegno delle politiche regionali.

Il bisogno di politiche integrate, intersettoriali e coordinate

La ricostruzione presentata consente di tirare le fila rispetto ad almeno due punti rilevanti. Il primo riguarda la concettualizzazione stessa del fenomeno della povertà e la necessità per rispondervi di adottare politiche integrate ed intersettoriali.

Questo punto poi introduce il secondo elemento, ovvero la necessità, per la Regione, di rafforzare il proprio ruolo di regia di tutte le misure di contrasto alla povertà. Per farlo, oltre a rafforzare i servizi pubblici, è utile lo sviluppo di un community building in cui il Terzo Settore riveste un ruolo da protagonista a supporto del welfare pubblico. È proprio nel consolidamento di una infrastrutturazione sociale e territoriale che si concretizzano gli scambi virtuosi tra i vari livelli di governance ivi presentati.

Si può certamente concludere che le povertà necessitano di un intervento coordinato ed integrato.

Punti da cui (ri)partire

Rispetto a questo, si ritiene fondamentale che i vari livelli di governance prestino attenzione ad alcuni punti specifici:

  • Investire sulla transizione ecologica e favorire l’utilizzo di mezzi eco-sostenibili;
  • Investire sulle politiche del lavoro, alla luce anche della transizione digitale ed ecologica;
  • Rafforzare il sistema di welfare, incentivare la redistribuzione del reddito e la lotta alle disuguaglianze (a partire dall’accesso ai servizi);
  • Rafforzare la governance del sistema e investire sul coordinamento tra livelli nazionale, regionale e locale;
  • Investire su reti multi-attore e infrastrutture sociali;
  • Potenziare monitoraggio e valutazione investendo sul sistema della conoscenza.

A tal proposito, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta una grande opportunità. Nel complesso l’Italia potrà disporre di circa 248 miliardi di euro, ai quali si aggiungono 13 miliardi dei fondi del programma REACT-EU. Il PNRR, nello specifico, promuove misure di contrasto alla povertà dirette (ad esempio, nel target “povertà estrema” della Missione 5) e indirette (ad esempio, l’efficientamento energetico delle abitazioni nella Missione 2). Il Rapporto offre peraltro una visione generale di tali misure e ne delinea la trasversalità nell’applicazione.

Il PNRR costituisce allora una solida opportunità per tutti i livelli, nazionali e locali, e si tratta di un investimento sociale e territoriale, la cui sfida per i vari livelli di governance sta nel definire una strategia di intervento che valorizzi l’utilizzo delle risorse e il ruolo degli attori pubblici, locali e dei beneficiari.

Per approfondire

  • Maino F., Agostini C., De Tommaso C.V. (2021), Contrastare le povertà, Studi sui nuovi scenari per le politiche regionali promossi dal Comitato Paritetico di Controllo e Valutazione, Consiglio Regionale della Lombardia.
  • Tutti gli studi su nuovi scenari per le politiche regionali sul sito del Consiglio.
  • Per le slide della presentazione del  Rapporto, si veda qui.

 

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